Corto viaggio sentimentale e altri racconti inediti/Proditoriamente

Proditoriamente

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L'assassinio di via Belpoggio La morte
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PRODITORIAMENTE


I
L signor Maier si recò dal signor Reveni non ben deciso ancora se domandargli conforto o aiuto. Erano stati buoni amici tutta la loro vita. Ambedue dal nulla s’erano fatta un’ingente sostanza lavorando ambedue da mattina a sera, nello stesso periodo di tempo ma in tutt’altri articoli cosí che fra di loro non c’era stato mai un istante di concorrenza e quantunque non ci fosse stata mai neppure una collaborazione qualsiasi l’amicizia contratta fra di loro nella prima gioventú aveva resistito immutata fino alla tarda loro età. Immutata ma non viva. Le loro mogli non si vedevano mai. Loro si vedevano ogni giorno per un quarto d’ora in Borsa. Oramai avevano insieme sorpassata la sessantina.

Maier dopo una notte insonne s’era risolto di scrivere al vecchio amico per domandargli un appuntamento e recandovisi aveva nella mente una vaga proposta di far organizzare in proprio favore dal vecchio amico un soccorso ch’egli voleva presentare in modo che all’altro apparisse non implicante per lui un rischio qualsiasi. Certo a lui pareva che il soccorso gli fosse dovuto. Tanti anni di onesta attività fortunata venivano annullati da un istante di spensieratezza! Non era ammissibile questo. Per allargare il proprio campo d’attività, il vecchio commerciante s’era lasciato indurre di firmare un contratto che lo metteva nelle mani di altre persone e queste persone dopo di aver sfruttato tutto il credito che da quella firma derivava loro erano addirittura scappate da Trieste non lasciando dietro di loro che pochi mobili di nessun valore. Il Maier aveva deciso di far fronte a tutti quegli impegni come il suo onore esigeva. Ma adesso gli pareva ingiusto di dover sottostare a quegl’impegni non suoi. Se il Reveni, notoriamente un buon uomo, accettava di addossarsene almeno temporariamente una parte il suo destino si mitigava. Il Maier non ricordava di aver rifiutate delle proposte [p. 135 modifica]simili. Ricordava (e con grande chiarezza) di aver firmato quel contratto anche quello (cosí gli sembrava ora) una prova di fiducia nell’umanità, non ricordando che la prima idea di contrarlo gli era venuta dal desiderio di aumentare i suoi benefici.

Se il destino voleva favorirlo certo sarebbe stato il Reveni non invitato da lui che gli avrebbe proposto il soccorso. Questo egli aspettava dal destino. Allora appena egli avrebbe potuto svelare il suo progetto di organizzazione intorno a lui che avrebbe potuto essere accettato dal Reveni qualora costui si fosse trovato nello stato d’animo che accettava di addossarsi un rischio simile. Al Maier pareva che il rischio non ci fosse. Egli domandava in complesso un credito a lunga scadenza e sapeva di meritarlo. Sebbene vecchio egli era tuttavia laborioso e per quella sola volta che s’era lasciato truffare egli poteva citare centinaia di casi nei quali alla truffa s’era sottratto. Perciò con lui un rischio non c’era.

Salí le scale di casa Reveni posta al centro della città e dal momento che il cameriere gli aperse la porta egli non sentí nel proprio animo che invidia. Anche lui per il momento aveva gli arazzi nell’anticamera vasta e addobbata e anche quello stanzino foderato di tappeti in cui il Reveni e la moglie lo aspettavano per offrirgli una tazzina di caffè. Ma per poco tempo. La sua povera moglie era già in cerca di un quartierino molto piú piccolo e molto piú povero. Qui tutto aveva ancora l’apparenza solida e sicura della casa ch’esiste da lungo tempo e per lungo tempo esisterà. Da lui invece tutto si preparava a volare in aria. Tutto era al suo posto meno i gioielli della moglie ma pareva che tutti gli oggetti stessero prendendo lo slancio per correre via.

Il Reveni era un uomo piú grosso di lui e anche piú bianco benché avesse la sua stessa età. Cosí seduto nel suo grande seggiolone di fronte a lui che sedeva su un seggiolone della stessa grandezza ma timidamente in cima dello stesso a lui sembrò formidabile quell’uomo che aveva accumulato, accumulato e non s’era lasciato trascinare a firmare l’atto da cui egli era stato rovinato. [p. 136 modifica]

La signora Reveni serví il caffè. Era una signora che anche in casa vestiva con un certo sfarzo tutta merletti in un abito di mattina, delizioso se avesse adornato una persona piú bella e piú giovine.

