Cap. XIV

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XIII XV
Della sconfitta de Francia, là dove morze lo re de Boemia e·llo re de Francia fu sconfitto dallo re de Egnilterra.

Currevano anni Domini MCCC quanno fu fatta la orribile sconfitta in Francia, da priesso a Parisci a otto leuce, allo monte de Carsis, e fu sconfitto Filippo de Valosi re de Francia e fu vincitore Adoardo re de Egnilterra. La quale novitate fu per questa via. La cascione della guerra fra lo re de Francia e·llo re de Egnilterra fu questa e aitra non. Fu uno re de Francia moito sapio e buono e iusto lo quale abbe nome Filippo lo buono. Questo Filippo veramente abbe lo seno della croce nella spalla ritta. Anche iocava collo lione sì domesticamente como alcuno iocara con uno cacciulino. Questo re Filippo in soa veteranezze non se trovao erede maschio. Sola una figlia avea, la quale deo per mogliera ad Adoardo re de Egnilterra. La reina Isabella era chiamata. Quanno questo re Filippo venne a morte, non avenno figlio, non voize lassare sio reame senza governatore. Era in Francia uno nobile conte, lo quale avea nome Filippo, de Valosi conte. Questo era sio parente, non perciò della vera linea. Anche era lo più savio, saputo, scaitrito de senno de tutta Francia. Anche era prode, ca era stato allo suollo in Lommardia. Lassao lo re questo conte de Valosi sio fattore e despenzatore de tutto lo reame. Onne cosa li commise in mano. E così morìo e passao de questa vita. Remase Filippo de Valosi. Comenzao a reiere lo reame bene e saviamente. E vedenno che non avea contrario, vedenno che dello re non era figlio maschio, compusese colli baroni dello reame, compusese collo papa e sì se fece incoronare. Fu onto e sacrato in Ruen e sio figlio Ianni fu duca de Normannia. Da puoi che Adoardo re de Egnilterra sappe che Filippo avea presa la corona de Francia, iurao per la maiestate de sio renno mai non dare posa a Franceschi fi’ che non racquistava lo reame lo quale decadeva a soa matre. Poco li valeva l’ambasciate, poco li valeva losenghe, poco li valeva papa con soa corte. Allora mosse sio stuolo, sia granne oste, descenne per Egnilterra e con sio navilio regale passa lo mare e venne in terra ferma, nello terreno de Francia. Lo numero de soa iente fu diciotto milia uomini da cavallo, non più, trenta milia arcieri da pede, considerati famigli, fanti, cuochi e tutta iente. Ène usanza de Englesi che onne famiglio della casa hao un arco. Quanno lassa sio offizio, usa l’arco e stao per arcieri. Là fu lo re Adoardo. Là fu sio figlio Adoardetto, prence de Gales. Là fu la reina, conti, cavalieri e baroni assai. Carrette aveano da tre milia, piene de ciò che faceva mestieri a l’oste. Puoi che li Englesi àbbero passato lo mare, posati in terra ferma, la prima cosa notabile che lo re Adoardo facessi fu che tutto sio navilio fece tornare in Egnilterra. De ciò dubitao soa iente e dimannao: «Questo perché?» Respuse lo re e disse: «Io non voglio che aiate speranza nello tornare. Siate prodi». Puoi assediao una forte terra la quale era capo de quelli paiesi — Salluppo avea nome — e sì·lla prese per forza e tennela per si. Puoi se ne venne descennenno per la costa de Normannia, canto la marina. Terreno curze da più de doiciento miglia e veo ardenno e refocanno ville e castella, predanno e occidenno. Non trova reparo. Da longa mustra allo re Filippo lo granne danno che faceva. Moita iente prenneva e derobava. Dao per terra fortezze e torri, chi ad esso contrastava. Puoi scrisse allo re Filippo che·llo aspettassi e che voleva essere con esso a campo alla vattaglia, de ciò domannassi lo termine. Lo re Filippo domannao termine dìe quinnici, non più, quanto esso mannassi per sio figlio Ianni. Ianni duca de Normannia stava in Vascogna ad oste sopra un castiello lo quale hao nome Arpiglione. Là, sopra uno fiume, stava soa potentissima oste. Trabacche e paviglioni e onne guarnimento abannonao in campo, da puoi che abbe inteso lo commannamento de sio patre. Nulla demoranza fece. Mossese con soa granne iente. Solamente ne portao l’arme e·lli cavalli. Forte cavalca