Cristoforo Colombo (de Lorgues)/Libro II/Capitolo I
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Traduzione di Tullio Dandolo (1857)
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CAPITOLO PRIMO
§ I.
Una selva d’alberi e vele fu vista popolare la baia di Cadice; quattordici caravelle ancorate intorno a tre grandi navi (la più alta delle quali, chiamata la Graziosa Maria faceva sventolare la bandiera ammiraglia) contenenti i primi elementi di una vasta colonizzazione.
Oltre le munizioni da bocca, sementi di alberi, frumento, segale, avena, legumi per seminar le terre, ecc., l’ ammiraglio aveva fatto imbarcare bestiame, e cavalli destinati alla riproduzione, strumenti aratorii, calce, mattoni, ferro, ecc.
Oltre lo Stato Maggiore, i Religiosi, i soldati gli agricoltori, i giardinieri, i fabbri ferrai, muratori, ecc., molti d’ogni età e d’ogni grado entusiasmati per le regioni delle spezierie e dell’ oro, avevano brigato il favore di andarvi a proprie spese: non se ne poterono ricevere che settecento, i quali furono scompartiti sulle caravelle; ma era tale la frenesia dell’oro, che più di trecento di tai cercatori di fortuna penetrarono di nascoso nelle navi, e vi si appiattarono fra le casse e i sacchi de’ viveri. Qual contrasto fra la costernazioue e le lagrime della prima partenza da Palos, e le gioie dell’imaginazione e l’impazienza di buon augurio che si vedeva allora intorno alla flotta!
Sulla Graziosa Maria si notavano il bacelliere Gil Garcia, alcade maggiore, Bernal Diaz de Pise luogotenente de’ controllori generali, Sebastiano de Olano ricevitore dei diritti reali, l’astronomo Fr. Juan Perez de Marchena, il medico in capo dottor Chanca, il commendatore Gallogo, il commendatore Arroyo, Juan Aguardo intendente della cappella reale; i gentiluomini Gaspare Beltram, Pedro Margarit, Francesco de Penasola, Pedro Novarro, e Micer Girao, servi della Regina, Juan de la Vega, cameriere dell’infante, Melchiore Maldonado parente del cosmografo, Gines de Corvalan, che si era segnalato nella guerra contra i Mori, il metallurgista Firmin Zedo, l’ingegnere meccanico Villacorta, e due interpreti indiani battezzati, l’uno de’ quali, nato a Guanahani, primo punto della scoperta, aveva avuto per padrino il fratello dell’ammiraglio, e si chiamava come lui Diego Colombo. Quivi si trovava, altresì, qual semplice passaggero, lo stimabile Francesco de Casaus, più conosciuto sotto il nome di Las Casas. Suo figlio Bartolomeo, divenuto poscia immortale pel suo ardente amore per gli Indiani faceva allora, a Siviglia, i suoi primi studi.
L’ammiraglio, alquanto cagionevole della salute, ma di spirito sempre vigoroso, aveva seco il suo più giovane fratello don Diego, e i suoi due figli Diego e Fernando, venuti a lui per abbracciarlo. Appena soffiò il vento favorevole, l’ammiraglio si trovò incontanente rimesso in salute; e il 25 settembre, un’ora prima che levasse il sole, alla presenza de’ suoi figli che lo contemplavano dalla riva, dalla sua nave la Graziosa Maria, diede l’ordine di mettere alla vela.
Lo seguitò con ardore la flotta governando verso le Canarie, ove si doveva far posa. L’ammiraglio vi giunse il primo ottobre; turò la via d’acqua che si era dichiarata in una delle caravelle, ripartì la domane a mezza notte; e il 5 ottobre si accostò alla Gomera per provvedervi legne ed acqua e comprar vitelli, capre e pecore che pensava doversi acclimatare nelle nuove terre più facilmente che gli animali allevati in Ispagna: v’imbarcò altresì otto maiali, pagati circa quattro franchi e mezzo l’uno, que’ maiali donde poi provvennero tutti quelli che hanno popolato le Antille e il nuovo continente: prese eziandio galline, uccelli, e via dicendo; e oltracciò sementi per orti. Il lunedì sette ottobre ogni capitano di caravella ricevette una lettera sigillata da non doversi aprire che quando il cattivo tempo li separava dalla flotta: essa notava la strada da seguire per giungere direttamente alla Spagnola. Immediatamente l’ammiraglio diede l’ordine di partenza, ma la calma lo trattenne sette giorni dinanzi alle Canarie. Il 15, con buon vento dell’est, si perdettero di vista le vette dell’isola di Ferro.