Il Maier cominciò a sorseggiare il caffè pensando: “Ci lascerà soli costei?”.

Parve che la signora sentisse subito il bisogno di prevenirlo che soli non li avrebbe lasciati.

Gli disse che il suo Giovanni da alcuni giorni non stava bene e che passava tutto il pomeriggio in casa assistito da lei.

Al Maier parve strano che un uomo che pareva sano e che s’era levato allora da colazione potesse aver bisogno non solo di restare in casa ma di essere sorvegliato continuamente dalla moglie. Credette di dover dedurne che fra il Reveni e la moglie si fosse già stabilito di non concedergli alcun aiuto. Egli ricordava che fra’ due la moglie era notoriamente la piú dura e il Reveni stesso gli aveva una volta raccontato come essa avesse saputo liberarlo da un parente povero che lo importunava con domande di aiuto di denaro. Ecco ch’era corsa all’assistenza non appena aveva sentito ch’egli aveva domandato quel colloquio.

Si sentí umiliato, addirittura offeso. Egli non credeva di poter essere confrontato ad un petente povero ed insistente. Veniva anzi con una proposta commerciale che avrebbe anche dato un compenso non indifferente al Reveni se avesse consentito di prendere una parte nella sua combinazione. Volle ergersi, lavarsi di ogni inferiorità. Anche lui si stese nella poltrona proprio imitando la posizione del Reveni. Con un leggero cenno della testa segnò un ringraziamento alla signora che gli porgeva una tazzina di caffè. Fu tale il suo sforzo che veramente da ogni inferiorità si sentí lavato. Non avrebbe proposto nulla al Reveni. Avrebbe simulato di aver domandato quel colloquio per tutt’altra ragione. Quale? Era difficile di trovarla perché nei loro affari i due vecchi amici non s’erano giammai incontrati. Non poteva dunque parlare di affari. Ma in quale altro campo poteva importargli il consiglio del Reveni? Ricordò che poche settimane prima un amico [p. 137 modifica]vagamente lo aveva interpellato se avrebbe accettato di essere portato a consigliere municipale. Forse avrebbe potuto domandargli un consiglio.

Ma il Reveni saltò lui nell’argomento che aveva condotto colà il Maier. «Quel Barabich!» esclamò, «di vecchia buona famiglia triestina s’era lasciato trascinare ad un’azione simile! E dov’è ora? Si dice abbia potuto già raggiungere Corfú.»

Al Maier ciò non sembrò affatto un avviamento a quella profferta d’aiuto ch’egli s’aspettava dal destino. Tutt’altro! Pareva ci fosse dal Reveni una compassione maggiore per il ladro che per il derubato ch’era lui.

Si stese ancora meglio sulla poltrona badando di tenere nelle sue mani poco sicure la tazzina del caffè. Si sforzò di assumere una decisa aria d’indifferenza: «Capirai ch’io dovetti presentare la denunzia. A me adesso è indifferente ch’egli sfugga alle mani della giustizia».

La signora aveva riempita la tazzina di caffè per il marito e gliela porgeva. Con gli occhi sulla stessa fece i pochi passi necessarii per arrivare a lui e subito dopo si rivolse al Maier: «C’è anche una madre!» disse con voce accorata. Come nel suo vestito, nel suono della sua voce ed in ogni suo movimento la signora era intenta di mettere anche nel senso delle sue parole una grande dolcezza. Perciò ricordava in quell’avvenimento che rovinava il Maier in primo luogo la madre del ladro. E pensare che costei col suo fare da gran signora era stata in gioventú una cantante da caffè concerto e s’era denudata davanti a tutti finché ne valeva la pena. Che gli serbasse rancore perché egli aveva tentato a suo tempo d’impedire al Reveni quel matrimonio?

Non era piú possibile di simulare indifferenza. Arrossato dall’ira e sorridendo amaramente il Maier esclamò: «Capirà che io di quella madre posso infischiarmene poiché causa il figlio suo sta per soffrire duramente un’altra madre, mia moglie cioè».