dìe quinnici. Non vaize sio forte cavalcare, ca, quanno ionze, erano passati dìe trenta, la baratta era fornita. Non potéo a sio patre dare succurzo. Non potéo essere alla sembiaglia. Ora tornemo alla materia. Lo re Filippo, avenno promesso de essere allo campo, ben sapeva che suoi baroni non li erano leali. Ben sapeva che soa baronia avea tratti li Englesi e allocatili in mieso de Francia. Troppo se dole che vede suoi nimici liberamente vagare per tutta la Francia, senza reparo. Puro se fornisce de iente assai e bona. Abbe da ciento milia cavalieri. Abbe da dodici milia pedoni. Abbe lo re de Boemia — Ianni abbe nome — con milli Todeschi. Questo re Ianni se delettava de ire a suollo. Anche abbe lo re de Maiorica — Ianni nome —, lo quale era cacciato de sio reame. Stava e prenneva suollo. Anche abbe Ludovico conte de Flandria, lo quale era cacciato de sio contado. Anche abbe missore Ottone de Oria e missore Carlo delli Grimaldi con cinque milia valestrieri genovesi. Moiti abbe conti e baroni e iente assai. Ora ne veo lo re de Egnilterra con sio sfuorzo e ionze de notte in una valle larghissima la quale stao appriesso de Parisci otto leghe. Quella valle — iace fra uno castiello lo quale se dice Monte de Carsia. Da l’aitro lato stao una villa de più de quattro milia perzone la quale hao nome Albavilla. Fra queste doi terre, nelli campi piani, a pede alla costa de Carsia, allocao tutta la soa iente e puse soa oste. Quanno questa iente ionta fu e l’oste allocata, notte era e era l’ora che sonava la squilla. Li currieri che ’nanti curzero e·lli spioni, li quali se accostaro a Parisci e a San Dionisi, odiero le campane de San Dionisi de Francia e·lle campane de Santa Maria delle Sciampelle che alla squilla sonavano. Anche odiero tutti li matutini delli religiosi e delle capelle che dereto li sequitano. Quanno la novella fu saputa in Parisci che·lli Englesi aveano puosto campo, tutta iente regale prese arme. E fu tanta la moititudine, che l’armatura fu vennuta dociento fiorini. L’alba dello dìe se fece. Piacque allo re Filippo che lo re de Boemia fussi capitanio generale e iessissi fòra allo reparo; e così fu. Iesse fòra de Parisci Ianni re de Boemia, figlio de Errigo imperatore, Ianni re de Maiorica, Ludovico conte de Flandria e tutta l’aitra baronia. Nello iessire fòra li Englesi guardavano da longa per la strada ritta de Parisci, la quale stao in una adatta veduta. Guardanno li Englesi sentiero lo traiere fòra e la venuta de Franceschi allo campo. Questo conubbero allo scianniare delli elmi lucienti e delli cimieri, anche delle banniere le quale facevano alli ragi dello sole che nasceva. Allora operze la vista Adoardo e conubbe infallibilemente che vattaglia non poteva schifare. E considerata la moititudine de Franceschi, non è maraviglia che affrissese un poco. Dubitao e ruppe voce e disse: «Ahi Dio, aiutame». Puoi prestamente, fra poca de ora, fece attorniare soa oste con bone catene de fierro, con pali de fierro moito spessi, ficcati in terra. Questo attorniamento era fatto alla rotonna, a muodo de uno fierro de cavallo, da onne parte chiuso, salvo che denanti li lassao uno granne guado, a muodo de porta, per fare l’entrate e·lle iessute. Puoi ce fece carvonara cupe, là dove lo luoco era debile. Onne Englese avea opera. Puoi attorniao queste catene colle carrette le quale aveano menate. Puse l’una carretta allato a l’aitra e·lli tomoni aizao deritti in airo. Bene pareva una bona citate murata, sì staievano le carrette spesse. Puoi ordinao soa iente così. Dallo lato sinistro, nella costa de Carsì, era una montatella. Là era un poco de selvotta. Erance anco lo grano, lo quale non era metuto. Era dello mese de settiembro, a dìe tre. Per le granne freddure in quello paiese lo settiembro lo grano se matura. Là in quella selvotta e fra lo grano nascuse e allocao dieci milia arcieri de Egnilterra da pede. Puoi puse ad onne carretta un barile pieno de saiette. Ad onne barile deo doi valestrieri. Puoi puse fòra della soa oste cinqueciento cavalieri de buono appriesto. Loro capitanio fu Adoardo principe de