Colombo governò molto più avanti nel sud che non aveva fatto nel suo primo viaggio. Egli voleva giungere ai terribili Caraibi, di cui aveva udite spaventevoli descrizioni, e si mise sul più diretto cammino. Come nel primo tragitto, la sua nave era una delle più lente al corso, e spesso tutta la flotta diminuiva le vele per aspettarla. L’ammiraglio aveva inalberata la sua bandiera su quella nave, perchè si chiamava la Graziosa Maria. È noto ch’egli era divotissimo della Santa Vergine: aveva posto il suo secondo viaggio sotto la speciale protezione di Lei, e risoluto di dare il suo nome alle prime isole che scoprirebbe. La Patrona de’ marinai, la Stella del mare pareva, che, accettando un tale omaggio, favorisse la sua navigazione. Tutto era calma e riposo per gli equipaggi. Per dodici giorni e dodici notti non fu bisogno di cercar nuovi soffi di vento. La pianura erbosa, distesa come a spauracchio sulla sua prima strada, non si vide punto. Ma il 26 novembre sopraggiunse una fiera procella, la cui violenza non durò che quattr’ore. ll fuoco sant’Elmo apparve sulla cima degli alberi: i marinai se ne allegrarono, essendo persuasi che alloraquando esso si ferma sopra una nave, questa non può più andar perduta non ostante il furor della tempesta.
Sette giorni dopo, l’ammiraglio, alle subite variazioni dei venti, alla qualità della pioggia, al colore delle onde presenti la vicinanza della terra. Egli era sì certo di scoprirla che alla notte comando preparar le armi ad ogni evento. Di fatto, al primo albeggiare, la domenica tre novembre, apparì un’isola montagnosa, lontana circa sette leghe, che in onore del giorno, l’ammiraglio chiamò la Dominica.
Tutta la flotta ringraziò Dio solennemente. La gioia era estrema: tutti que’ viaggiatori novizi nella vita marinaresca vi si trovavano troppo a disagio e sospiravano la terra. Avanzandosi verso l’isola, se ne scoprì un’altra alla destra della Graziosa Maria, coperta di alte foreste. Un po’ più lungi ne furono additate quattro. Non avendo l’ammiraglio potuto trovare un porto conveniente alla Dominica si diresse sopra la seconda isola; vi discese, tenendo lo stendardo reale della spedizione, attorniato dal suo Stato Maggiore, e ne prese signoria in nome delle Loro Altezze nella forma consueta, consacrandola alla Vergine con nome di Graziosa Maria. ll padre Boil e i suoi Religiosi non si trovavano a bordo coll’ammiraglio, essendo imbarcati sopra altra nave. Nella sua qualità di astronomo, l’amico di Colombo, il Francescano Juan Perez di Marchena stavagli accanto: fu così il primo sacerdote che calcasse il suolo del Nuovo Mondo: dovette in questa circostanza benedire la Croce di legno che, secondo la sua abitudine, l’ammiraglio faceva rizzare in tutte le terre che scopriva, ad esprimere lo scopo della sua impresa, e rendere omaggio al Redentore.
La dimane, l’ammiraglio si volse alla più grand’isola di quel gruppo, e le impose il nome di Guadalupa, in memoria di Nostra Signora del convento della Guadalupa, in Ispagna, e secondo la promessa da lui fatta ai Religiosi di quel monastero.
La più picciola delle caravelle fu mandata in cerca di un porto. Avendo il capitano veduto un ancoraggio, prese terra accompagnato da alcuno de’ suoi, entrò le case donde gli abitatori erano fuggiti abbandonandovi i loro figliuoli: vi trovò due grandissimi papagalli, di una specie sconosciuta, copia di cotone filato, provvigioni da bocca e quattro o cinque ossa di gambe e di braccia umane.
L’ammiraglio si trovava nella principale delle isole Caraibe, verso le quali si era diretto salpando dalle Canarie. Con una precisione prodigiosa, era giunto in diritta linea al centro della regione abitata dai Cannibali; perocchè la Guadalupa che i suoi feroci abitatori chiamavano Turuqueira, era la sede della confederazione de’ mangiatori d’uomini.
§ II.
La dimane sul far del giorno l’ammiraglio mandò nel paese diversi drappelli condotti da capitani per aver notizia sulla popolazione dell’isola. Questi drappelli frugarono invano, e tornarono senza aver preso alcun indigeno, eccetto un fanciulletto che un selvaggio teneva per mano e abbandonò per fuggir più presto: condussero seco donne straniere, tenute prigioniere nell’isola, e un giovanetto di circa quattordici anni: s’impadronirono di alcune indigene, che vennero alle caravelle repugnanti e forzate.
