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216 così parlò zarathustra — parte terza


Oh, anima mia, ormai ti ho dato tutto, e le mie mani rimasero vuote per averti beneficata: — l’averti comandato di cantare, vedi, fu l’ultimo mio atto!

Dell’averti comandato di cantare — parla — dimmi chi di noi deve render grazie? — Ma, meglio ancora: cantami, canta, anima mia! E del tuo canto io ti ringrazierò!».

Così parlò Zarathustra.




L’altra canzone.


1.

«Nel tuo occhio ho guardato poc’anzi, o vita: vidi l’oro brillar nel tuo occhio cupo, — e il mio cuore sospese i suoi palpiti per la voluttà:

— Vidi brillare una barca d’oro su acque notturne, una barca d’oro cullantesi, inabissantesi, e risorgente!

Sul mio piede, ebbro del desiderio della danza, tu gettasti uno sguardo, uno sguardo ridente, interrogante, voluttuoso:

Due volte soltanto agitasti i sonagli con le tue manine — e già il mio piede vibrava nel desiderio frenetico del ballo.

I miei talloni si tendevano; le dita del mio piede stavano in attesa, come ascoltando, poichè il danzatore ha il suo orecchio nelle dita del piede!

Io balzai verso di te, ma tu ti ritraesti in fuga dinanzi al mio salto; e mi lambì l’ala dei tuoi lunghi capelli fuggenti e svolazzanti!

Balzai lontano da te; ed ecco che tu ristavi dinanzi eretta, l’occhio pieno di desiderio.

Con gli sguardi obliqui tu mi insegni gli obliqui sentieri; e sui sentieri torti il mio piede apprende le astuzie!

Io ti temo quando mi sei da presso, e ti amo da lungi; il tuo fuggire mi alletta, il tuo cercarmi mi impaccia; — io soffro, ma che cosa non soffrirei volentieri per amor tuo?

Per te, la cui freddezza incendia, il cui odio seduce, la cui fuga avvince, il cui scherno commuove?