Da poi ch'i' ho perduto ogni speranza
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Da poi ch’i’ ho perduto ogni speranza
Di ritornare a voi, madonna mia,
Cosa non è nè fia
Per conforto già mai del mio dolore.
5Non spero più veder vostra sembianza,
Poi che fortuna m’ha chiusa la via
Per la qual convenìa
Ch’io ritornassi al vostro alto valore;
Ond’è rimaso sì dolente il core
10Ch’io mi consumo in sospiri et in pianto;
E duolmi perchè tanto
Duro, che morte vita non m’ha spenta.
Deh che farò! chè pur mi cresce amore
E mancami speranza d’ogni canto.
15Non veggio in quale ammanto
Mi chiuda, chè ogni cosa mi tormenta;
Se non ch’io chiamo morte che m’uccida,
Et ogni spirto ad alta voce il grida.
Quella speranza, che mi fe lontano
20Dal vostro bel piacer che ogn’or più piace,
Mi si è fatta fallace
Per crudel morte d’ogni ben nemica.
Ch’Amor, che tutto dato in vostra mano
M’aveva ed ha per consolarmi in pace,
25Di consiglio verace
Fermò la mente misera e mendica
In farmi usar dilettosa fatica.
Per acquistare onor mi fe partire
Da voi pien di desire
30Per ritornar con pregio e in più grandezza.
Seguii signor che, s’egli è uom che dica
Che fusse mai nel mondo il miglior sire,
Lui stesso par mentire;
Chè non fu mai così savia prodezza:
35Largo prudente temperato e forte,
Giusto più ch’uom che mai venisse a morte,
Questo signor creato di giustizia,
Eletto di virtù tra ogni gente,
Usò più altamente
40Valorìa d’alma più ch’altro che fosse.
No’l vinse mai superbia od avarizia;
Anzi l’avversità ’l fece potente,
Chè magnanimamente
Ei contrastette a chïunque il percosse.
45Dunque ragion e buon voler mi mosse
A seguitar signor cotanto caro.
E se color fallaro
Che fecion contra lui a lor potere,
lo non devea seguir le false posse.
50Vennimi a lui, fuggendo il suo contraro:
E perchè ’l dolce amaro
Morte abbia fatto, non è da pentere;
Chè ’l ben si dee pur far perch’egli è bene,
Nè può fallir chi fa ciò che conviene.
55 È gente che si tiene onore e pregio
Alcun ben che a lor venga per ventura;
Onde con poco cura
Mi par che questi menìn la lor vita.
Chè non adorna petto l’altrui fregio,
60Ma quant’uomo ha da sè per sua fattura
Usando dirittura
Questo si è suo, e l’opera è gradita.
Dunque qual gloria a nullo è stabilita
Per morte di signor cotanto accetto?
65No’l vede alto intelletto
Nè savia mente nè chi ’l ver ragiona.
O alma santa in alto ciel salita,
Pianger devrìati nemico e soggetto,
Se questo mondo retto
70Fusse da gente virtuosa e bona;
Pianger la colpa sua chi t’ha fallito,
Pianger la vita ognun che t’ha seguìto.
Piango la vita mia, però che morto
Sei, mio signor, cui più che me amava
75E per cui io sperava
Di ritornar dov’i’ sarìa contento:
Et or senza speranza di conforto
Più ch’altra cosa la vita mi grava.
O crudel morte e prava,
80Come m’hai tolto dolce intendimento
Di riveder lo più bel piacimento
Che mai formasse natural potenza
In donna di valenza,
La cui bellezza è piena di vertute!
85Questo mi hai tolto: ond’io tal pena sento.
Che non fu mai sì grieve condoglienza;
Chè ’n mia lontana assenza
Già mai vivendo non spero salute,
Ch’egli è pur morto ed io non son tornato;
90Ond’io languendo vivo disperato.
Canzon, tu te n’andrai dritta in Toscana
A quel piacer che mai non fu il più fino;
E fornito il cammino
Pietosa conta il mio lamento fero.
Ma prima che tu passi Lunigiana
Ritroverai ’l Marchese Franceschino;
E con dolce latino
Gli di’ che alquanto ancora in lui spero;
E, come lontananza mi confonde,
Pregal ch’io sappia ciò che ti risponde.
(Fu pubblicata, come di Dante, in Canzoni di Dante, Madrigali del detto, di M. Cino e di M. Gerardo Novello, Venezia, Guglielmo di Monterialto, 1518; ma restituita a Sennuccio nella Raccolta di rime antiche di diversi toscani, ecc., del Corbinelli, monca, però, e scorretta; fu riprodotta con miglior lezione dal cav. Zambroni nel tomo XIII del Giornale Arcadico, 1822, di sopra il Cod. 3213 Vaticano; e nel num. 69 dell’Antologia, settembre 1826, dal prof. Carlo Witte, che di nuovo l’attribuì all’Alighieri. Le ragioni per cui devesi ritenere senza dubbio come di Sennuccio, vedile esposte dal chiarissimo Fraticelli, a pag. 304 del Canzoniere di Dante, Barbèra, 1861. Noi, ripubblicando la canzone di Sennuccio, abbiamo scelto il meglio delle tre lezioni, del Corbinelli, del Zambroni e del Witte.)