Così parlò Zarathustra/Parte prima/Della morte libera
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Della morte libera.
Molti muoiono troppo tardi, alcuni troppo presto. Ancor suona strano il precetto: «Muori a tempo opportuno!»
«Certo coloro che non vissero mai a tempo opportuno, come saprebbero morire a tempo opportuno? Meglio varrebbe che non fossero mai nati! — Questo io consiglio agli uomini inutili.
Ma anche costoro dànno una grande importanza alla lor morte: anche la noce vuota vuol essere schiacciata con rumore.
Tutti fanno della morte una cosa importante; nessuno ancora la considera come una festa. Ancor gli uomini non appresero il modo di celebrare le feste più belle.
Io vi mostro la morte di colui che ha assolto il suo còmpito; la quale diverrà per i superstiti uno stimolo e un voto.
Chi ha soddisfatto al suo còmpito muore da vittorioso, circondato da speranti e da giuranti.
Così dovrebbesi imparare a morire; e non ci dovrebb’essere festa, nella quale un morente di tal sorta non auspicasse ai giuramenti di chi gli sopravvive!
Morire così è la più bella delle cose: la seconda è morire in battaglia e prodigare un’anima grande.
Ma al combattente come al vittorioso è odiosa la vostra morte sogghignante, che giunge strisciando simile a un ladro — mentre pur viene quale signora.
Io esalto la mia morte: la morte libera che viene a me perchè io la voglio.
E quando vorrò io? — Chi ha una meta e un erede, vorrà che la morte giunga in tempo opportuno per la meta e l’erede.
E per riverenza verso la meta e l’erede egli non appenderà più corone avvizzite nel tempio della vita.
In verità non voglio somigliare ai cordaiuoli: i quali allungano le loro fila arretrando.
Tale v’ha che divien troppo vecchio per le stesse sue verità e per le sue vittorie; una bocca sdentata non ha più il diritto di pronunciare tutte le verità.
Chi aspira alla gloria deve sapersi separare per tempo dall’onore e apprender l’arte difficile dello scomparire a tempo.
Bisogna finire di lasciarsi mangiare quando a punto gli altri incominciano a trovar in ciò il maggior gusto: ciò sanno coloro che vogliono essere amati lungamente.
Ci sono certamente mele immature cui è destino l’attendere sino all’ultimo giorno d’autunno, e in una sola volta diventano mature, gialle e aggrinzite.
In taluni invecchia prima il cuore, in altri lo spirito. E alcuni sono vecchi nella loro gioventù; ma chi tardi diventa giovane si conserva tale più a lungo.
Per alcuni la vita è un insuccesso: un verme velenoso si apprende al loro cuore e lo rode. Provvedano essi a una bella morte.
Taluno non diventa mai dolce; ed è pudrido già nell’estate. La viltà solo lo tiene attaccato al suo ramo.
Molti sono quelli che troppo a lungo stanno attaccati al proprio ramo. Potesse sopraggiungere un uragano che abbattesse dall’albero tutto ciò che è putrido e corroso dai vermi!
Potessero giungere i predicatori della morte sollecita! Essi sarebbero i veri uragani liberatori degli alberi della vita. Ma io non sento predicare altro all’intorno fuori che la morte lenta e la rassegnazione!
Ah, voi predicate la pazienza per le cose terrene? Ma le cose terrene hanno avuto troppa pazienza con voi, o calunniatori!
In verità, troppo presto morì quell’ebreo cui i predicatori della morte lenta hanno in onore; e per molti fu male ch’egli troppo presto morisse.
Non conosceva che le lagrime e la malinconia dei Giudei, e insieme l’odio del buono e del giusto l’ebreo Gesù, quando fu colto dal desiderio di morire.
Oh, fosse rimasto nel deserto, e lontano dal buono e dal giusto! Forse avrebbe appreso a vivere e ad amare la terra — e avrebbe forse anche appreso a ridere!
Credetemi, fratelli miei! Egli morì troppo presto: egli stesso avrebbe rinnegate le sue dottrine se fosse vissuto fino a questi tempi!
Egli sarebbe stato nobile abbastanza per rinnegarle!
Ma egli era ancora immaturo. Immaturo è l’amore e l’odio del giovane: troppo in lui ancora son gravi le ali dello spirito.
Ma l’uomo adulto ha in sè più del bambino che il giovane; egli è del giovane men triste, e più di lui ama conoscere la morte e la vita.
Libero dalla morte e libero nella morte, un santo negatore quando è passato il tempo d’affermare; egli intende in tal modo la morte e la vita.
Che il vostro morire non suoni maledizione all’umanità e alla terra, amici miei; ciò io domando al miele della vostra anima.
Nel morire devono ancor rifulgere il vostro spirito e la vostra virtù come ancor rifulge il sole quando tramonta; altrimenti ciò significherebbe che vi fallì anche il morire.
Così morrò ancor io affinchè voi, amici miei, per amor mio amiate la terra più di prima; voglio ritornare alla terra per trovar il riposo in quella che mi partorì.
Invero, una meta aveva Zarathustra: egli lanciò la sua palla: ora siete voi, miei amici, gli eredi della mia meta, ed io lancio a voi l’aurea palla.
Più volentieri che ogni altra cosa io guardo voi, amici miei, mentre a vostra volta la rilanciate. Per ciò mi trattengo ancor un breve tratto sulla terra: perdonatemelo!».
Così parlò Zarathustra.