Dal profondo/Aquila Reale

Aquila Reale

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Un fratello Quella che passa
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AQUILA REALE.

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T’ho vista ieri, irta ferrigna immobile
dietro le sbarre d’una vasta gabbia.
Non guardavi già tu la gente piccola
che ti guardava. — Ferma sugli artigli
5d’acciajo, gli occhi disperati al torbido
cielo volgevi, al cielo!... — Uno scenario
t’hanno fatto di rocce, per illuderti:
perchè tu creda ancor d’essere in patria,
fra pietrami di grotte e di valanghe,
10fra protervie di rupi e di ciclopici

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templi, sospesi in vetta a’ precipizii,
in faccia al vento che a procella sibila.
— Ma non t’illudi tu. — Vedi le sbarre,
sai che è finita. — Io voglio ora una storia
15dirti d’uomini saggi, che le proprie
mani a foggiar la propria gabbia adoprano,
— d’oro o di ferro — quasi sempre d’oro: —
e bene assai la temprano e la rendono
inaccessa, e là dentro si rinserrano,
20e si lamentan poi d’essere in carcere,
guardando il mondo co’ tuoi occhi d’odio
vano e di vana disperazïone.
Tu almeno, tu fosti ghermita al laccio,
fosti ferita, tu, nella battaglia
25feroce, prima d’esser come un cencio
ignobile fra mano al tuo nemico.
E stai senza speranza e senza gemito
vile; e chi passa ti può creder morta
o sculta in bronzo, così immota e diaccia
30t’irrigidisci, chiusa in un disdegno
indomito per tutto che non sia

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l’ebbrezza della libertà perduta.
E, se tu comprendessi, con un colpo
di rostro lacerar vorresti il volto
35di chi t’offende con la sua pietà.