Dal mio verziere/A Elda Gianelli
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Dilettissima,
Ti ringrazio d’avere affettuosamente assentito ch’io scriva in fronte a questa raccolta il tuo nome che è uno dei vanti gentili d’Italia. I gracili prodotti del mio verziere presentati così sembreranno forse meno meschini. A te, buona, qualcuno parrà anche dolce: come per me qualcuno, avvolto già nelle lontane luci del ricordo, ha perduto il suo qualunque valore reale per acquistarne uno fantastico, inestimabile.
Questo libro contiene i documenti della nostra amicizia. Cominciammo, ti ricordi? con un bisticcio. Un mio interrogativo a proposito d’un poeta ti diede sui nervi: vi rispondesti con amabile vivacità. Io replicai, tu rispondesti di nuovo. E così ci accanimmo per qualche tempo intorno alla produzione intellettuale d’una persona ad entrambe affatto sconosciuta, la quale non avrà probabilmente mai saputo di questa cortese tenzone di dame per causa sua.
Vennero, come messaggi di pace dall’una all’altra, libri, fotografie, lettere. Facemmo quello che gli avversari, in arte o in politica, dell’altro sesso non fanno: ci manifestammo con leale schiettezza la reciproca stima che le discordi opinioni non avevano punto scemato; ci stendemmo la mano attraverso il mare.
Molte circostanze dolorose della mia vita, la tua costante e tenera sollecitudine verso di me, affrettarono poi la nostra amicizia che si è fatta sempre più intima, sempre più soave, che ancora dura, che ho fede non dilegui mai, perchè negli elementi che la compongono v’ha dell’immortalità.
Oltre la carissima traccia di te, altre reminiscenze care e meste veggo evaporare da ogni parte di questo volume che ho composto senza saperlo, colle impressioni delle mie letture nello spazio di qualche anno, a intervalli, in un luogo o nell’altro; sempre però fra pareti santificate dai sogni, dalle lagrime, dal lavoro. Ad ognuno di questi miei scritti potrei indugiare per dirti in quale posizione della stanza era la mia scrivania quando fu composto, e che paesaggio vedevo dalla finestra, l’ora, e le emozioni che mi agitavano, e il pensiero dominante a cui molto spesso la mia opera non era legata che attraverso ad una più o meno lunga catena d’idee. Ci sarebbe, te lo assicuro, la tavolozza per un altro libro, e te ne parlerei se questa lettura fosse riservata a te. Ma agli altri, capirai, non importerà proprio nulla di saper di più.
Pure temo di non essere capace di nascondere che riordino commossa queste pagine su cui l’atmosfera di giorni diversi e lontani ha lasciato un riflesso percepibile a me sola, come un atomo di quella parte della mia vita che si è spenta. Penso alle persone che mi erano vicino e che hanno raccolto la primizia di questa fioritura che doveva durare più di loro, sparite nell’infinito della morte (come voi, povero Alberto Sormani!) o nel vuoto della lontananza in cui s’addensa il silenzio lieve ed enorme, isolatore, più amaro, spesso, della morte. Ed io errando in ispirito lungo le pagine del mio Verziere mi somiglio alla Dama Pensosa d’un poeta squisito di cui è fatta menzione qua dentro, a lei che errava nell’occaso autunnale, lungo i viali sfrondati, fra l’ineffabile e simbolica mestizia delle foglie cadenti... Se non che io, al limite, trovo ancora te ad aspettarmi, te che mi stendi le braccia e mi sorridi ancora.
Cento, Settembre 1895
Jolanda.