Gales, sio figlio. Questa fu la prima vattaglia. Dereto a questi cinqueciento puse doi ale, ciascheuna de cinqueciento buoni cavalieri, l’una dallo lato ritto, l’aitra dallo lato manco. Po’ questi cinqueciento ne puse milli. Questa fu la terza vattaglia. Po’ questi milli reservaose con tutta l’aitra cavallaria drento da l’oste, drento dalle catene. Questo fatto, confortao li suoi e accommannaose a Dio e disse: «Ahi sir Dio, defienni e aiuta la rascione». Questa fu soa conestavilia. Questa fu soa bella ordinanza. De sabato fu, alli dìe tre de settiembro. Essìo fòra de Parisci lo re de Boemia allo campo e pusese non moito da longa dalli Englesi. Era lo re de Boemia pullino. Non vedeva bene. La prima cosa, dimannao della conestavilia dello re Adoardo. Quanno intese così fatta conestavilia, subitamente disse: «Noi simo perdienti. Englesi perdire non puoco senza nuostro granne danno». Puoi demannao que tiempo fussi. Folli respuosto e ditto che sopra li Englesi stava l’airo pulito como zaffino, sopra Franceschi stava lo tiempo atto a piovia. Allora disse: «La vattaglia non fao per noi, fao per essi». Puoi mannao la ambasciata allo re Filippo in Parisci. L’ambasciatori dissero così: «Re Filippo, quanno piaccia alla aitezza vostra, la adosa non sia; ché senza danno non è, utilitate nulla. Meglio veo che staiamo fermi alli passi. Lo re de Egnilterra partire se vorrao. Quanno se partirao, noi li serremo dereto alle spalle. Averemo de esso mercato». Lo re Filippo fu forte turvato e fra le aitre paravole disse così: «Veome voluntate de annegare nella acqua de Secana, quanno lo megliore capitanio dello munno hao paura». Que paravole li ambasciatori non celaro allo re de Boemia. Allora lo re de Boemia disse così: «Oie bene se parerao ca io non aio paura. Anche bene se parerao ca·llo commattere ène più pascia che ardire». Allora commannao che·lle vattaglie ordinate curressino. ’Nanti questo curzo (alquanto era) avea ordinate nove vattaglie. Ma le tre fuoro le famose, le più principale. La prima vattaglia fu de missore Ottone de Oria e missore Carlo delli Grimaldi, capitanii de cinque milia Genovesi, valestrieri da pede. La secunna fu lo re de Maiorica collo conte de Flandria, con tre milia cavalieri. Puoi fuoro moite particulare vattaglie. Puoi fu esso re de Boemia con milli Todeschi e quattro milia Franceschi e sio figlio Carlo appriesso. La prima vattaglia che venissi allo campo la dimane tiempori fo li valestrieri genovesi, numero de cinque milia. A questi fu commannato che montassino nella costa de Carsia per soprastare alli Englesi; ma non venne fatto, ché·lli Englesi aveano occupato lo colle e puosti li impedimenti fra lo grano. Dunqua se pusero in un aitro monticiello da longa. Puoi sopravenne una sciagura; ché non valestravano, ca non potevano caricare le valestra. Era stata una poca de pioverella. La terra era infusa, molle. Quanno volevano caricare le valestra, mettevano un pede nella staffa. Lo pede sfuiva. Non potevano ficcare lo pede in terra. Allora se levao un bisbiglio infra li Franceschi e dubitavano che·lli Genovesi fussino traditori, perché non aveano receputa la paca. Dicevano: «Questi non valestraraco e se valestraraco, iettaranno aste senza fierro. Dunqua morano Genovesi». Questo dicenno Franceschi se muossero a furore contra li loro sollati. Traievano crudamente de spade e de lance. Genovesi fuoro tutti occisi fi’ ad uno. Mormoraose missore Ottone allo re della morte de soa iente, lo quale respuse e disse: «Non avemo bisuogno de pedoni. Iente avemo assai». Questa fu la prima varatta. Cinque milia Genovesi fuoro occisi ad una ora. Ora se avegìo le frontiere, le ponte delle vattaglie Ianni re de Maiorica a Adoardo duca de Gales. Nella adosa fu sì granne lo strillare, sì granne lo romore e·llo scuoppio delle aste, che parze che doi montagne se urtassino insiemmora. Tal dao, tal tolle. Sonano instrumenti, tromme, cornamuse assai. In questa vattaglia fu una tale novitate. Lo prence de Gales avea speronato lo sio cavallo moito drento dalli nimici. Solo granne danno faceva. Uno conte, lo quale se