Dalle carceri di Padova il 17 gennaio

Giovanni Prati

Olindo Malagodi 1852 Indice:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. II, 1916 – BEIC 1901920.djvu sonetti Dalle carceri di Padova il 17 gennaio Intestazione 23 luglio 2020 25% Da definire

A Vittorio Alfieri Canto elegiaco offerto a due nobilissime giovani
Questo testo fa parte della raccolta XI. Dai 'Canti politici'
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III

DALLE CARCERI DI PADOVA

IL 17 GENNAIO


Deus ultionutn Dominus.

Sorgi, o mio cor: si mesto
io non ti voglio. È questo
il semplice e profondo
detto del tuo Gesú :
5«Beati quei che soffrono
perseguitati al mondo!
delle giustizie il giudice
lo troveran lassú».
Lo troverem, t’infranca;
10però che mai non manca
promessa, che una volta
da quelle labbra usci.
Dall’iracondo fremito
cessa, o mio cor, m’ascolta:
15ci fu promesso un vindice;
lo troveremo un di.

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Grande sará quel giorno,
che dissipato intorno,
come arid’erba, il regno
20dei violenti andrá;
regno, che qua tra gli uomini
t’abbevera di sdegno,
perché terribil arbitra
la cieca forza è qua.
25Spera, o mio cor. L’Eterno
coronerá di scherno
chi ha prediletto il nome
d’iniquo e d’oppressor;
e dei piú verdi palmiti
30cinte saran le chiome
dei figli, che serbarono
libero e mondo il cor!
Amar la patria è cosa
si santa e generosa,
35che chi non l ama è detto
anima inerte e vii.
Ardi, o mio cor. Negl’impeti
di quest’eccelso affetto
ti segue ogni magnanimo,
40ti loda ogni gentil.
Grande è la patria nostra,
grande; ed a lei si prostra,
e al tempio di sua fede,
che è Roma la immortai,
45chi pon la tenda al Libano,
chi sul deserto incede,
come chi pesta i culmini
dell’Anda inospitai.

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Sommesse e riverenti
50guardano a lei le genti,
imperadrice alterna
di due stupende etá,
guerriero asii dei Cesari,
nido dell’ara eterna,
55ara su cui pontefice
l’Onnipotente sta.
E questa patria cara,
questo pastor, quest’ara,
le ceneri degli avi
60mi fia delitto amar?
Ardi, o mio cor. Di perfidi
ceppi il livor ti gravi;
ardi, o mio cor. Fra i mártiri
oggi è pur bello entrar.
65Lascia che l’odio cieco
dal vandalo suo speco
rompa, e gli ausoni venti
sferzi col fulvo cria,
e, vomitando eserciti,
70scenda, percota, inventi
le croci di Caligola
e i nappi d’Alboin.
Questo inventor ili pene
non sa crear catene
75per l’anima che sale
libera al suo Signor,
e, a lui prostrata, il provoca
col gemito immortale
ad afferrar l’orrisono
80arco fulminator

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O tigri della terra,
noi concitate in guerra;
con sillaba demente
non dite: — Iddío non v’è! —
85Che, quando alle sue collere
sorge l’Onnipotente,
stridon le frecce, e in polvere
van le corone e i re.
Sotto i fulminei dardi
90schiantati i baluardi,
frante dall’imo e stese
crollan le torri al suol,
e dell’orrendo eccidio
altro non fia palese
95che il fumigar dei ruderi
contro al nascente sol.
Gran Dio. gran Dio, tremenda
quest’ira tua non scenda
sui lauri e sulle palme
100dell’italo giardini
Gli affanni ti propizino
di poche afflitte salme,
perché d’un tuo gran popolo
s’incardini il destin.
105Ma, se il livor dei forti
l’onta raddoppi e i torli,
e invan si pianga e preghi
per ottener pietá,
e qua catene suonino,
110lá ree minacce c nieglii,
e dappertutto il gemilo
dell’itale cittá;

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gran Dio de’ padri miei,
sappiano allor chi sei!
115ricordati le antiche
giostre del tuo furor,
e gli amorrei s’atterrino,
come falciate spiche,
ché l’han mertato i barbari,
120che tu lo puoi, Signor.
E noi, francati i passi,
sbattendo il ceppo ai sassi,
col divin segno in fronte,
che tuoi guerrier ci fa,
125drappelli insuperabili
noi salirem sul monte,
l’inno, gran Dio, cantandoti
di nostra libertá!