Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi/Libro secondo/5
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Nuova Signoria in Firenze, la quale tenta invano e con soverchia dolcezza la pacificazione delle parti. Pessima disposizione de’ Guelfi neri (1301, ottobre).
In questo stante furono in Firenze eletti nuovi Signori, quasi di concordia d’amendue le parti, uomini non sospetti e buoni, di cui il popolo minuto prese grande speranza; e così la Parte bianca, perché furono uomini uniti e sanza baldanza, e aveano volontà d’acomunare gli ufici, dicendo: "Questo è l’ultimo rimedio".
I loro adversari n’ebbono speranza, perché li conosceano uomini deboli e pacifici; i quali sotto spezie di pace credeano leggiermente poterli ingannare.
I Signori furono questi, che entrorono a dì XV d’ottobre 1301: Lapo del Pace Angiolieri, Lippo di Falco Canbio, e io Dino Compagni, Girolamo di Salvi del Chiaro, Guccio Marignolli, Vermiglio d’Iacopo Alfani, e Piero Brandini Gonfaloniere di Giustizia; i quali come furono tratti, n’andarono a Santa Croce, però che l’uficio degli altri non era compiuto. I Guelfi neri incontanente furono accordati andarli a vicitare a quattro e a sei insieme, come a loro accadeva, e diceano: "Signori, voi sete buoni uomini, e di tali avea bisogno la nostra città. Voi vedete la discordia de’ cittadini vostri: a voi la conviene pacificare, o la città perirà. Voi sete quelli che avete la balìa; e noi a ciò fare vi proferiamo l’avere e le persone, di buono e leale animo". Risposi io Dino per commessione de’ compagni, e dissi: "Cari e fedeli cittadini, le vostre profferte noi riceviamo volentieri, e cominciare vogliamo a usarle: e richieggiànvi che voi ci consigliate, e pognate l’animo, a guisa che la nostra città debba posare". E così perdemo il primo tempo, che non ardimo a chiudere le porti, né a cessare l’udienza a’ cittadini: benché di così false profferte dubitavamo, credendo che la loro malizia coprissono con loro falso parlare.
Demo loro intendimento di trattare pace, quando convenìa arrotare i ferri. E cominciamoci da’ Capitani della Parte guelfa, i quali erano messer Manetto Scali e messer Neri Giandonati, e dicemo loro: "Onorevoli capitani, dimettete e lasciate tutte l’altre cose, e solo v’aoperate di far pace nella parte della Chiesa; e l’uficio nostro vi si dà interamente in ciò che domanderete".
Partironsi i capitani molto allegri e di buono animo, e cominciarono a convertire gli uomini e dire parole di piatà. Sentendo questo, i Neri subito dissono che questo era malizia e tradimento, e cominciorono a fugir le parole.
Messer Manetto Scali ebbe tanto animo, che si mise a cercar pace tra i Cerchi e li Spini, e tutto fu riputato tradimento. La gente, che tenea co’ Cerchi, ne prese viltà: "Non è da darsi fatica, ché pace sarà". E i loro adversari pensavano pur di compiere le loro malizie. Niuno argomento da guerra si fece, perché non poteano pensare che a altro che a concordia si potesse venire, per più ragioni. La prima, per piatà di parte, e per non dividere gli onori della città: la seconda, perché cagion non v’era altro che di discordia, però che l’offese non erano ancora usate tante, che concordia esser non vi dovesse, raccomunando gli onori. Ma pensorono che coloro che aveano fatta l’offesa non potessoro campare, se i Cerchi non fussono stati distrutti e i loro sequaci: e questo male si potea fare sanza la distruzione della terra, tanto era grande la loro potenzia.