appellava lo conte Valentino, lo vidde e conubbe. Cresese forte avere guadagnato. Per gran pesce prennere l’amo iettao. Accostao sio cavallo quetamente e abracciao Adoardo prence de Gales. Puoi lo prese per le catenelle della corazza e disse: «Tu si’ mio presone». Allora se ferma e fortemente lo traieva della schiera e connucevalo in soa libera balìa. Mentre che così lo conte Valentino menava lo figlio dello re de Egnilterra, sopravenne lo conte de Lancione, lo quale era frate carnale allo re Filippo, e vedenno che Adoardetto era perduto, legato como pecorella, disse queste paravole forte iratamente: «Ahi conte Valentino, como si’ tu tanto ardito de menare in presone mio cusino?» E questo dicenno non aspettao resposta nulla, anche se fionga e aizao una soa mazza de fierro inaorata, la quale teneva in mano, e ferìo lo conte Valentino nella testa. E spessianno li colpi uno dopo l’aitro, lo conte Valentino perdìo vigore. Lassao lo freno e·lle catenelle de Adoardetto e muorto cadde in terra de sio cavallo. Allora Adoardetto, speronato, nimirum alegro tornao alla soa schiera, la quale ià avea comenzato ad affiaccare. Questa novitate vidde Ludovico conte de Flandria, lo quale, como ditto ène, era cacciato de sio contado, stava a suollo in Parisci per gran tiempo. Era omo veglio, perzona bona e onesta. Amava moito lo re Filippo e sio onore. Conubbe che·llo tradimento era in mieso della baronia de Francia. Più non potéo celare la soa voglia, che non dicessi lo vero. Soavemente aizao la voce e disse: «Ahi conte Lancione, questa non è leanza né bontate la quale devete servare alla corona. La guerra era venta dove l’hai fatta perduta». Quanno lo conte Lancione odìo questo, non voize odire più. Voize la testa de sio destrieri e con quella medesima mazza tanto colpiao lo conte de Flandria vecchiarello, che·llo occise. O cruda cosa, che a questo simo connutti, che per dicere lo vero e reprennere lo male fatto deggia omo perire. Non fu alcuno della compagnia dello conte de Flandria tanto ardito che ne facessi fiato. Solo uno destretto famiglio sio, domestico, omo da pede, de vile lenaio, vedenno tanta crudelitate, sguainao un sio stuocco e sì·llo impontao nello ventre allo conte Lancione e sì·llo passao oitra in parte, sì che lo conte Lancione, traditore de sio frate, là nello campo morìo. Questo famiglio, lo quale occise lo conte Lancione, gìo denanti allo re Filippo e disse ca avea muorto sio frate per vennetta de sio signore e dello tradimento lo quale esso fece, e questo provao per bona testimonianza. Questo odenno lo re Filippo li perdonao e de esso non voize vennetta. Mentre queste cose se facevano, li arcieri englesi descennevano dalla costa infra lo grano e non finavano de iettare frezze infra la cavallaria. Stienno l’arcora e saiettano: ’Da, da, da’. Onne iente pericolavano. Nello lato manco sfonnavano li cavalli, donne l’oste fu moito mancata. La iente feruta dao allo tornare. Li cavalli cado muorti. Li Englesi se fiongano. Quella vattaglia fu perduta. Intanto moite fuoro le vattaglie e le belle conestavilie. Que fu la più famosa? Una industria servano li Englesi da cavallo. Quanno vedevano l’omo loro muorto, in luoco dello muorto ponevano lo vivo, in luoco dello feruto remettevano lo sano, in luoco dello stanco mettevano lo fiesco. Puoi commutavano, ché·lli cinqueciento della ala ritta vennero alla fronte denanti. In luoco loro venne la mitate delli milli li quali staievano alla terza vattaglia. E quelli denanzi tornaro alli milli. E così commutavano l’ala manca. La schiera guardiadereto, la grossa regale, sempre stava ferma in sio luoco. Non se fora mossa senza granne cascione. Lo re Ianni de Maiorica in questo stormo non se morìo, ma fu feruto nella faccia. Moito crudamente esso morìo in sio paiese. Volenno tornare a sio reame, commattéo con sio cunato, lo re de Maiorica, e fu sconfitto e sì·lli fu tagliata la testa. Puoi che queste vattaglie fuoro infugate, lo re de Boemia demannao alli suoi a que partuto stava lo campo. Respuosto li fu che nello campo non era remasa perzona vivente aitra che solo