Da chiuder gli occhi, e da serrarsi fora
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VI
PER TEODORO BEZA.
Da chiuder gli occhi, e da serrarsi fora
Ambe le orecchie, e dell’udir privarsi,
O fornirsi di piume, ed affrettarsi
Oltre i confin della vermiglia Aurora,
5Quando ci son presenti
Cose più ree, che mostri, e che portenti.
Come soffrir si può, che spirto impuro
Un terso specchio di virtù si stimi?
E che di gigli s’orni, e sì sublimi
10Con vanti d’onestade un Epicuro?
E ch’ei spieghi la Fede
Dell’eterno Monarca in cui non crede?
Ecco apparir da scellerata scuola,
In che sotto Calvino a nutrir s’ebbe
15Il fiero Beza; e per tal modo ei crebbe,
Che oracolo si fea di sua parola,
In Ginevra sofferto
Qual novello Mosè dentro al deserto.
Ed ei, che in gioventude il cor contento
20Tenne su Pindo fra pensier lascivi,
E che le ciance de’ Poeti Argivi
In Losanna spiegò per poco argento,
Valse con modi indegni
Infestare i regnanti, ardere i regni.
25Or quanto tempo all’esecrato nome
Perdoneransi i meritati inchiostri?
Ha rotto i voti, ha profanato i chiostri;
Ivi con froda le bell’alme ha dome;
Ha predati gli Altari,
30E d’ôro sacro ha carchi i grembi avari.
Sasselo Francia, ove stendardo atroce
Ei dispiegò della milizia inferna,
Allor che ad onta della legge eterna
Vibrava tuon d’abbominevol voce,
35Alto gridando: o sciocchi,
Perchè tanto nel ciel rivolger gli occhi?
Fra le stelle alcun Dio non fa soggiorno,
Che possa, o voglia ritenerci a freno,
Se a noi stessi oggidì non vegniam meno,
40Nostro sarà quanto veggiamo intorno;
Col sembiante s’adori,
Ma non sia Deïtà ne i nostri cori.