Dal profondo/Selciato cittadino
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SELCIATO CITTADINO.
Vampe e vampe a me salgono dal lastrico
che sfioro, errando nel tramonto roseo.
L’ultimo fischio echeggia dalle fabbriche,
l’ultima rondin stride intorno agli embrici,
l’ultimo sogno langue sui garofani
dei davanzali, e van le lune elettriche
sbocciando in alto, tra una rete ferrea
di fili. — Oh, sol per me, pe’ miei veggenti
sensi, di vampe e vampe arde il selciato.
Io me ne cingo, come d’una fiammea
veste. — Io ben so di quanta vita è saturo
il selciato, in quest’ora del crepuscolo
misterïosa. — Femmine passarono
snelle nei veli, con profili pallidi
annegati fra dense ombre di piume;
e una scìa di profumi e un lungo fremito
di turbamento dietro al passo ambiguo
lasciaron sull’asfalto e sulla pietra.
Rapidi e chiusi in lor superba maschera
gli ammassatori d’oro, i falchi umani
passarono, celando acute granfie
per ogni bene che si compri ed ogni
perversa ebbrezza della vita breve;
e un odor di rapina e un denso filtro
d’energia bevve da’ lor passi il suolo.
Con saettare di carrozze e fremere
d’automobili e fughe di bicicli
e tumulti di plebe e canti e fischi
d’artieri in corsa e duellar di sguardi
cozzanti a gara, fluttuò la vita,
vibrò rifulse divampò la vita.
Ed il dolor che sè credea più squallido
d’ogni dolore, ad un quadrivio urtò
l’ambascia che in sè chiude ogni altra ambascia,
ma non la riconobbe; e passò oltre.
Risa d’infanzia, risa di feminee
labbra scarlatte in dolce arco dischiuse,
schiette risa di popolo e sogghigni
di suggellate bocche s’incrociarono
razzando — e fu una rete di scintille.
Un nemico, con balzo agil di tigre,
si scagliò sul nemico; e nella mischia
brutale il sangue invermigliò la strada.
Fanciulle a gruppi vennero, con freschi
fiori al petto, alle trecce — e i rosei petali
caddero, a fascio, sull’orror del sangue.
I commerci e le industrie in forme innumeri
di sagacia, d’audacia e di conquista,
e amor che sogna, e orgoglio cinto d’armi,
e ambizïon che in fervido silenzio
le proprie arrota, e povertà che obliqua
tende la mano oppur s’asconde, tutto
passò, di sè, di sè la terra e l’aria
saturando, le vene delle pietre
gonfiando di viventi umane linfe.
Sacro tramonto!... Ecco, il mistero io pènetro:
ecco, io perdo la mia forma mortale,
io mi dilato in me, sino ad accogliere
l’altrui sostanza, anche la più segreta,
l’altrui miseria, anche la più profonda,
l’altrui pensiero, anche il più vasto. — Il mondo
col suo bene e il suo male è tutto in me:
ed io somiglio al letto d’un torrente
in piena, allor che l’acqua vi precipita
dal monte, ribollendo nelle torbide
schiume, in sua furia rapinando gli alberi,
empiendo l’aria del suo rauco mugghio;
ma le pietre e le sabbie del ghiareto
frantumate e travolte, abbrividiscono
d’ansia e di gioja all’impeto dell’acqua
che le devasta, follemente viva.