esso con soa iente. Tutti Franceschi erano attriti. Li Englesi stavano fuorti e rigidi, fermi, con loro stennardo ritto levato. Allora lo re de Boemia commannao che se apparecchiassino a ferire doi grannissimi baroni, li quali erano suoi collaterali. Dissero così: «Que vòi fare tu? Tutta iente francesca ène sbarattata. Li Englesi staco fuorti. Noi non simo saiza. A tanta iente è pazzia lo ire». Respuse lo re: «Dunqua voi non site li figli de quelli doi miei amici li quali fuoro li più prodi che fussino in la Alamagna». Respusero li doi baroni: «Prodezze non bisogna, ca non simo cobelle appo·lli nimici». Respuse lo re: «Io voglio che ne iamo. Iamo a morire ad onore». Dissero li conti: «Che guadagni tu della toa morte e della nostra?» Respuse lo re: «Per bona fede, questo che dico io lo dico perché me credo pugnare per la veritate». A questo li doi baroni fuoro conventi. Como pecorella abassaro le loro voci e dissero: «Re, fa’ ciò che a te piace». Allora lo re fece venire denanti a sé alquanti baroni, li quali erano li maiuri de Luzoinborgo e dello reame de Boemia, e sì·lli commannao che a sio figlio Carlo fussino obedienti como alla perzona soa e che·llo devessino onorare como re e signore. Anche li commannao che·llo salvassino fòra dello stormo. Puoi commannao alli conti, li quali erano nelle fronte denanti, che·llo mettessino tanto innanti e drento fra li Englesi, che, se fecessi mestieri, lo tornare non se potessi. Puoi incatenaose in mieso delli doi baroni sopraditti e legaro le catene delle corazze, perché fussi a loro commune una morte, uno onore. La prima schiera fu milli Todeschi de Luzoinborgo, iente da bene, Boemii e ientili uomini de Praga. Po’ essi sequitavano quattro milia Franceschi, Borgognoni e Piccardi. Sio figlio Carlo se servao dereto. Allora sonaro le tromme e·lle cornamuse da parte in parte. Allora abassaro l’aste e speronaro li destrieri. Allora se fiero senza misericordia. Li Englesi servaro doi viziose industrie: la prima, che·lli cinqueciento cavalieri denanti refiescaro colli milli dereto; la secunna, ca·lle doi ale delli cinqueciento e cinqueciento fecero allargare e prennere campo a destri ed a sinistri, accostannosi alla frontiera da costa. Quanno li Todeschi se fuoro aduosso colli Englesi nelle prime frontiere, allora le ale, le quale aveano preso campo, feriero dalli lati da costa, da ciasche parte. Lo re de Boemia fu attorniato denanti, da lato e da costato. Lo cavallo dello re cadde. Lo re tramazzao e fu muorto dalli cavalli [delli] doi baroni allato ad esso. Cade in prima missore Haun dello Tornello, uno nobile cavaliero francesco lo quale portava la banniera dello re. Questo fu quasi delli primi collo re scavalcato e muorto. Li milli Todeschi non diero le spalle, anche fecero bona resistenzia, dato che non avessino né re né confallone. Moiti Englesi moriero. Alla fine la schiera dello re de Boemia fu attrita, como se trita poca saiza da granne pistello. Stava Carlo figlio dello re Ianni da longa alquanto. Quanno intese sio patre essere muorto e sconfitto, non potéo tenere le lacrime. Intanto parlao e disse: «Moramo con esso». Ià moveva soie banniere per ire. Lo sio ire era temerario, senza utile, ca·lli Englesi stavano più fuorti che mai. Ira, tristezze e furore lo menavano. Allora li suoi baroni li fuoro intorno e presero lo cavallo per lo freno e voitaro la testa inver’ de Parisci e sì·llo strascinaro a malo sio talento fine in Parisci; e là se posao. Lassaose fare doice forza e fece lo meglio e mustrao lo animo de volere fare. Ora non è chi tenga campo per lo re de Francia. Lo campo remase alli Englesi. Li Englesi non se diero alla robba. Anche fecero una cosa moito notabile. Bene da tre dìe po’ la sconfitta non se trassero arme da duosso, non descesero da cavallo. Non se partìo stennardo regale de campo. Non se mosse alcuno della guardia. Puoi che viddero che omo nullo contradiceva, le locora erano secure de aguaito, allora una parte ordinata se deo alla robarìa, allo arnese guadagnato, a spogliare le corpora morte. Ecco quella nobilissima sconfitta fatta in