«Vedo, vedo!» mormorò sempre dolcemente la signora Reveni e s’assise ad una sedia accanto al tavolino riempiendo alla macchinina fumante la propria tazzina. [p. 138 modifica]

Vedeva appena allora, sembrava, ma non vedeva tutto perché se tutto avesse visto avrebbe pur dovuto dire che lei o suo marito erano pronti a soccorrere o non volevano saperne.

Intervenne Reveni. Parve avesse inteso che la storia dovesse essere considerata proprio da un solo punto di vista, quello del povero suo amico. Stendendosi con un certo disagio sulla sua poltrona guardò in alto e brontolò: «Un brutto affare, un gran brutto affare!». Sospirò e soggiunse guardando finalmente in faccia il Maier: «T’è toccata un’avventura ben brutta!».

Questo poi significava veramente che l’avventura era tanto brutta che nessuno ci pensava ad intervenire per renderla piú sopportabile. Dunque niente soccorso e il Maier poteva esonerarsi dall’umiliarsi per domandarlo. Si alzò, depose la sua tazzina ch’egli doveva aver vuotata senz’arrivare a sentire il gusto del caffè e dopo di aver riassunta la sua posizione nella poltrona disse con un gesto d’indifferenza: «Si tratta insomma di denaro, di molto denaro ma non di tutto il denaro. Mi spiace che la mia sostanza vada diminuita a mio figlio ma ad ogni modo egli riceve da me alla mia morte piú denaro di quanto io ne avessi avuto alla morte di mio padre».

Il Reveni abbandonò la sua posizione abbandonata di persona che non vuol stare a sentire piú di quanto gli convenga e con accento sincero di gioia esclamò: «Quello che io supponevo è dunque esatto! Non avesti dalla brutta avventura tutto quel danno che in città si dice. Lascia ch’io ti stringa la mano, mio buon amico. Ne sono piú lieto che se io avessi ora guadagnato non so che importo». Era ben desto oramai. S’era anche levato dalla poltrona per arrivare a stringere la mano del Maier: Costui non seppe simulare una grande gratitudine a tanta manifestazione di gioia e lasciò giacere la propria mano in quella dell’amico inerte cosí che l’altro ritornò alla sua poltrona. Il Maier pensava: “S’associano alla mia gioia ma non seppero associarsi in alcun modo al mio dolore”. Ripensò in un attimo al conto ch’egli aveva fatto quel giorno: La sua facoltà era stata tutta assorbita da quell’avventura, ma proprio tutta; tutta e ancora non era sicuro che non ci fossero [p. 139 modifica]in qualche cassetto di qualche ignoto degli altri impegni cui oramai egli non poteva piú corrispondere. Suo figlio da lui non avrebbe ereditato un soldo se egli non avesse saputo lavorare attivamente quel poco tempo di vita che ancora poteva essergli concesso. Ma finché era stato lasciato solo aveva saputo far conti e arrivare a delle conclusioni esatte. Ora in presenza di quell’amico non vedeva piú tanto chiaramente. Non sarebbe stato bene di celare anche a costui la sua vera posizione per riavere il credito di cui abbisognava per continuare il suo lavoro? Questo proposito di buona tattica non ancora bene analizzato diede qualche vita anche a lui. La signora per significare anche la propria gioia alla buona notizia gli offerse un’altra tazzina di caffè ed egli l’accettò con un sorriso riconoscente che gli costò grande fatica. Intanto per dimostrare la sua riconoscenza ingoiò tutto quel caffè ch’era troppo per le sue abitudini.

Al Reveni parve che oramai che si sapeva che l’affare non era poi tanto grave per il Maier, si potesse parlarne liberamente: «Ti confesso che io del Barabich non mi sarei mai fidato. Io dell’affare che ti legava a lui appresi solo quand’era già ben fatto. Ma tutti a Trieste sapevano che tutti gli affari prima intrapresi dal Barabich erano finiti male».

«Sí! Ma non a questo modo!» protestò il Maier. «Pareva anzi che avesse sempre amministrato bene ma che ogni sua intrapresa fosse stata avversata dalla fortuna.»