Quella sera, Diego Marquez, controllore della marineria, comandante di una caravella, sceso a terra con otto uomini senza licenza, non tornò più a bordo. La dimane neppure. L’ammiraglio era molto inquieto sulla loro sorte. Si temette che fossero stati uccisi e mangiati dai Caraibi: vi aveano fra essi marinai molto valenti, che con solo osservar le stelle avrebbero dovuto ritrovar la strada. L’ammiraglio spedì grossi drappelli in cerca di costoro, fece sonar le trombe, e trarre colpi d’archibugio nei boschi. Ma, dopo aver aspettato due giorni inutilmente, per risvegliar lo spirito della disciplina, fece le mostre di partire dicendo, che, poich’erano sbarcati senza permesso, rimarrebbero a loro rischio e pericolo. Gli amici che il controllore aveva sulla flotta, lo supplicarono di non abbandonare quegli infelici alla ferocia de’ Cannibali. Egli mostrò di lasciarsi commovere e aspettò ancora. In quella l’ammiraglio fece provvista di legne, di acqua e permise agli equipaggi di andarsi gli uni dopo gli altri a riposare sulle verdi zolle della riva: indi mandò l’intrepido Alonzo de Ojeda, la cui sagacia eragli conosciuta, a investigare i dintorni alla testa di quaranta uomini. Non ostante il rapido correre di lui in mezzo a inestricabili foreste, non ostante che di quando in quando facesse scaricare gli archibugi e sonar le trombe, tornò senza avere scoperta alcuna traccia de’ suoi smarriti compatrioti, e neppur l’ombra di un indigeno.
Dal canto suo l’ammiraglio faceva collo Stato maggiore frequenti escursioni, esaminando il suolo e visitando le abitazioni deserte della popolazione: vidervi copia di crani che servivano di utensili: trovarono in una casa il collo di un uomo che andava cuocendo in una specie di pentola; e in altre case diverse teste, e copia di membra umane sospese come provvigione.
Seppero dalle donne prigioniere che gli uomini di questa parte dell’isola erano partiti col loro capo, in numero di circa trecento sopra dodici grandi canotti per andare a fare le loro provvigioni nelle isole vicine: si avventuravano, fin oltre cento leghe, su quei battelli per rapir uomini, la cui carne riusciva al loro palato una vivanda deliziosa: è cosa strana, che non pregiavano carne delle donne e de’ fanciulli: tuttavia rapivano anche donne e fanciulli; questi per ingrassarli e mangiarli quando avessero tocca l’adolescenza, e quelle per servirsene come schiave o quali amanti: se ne avevano figli, questi sciagurati non erano risparmiati: nonostante la disperazione delle loro madri, li privavano della loro virilità. e gl’impiegavano in diversi uffici sino alla loro pubertà: allora poi gli uccidevano per cibarsene: trattavanli a mo’ di capponi, affine di ingrassarli meglio e dar loro miglior sapore: non conservavano che i figli la cui madre era del lor sangue.
Più di venti donne prigioniere seguirono gli Spagnuoli alle loro navi: tre giovanetti vennero anch’essi. Già aveano subita la mutilazione: donne prigioniere vennero a chiedere agli Spagnuoli che le conducessero seco: dopo di averle adornate con sonaglietti e cose di vetro, Colombo le fece rimettere a terra: pensava che la veduta di quegli ornamenti farebbe decidere alcuni isolani a venire a riceverne di simili. Ma la dimane, quando i marinai scesero a terra per rinnovare l’acqua, quelle prigioniere accorsero stendendo ad essi le loro braccia spogliate: i lor padroni avevano loro strappato di dosso quei fregi: supplicarono gli Spagnuoli di condurle via amando meglio di abbandonarsi a degli sconosciuti anzichè rimanere soggette alle crudeltà de’ Cannibali.
In quella che la flotta, passati otto giorni, era sul levar le áncore, furono visti Diego Marquez e i suoi compagni che menavano seco dieci tra donne e fanciulli: erano rifiniti, e in un compassionevole stato. Gli sciagurati avevano sofferto orribili patimenti, cresciuti dal timore di essere abbandonati. Indarno speravano di orientarsi montando sugli alberi, perocchè lo spessore del fogliame non aveva loro mai consentito di poter distinguere una stella. Non ostante, la gioia che ispirava il loro ritorno, l’Ammiraglio, per dare un esempio, ebbe la fermezza di porre agli arresti il capitano, e di privare di una razione gli otto uomini che erano sbarcati senza permesso.
