Dalle dita al calcolatore/XIV/4
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4. Gestire la realtà
Il problema sta nel fatto che la capacità di governare la realtà non si accompagna alla capacità di governarla “bene”.
Noi sappiamo ormai raggiungere la larga maggioranza degli obiettivi che ci poniamo, ma ci comportiamo ancora secondo gli schemi di una cultura adatta a un mondo passato nel quale la nostra potenza era enormemente inferiore; perciò abbiamo difficoltà a selezionare i modi di intervento e gli obiettivi congruenti con la nuova situazione in cui ci troviamo immersi.
L’immagine dell’homo faber che si impone sulla natura o sui “nemici” utilizzando al massimo tutti i mezzi di cui dispone è un modello invecchiato.
Facciamo un esempio: se è necessario collegare tra di loro due località, si ricorre praticamente sempre alla costruzione di un’arteria stradale, sulla quale correranno automobili e veicoli industriali. Le rilevanti risorse di calcolo di cui oggi disponiamo saranno così utilizzate per risolvere “di prepotenza” sia il problema della costruzione della strada sia quello della gestione del trasporto. Il più delle volte non verranno nemmeno esplorate le eventuali altre possibilità, come ad esempio la costruzione di una ferrovia, di una teleferica, e simili, che in alcuni casi permetterebbero soluzioni altrettanto se non più soddisfacenti, con costi di gestione e di impatto ambientale molto inferiori.
Insomma, la potenza di calcolo spesso viene impiegata non per comprendere meglio quello che si deve fare, ma per risolvere le difficoltà contingenti. Si rinuncia così a priori alle possibilità offerte dalle nuove forme di conoscenza.
Questo modello culturale è molto forte e si sta continuamente sviluppando: attualmente si diffonde in una versione sofisticata detta problem solving. Si tratta di individuare problemi e quindi di occuparsi unicamente, ma con la massima efficacia possibile, della loro soluzione.
In sé non vi è nulla di male in questo modo di affrontare la realtà, se non il fatto che, ignorando il contesto generale in cui il problema si pone, si corre il rischio di generare, con la “efficace” soluzione proposta, difficoltà spesso anche più gravi del problema iniziale.
Riprendendo l’esempio già proposto: la strada che verrà costruita sarà qualcosa di molto diverso dalle strade medievali o romane; infatti sarà realizzata non già adattandosi all’ambiente esistente, ma stravolgendo l’assetto del territorio: si perforeranno le montagne con gallerie e si creeranno viadotti sulle valli, si realizzerà cioè un manufatto che si imporrà sull’ambiente invece di integrarsi in esso.
Questa discrepanza non è dovuta al fatto che i Romani o gli uomini del medioevo fossero buoni e noi invece cattivi, ma solo alle differenti condizioni tecniche e operative, e anche al fatto che noi adoperiamo le risorse di cui disponiamo con lo stesso spirito con cui gli uomini del passato adoperavano le loro. Insomma: l’idea di poter risolvere un problema attraverso la semplice disamina dei suoi aspetti interni, pur essendo accettata e difesa dagli stessi appassionati di computer come valido metodo di lavoro e indice di un’impostazione culturale avanzata, è invece vecchia e profondamente negativa.
Chiaramente, come in tutte le cose, anche nelle attività impostate secondo questo schema culturale esistono casi nei quali gli operatori hanno agito correttamente e altri nei quali sono stati fatti scempi orrendi, ma questo è abbastanza marginale rispetto al giudizio sull’impostazione culturale in sé.
È vero che, proprio grazie ai computer e agli altri mezzi di cui disponiamo, è possibile progettare, realizzare e gestire un’autostrada con costi che sono solo una piccola frazione di quanto avrebbero dovuto spendere gli antichi Romani o la società del Seicento, ma l’ambiente continua a pagare prezzi enormi in termini di rottura degli equilibri biologici, di degrado idrogeologico e così via.
Purtroppo, gioca contro un approccio più adatto alla realtà attuale anche la tendenza degli esseri viventi a mantenere modelli culturali e di comportamento al di fuori del loro ambito di validità, modificandoli il meno possibile.
Il modello culturale dell’approccio “efficiente” è il frutto di millenni di relativa impotenza della nostra specie nei confronti della natura.
In passato, ogni individuo o gruppo doveva lottare, con massimo dispendio di energie e di strumenti, per il conseguimento di ogni singolo obiettivo. Oggi, invece, la straordinaria crescita tecnologica che si è verificata esige da noi l’abbandono di quell’inutile e ormai ingiustificato approccio hard alla realtà, a favore di un avvicinamento soft alla medesima, secondo contenuti e modalità che sono ancora tutti da giocare e decidere.