Francia alla villa de Carsia. Sessanta milia uomini muorti in campo. Moiti fuoro li presoni. Muorto lo re de Boemia, capitanio generale della oste, lo conte de Lancione de Valosi, Aloisi conte de Flandria e aitri baroni assai. Milli e cinqueciento para de speroni d’aoro se trovaro li Englesi guadagnati, senza le aitre milli e treciento banniere prese nella rotta. Li milli Todeschi ne fuoro portati in Parisci con carrette. La maiure parte dello cuorpo dello re de Boemia fu portata: gran parte ne era guasta. Queste corpora ne iessiro nude de campo a Parisci alla sepoitura. L’aitra iente non fu coita allora, anche demorao dìe quattro in piana terra, in spettaculo de onne iente. Po’ questo li Englesi cuoizero lo campo e tutto loro arnese assettaro nelle carrette e, fatta ordinata compagnia, non demoraro più. Vanno e tornano a reto. Loro camino fu a Calese, lo forte castiello canto la marina, per assediarlo. Calesani stavano perfidi, fideli allo re de Francia. Pescatori soco, ca staco canto mare, mala iente, derobatori de mare. Quanta iente passava per mare de Egnilterra in Francia, tanta robavano. Allora lo re Adoardo là ne gìo e assediao quello castiello de Calese mesi tredici per mare e per terra. Per mare abbe navi che guardavano li passi, che non potessino avere né entrata né iessuta. Per terra esso sì·llo assediao. E fece uno fossato terribile da si’ allo castiello. Puoi circonnao l’oste soa con un aitro fossato grannissimo e con tavole lo armao, perché nullo potessi offennere soa iente. Ora stao lo assedio. Ora ionta macine e palle de piommo su nelle porte. Tutte le infragne, tutte le scommove. Ietta prete de trabocco. Non fina notte e dìe. Ietta fuoco nella terra. Bombarde, spingarde e aitre orribile cose da pericolare lo castiello e·lli avitatori. Calesani forte se defennevano. Anche essi avevano trabocchi e tormenti da commattere in terra. Iettavano in mare, in terra, como fao la spinosa. Una piommata essìo de Calese e coize una nave granne e bona. Sfonnaola e sì·lla affonnao in mare. Ià mancata era la vivanna nello castiello e anche nello oste. Quelli non se volevano rennere. Questi non se movevano da assedio. La fame era granne. Ià Calesani aveano incomenzato a iettare li suorti che l’uno manicassi l’aitro. Nell’oste comenzava la iente povera a manicare li cavalli. Calesani, costretti per la fame, con licenzia de Adoardo mannaro lettere allo re, che succurressi. Lo re de Francia cavalcao con doiciento milia perzone. Era tornato sio figlio Ianni, duca de Normannia. Quanno l’oste dello re se approssimao a Calese, trovao l’oste dello re Adoardo forte curata sì de fossati sì de tavolati. Non pò passare, non se pò accostare per le moite frezze. Allora lo re Filippo mannao per Adoardo, che iessissi fòra allo campo, alla vattaglia. Respuse Adoardo: «Io iesseraio fòra alla mea petizione, non alla toa». Respuse lo re Filippo: «Granne vergogna ène. Io staio in campo. Tu non si’ ardito iessire fore alla vattaglia». Respuse Adoardo: «Vergogna non ène, ca io non staio indarno. Lo mio stare non è senza utile. Io intenno mo’ sopra Calese. Lo primo dìe che l’opera de Calese ène fornita io iesseraio fòra allo campo». Respuse lo re Filippo: «Calese te dono io. Non lassare per ciò. Da mo’ sia tio». Respuse Adoardo: «Non bisogna che tu me lo doni, ca quello che io me guadagno colla spada in mano non bisogna che me sia donato». Allora lo re Filippo, non potenno passare, deo licenzia a Calesani che provedessino ad onne loro fatto e salute. Deo la voita in reto e tornao in Parisci. La fame consumava Calesani. Calesani demannaro mercede allo re de Egnilterra. Diceva lo re: «Como averaio mercede, che me haco fatto despennere tutto mio ariento?» Le porte fuoro aperte. Lo re voleva tutti Calesani occidere, ma per la pregaria instantissima della reina e de alquanti mastri in teologia lo re li perdonao. Iessiro Calesani de Calese con una gonnella per omo, aitro no. Calese con aoro, ariento, panni e animali remase alli Englesi. Quello castiello fu empito de Englesi. Bene serve alla corona de Egnilterra fi’ allo dìe de mode.