Così parlò Zarathustra/Parte terza/Della grande brama
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Della grande brama.
«O anima mia, io ti insegnai a dire «oggi» al pari di «una volta» e di «allora», ed a passare danzando oltre ogni confine prossimo e lontano.
O anima mia, io ti liberai dalla polvere, dai ragni e dalla penombra.
O anima mia, io tolsi da te il meschino pudore e l’arida virtù, e ti persuasi a startene nuda al sole.
Con la tempesta, che si chiama «spirito», io soffiai sul tuo mare agitato tutte le nubi spazzai via col mio soffio, e soffocai persino quello strangolatore che ha nome «peccato».
O anima mia, io ti ho conferito il diritto di dir no come la tempesta e sì come un cielo sereno: tu sei tranquilla al pari della luce e così attraversi le bufere struggitrici.
O anima mima, io ti ridonai la libertà su le cose create e increate: e chi conosce, come tu conosci, la voluttà di ciò che ha da venire?
O anima mia, io ti insegnai il disprezzo: non già quello che rode, come un tarlo, ma quello che tanto più ama quanto più sprezza.
O anima mia, io ti insegnai così efficacemente la persuasione, che hai appreso tu stessa a persuadere le tue ragioni: simile al sole che persuade persino il mare a levarsi verso la sua altezza.
O anima mia, io ti tolsi tutto ciò che si chiama obbedire, piegar le ginocchia e dir «signore»; io diedi a te stessa il nome di «francata dal bisogno» e di «fato».
O anima mia, io ti diedi nuovi nomi e variopinti trastulli; io ti chiamai «fato», e «orbita delle orbite», e «cordone ombelicale del tempo», e «cupola azzurra».
O anima mia, io abbeverai il tuo suolo di sapienza, e di tutti i nuovi vini ed anche dei vini oltre ogni memoria antichi e fervidi della sapienza.
O anima mia, ogni luce di sole e ogni tenebra di notte io diffusi su te, e ogni silenzio e ogni brama; — e tu crescesti simile ad un ceppo di vite.
O anima mia, straricca e sovraccarica tu sei ora, un ceppo di vite con le poppe turgide e coi grappoli copiosi e dorati!
— Copiosi e ricchi della tua felicità, e ancor vergognosi della attesa.
O anima mia, non v’ha in nessun luogo un’anima più di te ricolma d’amore, più pronta all’abbraccio e più vasta! Dove l’avvenire e il passato potrebbero esser più fortemente l’uno all’altro congiunti che non in te?
O anima mia, tutto io ti diedi: le mie mani per te son rimaste vuote: — ed ora? Ora tu mi chiedi con un mesto sorriso: «Chi di noi due deve render grazie?».
Non deve forse il donatore ringraziar l’accettante dell’aver accettato? Non è forse il donare un bisogno? Il prendere — non è forse pietà?
O anima mia, io comprendo la mestizia del tuo sorriso! La tua troppa ricchezza stende ora bramosa le mani!
La tua abbondanza guarda lontano oltre i mari in tempesta; cerca ed attende; il desiderio dell’abbondanza brilla ora nel tuo sorridente occhio celeste!
E invero, anima mia! Chi potrebbe vedere il tuo sorriso senza stemprarsi in lagrime? Gli angioli stessi si sciolgono in lagrime per la sovrumana bontà del tuo sorriso.
La tua bontà è il soverchio del tuo amore non ti concedono di lamentarti e di piangere; eppure, anima mia, il tuo sorriso anela le lagrime e i singhiozzi.
«Non è forse ogni piangere un lamentarsi? E ogni lamentarsi non è forse un accusare?». — Così parli a te stessa: per ciò, anima mia, tu ami sorridere anzichè esprimere tutto il tuo dolore.
— Sciogliere in lagrime dirotte tutto il dolore che provi per la tua esuberanza e per l’ansia con cui il ceppo di vite attende i vendemmiatori e i loro coltelli!
Ma giacchè non vuoi piangere, giacchè non vuoi sfogare nel pianto la tua purpurea mestizia, tu dovrai cantare, anima mia! — Vedi, io stesso sorrido, nel doverti preannunciare ciò:
— Sciogliere un canto echeggiante, sino a che tutti i mari si taceranno, per prestare ascolto alla tua brama, — sino a che sui mari silenziosi e desiosi scorrerà la barca, l’aureo prodigio misterioso nel cui oro saltellante tutte le cose buone, cattive e strane, e anche molte bestie piccole e grandi e tutto ciò che ha bizzarri piedini vaghi di correre sui sentieri stellati di viole;
— Per arrivare all’aureo prodigio, alla barca volontaria ed al suo padrone, il quale è il vendemmiatore che attende, con un coltello di diamante in mano;
— Il tuo grande solutore, anima mia, l’innominato cui le future canzoni sapranno dare un nome! E invero, già il tuo alito annunzia le future canzoni!
Già tu ardi e sogni, già tu bevi avidamente a tutte le fonti profonde e sonanti, dispensatrici di conforto; già la tua mestizia riposa nella gioja di future canzoni!....
Oh, anima mia, ormai ti ho dato tutto, e le mie mani rimasero vuote per averti beneficata: — l’averti comandato di cantare, vedi, fu l’ultimo mio atto!
Dell’averti comandato di cantare — parla — dimmi chi di noi deve render grazie? — Ma, meglio ancora: cantami, canta, anima mia! E del tuo canto io ti ringrazierò!».
Così parlò Zarathustra.