Incontanente mise alla vela.
La dimane, a mezzodì, costeggiava un’isola piuttosto alta, pittorescamente disegnata, piena di freschezza e di armonia; l’ammiraglio la chiamò il Monserrato, in onore del celebre santuario della Vergine, all’ermitaggio di questo nome. Ma non vedeva alcun segno di coltura o di popolazione. Abusando della loro vicinanza, i Cannibali della Guadalupa l’avevano spopolata: la razza umana n’era scomparsa. «I Caraibi avevano mangiato tutti gli abitatori.»
Contemplandola con tristezza, Colombo tirò innanzi senza fermarvisi.
La sera, scoperse un’altr’isola: ponendola sotto il patronato della santa Vergine, la chiamò Santa Maria della Rotonda.
La mattina del dimani sorse all’orizzonte una nuova isola di bella apparenza. L’ammiraglio la mise anch’essa sotto la protezione della Vergine e le impose il nome di Santa Maria l’antica, che la conserva ancora sotto l’abbreviazione di Antigua.
Il giorno seguente, abbordò ad un’isola, ove si vedevano villaggi e colture: «quantunque l’ammiraglio non l’avesse mai percorsa, pur si dirigeva per essa molto bene,» disse il medico in capo sorpreso della sorprendente precisione dello sguardo di Colombo anche per quelle plaghe sconosciute. Giunse ad un villaggio deserto: non si poterono cogliere che sei donne e alcuni fanciulli rapiti tutti dalle isole vicine.
Tornando colla sua preda, la scialuppa scopri’lungo la costa un canotto che portava quattro uomini, due donne e un fanciullo. Questi indigeni erano rimasi sulla riva, a veder la flotta, oltre un’ora immobili, cogli occhi fissi sulle navi; e siccome nella loro sorpresa non si guardavano dalla scialuppa, questa si accostò tanto da tagliar loro la ritirata. I Caraibi avvistisi tutto ad un tratto della cosa, presero risolutamente i loro archi, e quantunque si vedessero a fronte venticinque soldati, cominciarono non pertanto l’attacco, combattendo essi e loro donne; e fin dalle prime ferirono colle loro frecce avvelenate due spagnoli, che se gli Spagnoli non avessero avuto scudi e corazze, i Caraibi ne avrebbero menato in brev’ora una grossa strage, cotanto forti erano lor archi e ben diretti lor colpi. Vedendo questo l’ufficiale cacciò la scialuppa sul canotto, il quale andò sossopra. Sebbene a nuoto i Caraibi continuarono a scoccare frecce, indi fuggirono immergendosi nell’acqua. Gli Spagnoli non poterono impadronirsi che di uno solo di que’ feroci isolani; e per averlo bisognò trapassarlo d’un colpo di lancia, del quale mori a bordo.
Venuta la sera del dimani, si riconobbe un’isola che l’ammiraglio chiamò Santa Croce. Il giorno seguente, vide una gran terra, seguita da oltre quaranta isolette. L’ammiraglio nominò la principale di tali isole Sant’Orsola e l’altre le Undici mila Vergini.
La dimane si giunse ad un’isola grande e bella, patria della maggior parte delle indiane riparatesi sulle caravelle. Gli indigeni la chiamavano Boriquen; l’ammiraglio le diè il nome del precursore del divino Maestro, San Giovanni Battista. Esposti alle correrie de’ Caraibi, i suoi abitanti facevan com’essi uso dell’arco, ma solo per difendersi. L’eleganza delle loro capanne, e i deliziosi loro giardini chiarivano una certa abilità; rizzavano altresì dinanzi alle loro abitazioni gallerie coperte e attorniato di verdura per godervi sotto il rezzo e la veduta del mare; ignoravano l’arte del navigare e non costruivano canotti da guerra.
Da quel punto l’ammiraglio si diresse a piene vele verso l’isola Spagnola, la cui guarnigione lo preoccupava grandemente. Fu vista una terra che nessuno conosceva. Quantunque passasse lungo una costa, a cui non si era mai accostato pure sembrava ch’ella fossegli familiare. «Si continuò non pertanto a navigare, dice il dottore Chanca, colla grazia di Dio e la scienza dell’ammiraglio, non altramente che se avessimo seguito una strada conosciuta ed aperta.»