Il Reveni fece un gesto di dubbio. «Io non mi fido di una persona che tante volte viene a galla e tante volte va a fondo. È certo che non sa nuotare. La carriera del Barabich cominciò con quell’intrapresa di cui tanto si parlò una diecina d’anni addietro con quei carichi di riso dalla China. Quanto denaro gettato a mare in allora. Poi fu improvvisato promotore d’industrie. È vero che le industrie ideate da lui in parte anche allignarono. Ma senza di lui perché a un dato momento si sentí il bisogno di liberarsi di lui. Di lui non si disse male, anzi tutt’altro; si parlò molto della sua onestà, ma nessuno seppe dirci perché di quelle industrie non facesse piú parte. E di che visse poi? Finché non seppe adescare te non fece che parlare, [p. 140 modifica]parlare! Parlò della colonizzazione dell’Argentina, della colonizzazione del Kendyke, tutti affari che poterono rendergli poco visto che non li fece. Poi scoperse un altro paese lontano per lui, la costruzione di automobili e sembrerebbe incredibile che un uomo della tua pratica abbia voluto seguirlo in quel paese.»

Per il Maier era terribile che il Reveni avesse ragione. Egli ricordava com’era stato adescato con le viste di utili enormi immediati. Ma per difendersi ricordò anche com’egli avesse amato quell’uomo piú giovine di lui, di sé tanto sicuro, abbondante di nozioni che lo facevano apparire quale un tecnico. E volle ricordare solo quell’affetto. «Io fui spinto a quell’affare anche nel desiderio di aiutare il Barabich. Mi rincresceva che un uomo di tanto talento dovesse rimanere in posizione tanto mediocre.»

Il Reveni tacque per un istante come se avesse esitato di rispondere. Poi guardò il Maier con occhio da scrutatore come per accertarsi se parlasse sul serio. Indi ricordò qualche cosa che lo decise e parlò ridendo e tentando invano di far ridere il suo interlocutore: «Ricordi il vecchio Almeni? Causa sua fummo messi insieme per la prima e l’ultima volta in questioni d’affari. Non ricordi? A forza d’insistenze riuscí a farci trovare io, te e altri due nostri amici ad una seduta nella quale si doveva decidere se fornirgli il denaro occorrente per fondare in un punto centrico della città un bar ch’egli e suo figlio avrebbero diretto. Bisognava farlo con grande lusso e perciò con grande spesa perché solo allora l’esito ne sarebbe stato sicuro. Né io né tu comprendevamo bene che cosa fosse un affare simile ma un altro dei nostri presuntivi soci ce lo spiegò dubitando grandemente che una speculazione simile potrebbe avere un buon esito nella nostra città. E si finí col conchiudere che la parte migliore dell’affare sarebbe consistita nel grande aiuto che in tale modo si sarebbe accordato all’Almeni, un vecchio galantuomo carico di famiglia e che ad onta di tante buone qualità non era neppur lui riuscito ad uscire da una situazione mediocre. Allora intervenimmo noi due, cioè io ed anche tu e dichiarammo subito d’accordo che [p. 141 modifica]a questo mondo bisognava fare degli affari e bisognava fare anche delle buone azioni, ma che una buona azione in forma d’affare era sicuramente un cattivo affare tanto piú che non era piú una buona azione. Si finí coll’accordare tutti d’accordo un piccolo soccorso al vecchio che meritava quello e non altro. Io ricordo benissimo la tua logica e mi stupisce che tu l’abbia dimenticata».

Il Maier volle difendersi con grande energia. Era troppo che il Reveni non volesse soccorrerlo e pretendesse anche di aver ragione. «Naturalmente che fra l’Almeni e il Barabich c’è una grande differenza; l’Almeni era un vecchio bestione qualunque e il Barabich un giovine astuto e colto che non aveva che il difetto di essere un ladro.»

Il Maier aveva dette queste parole con tanta passione, s’era arrossato tanto vivamente in volto per il suo rancore che la signora Reveni credette di dover intervenire per evitare un dissidio troppo aspro. Aveva visto il giorno prima la signora Maier con la figliuola. «Cara quella figliuola con quei suoi occhi innocenti di gazzella.» Era una dolce bestia la gazzella e la signora Reveni l’aveva nel suo vocabolario.

Il Maier non si sarebbe lasciato mitigare neppure se avessero appellato lui stesso col nome di una bestia deliziosa. Un ricordo lo percosse. Non soltanto ricordava l’episodio con quell’Almeni ma gli pareva anche d’esser sicuro di essere stato proprio lui che aveva fatto il ragionamento che il Reveni esponeva come se fosse stato il suo. Tanto chiaroveggente era stato allora e la sua intelligenza gli veniva ricordata soltanto per addebitargli con piú peso l’errore che ora aveva commesso.

E disse al Reveni, commosso dalla compassione per se stesso, addirittura con le lagrime agli occhi: «La vita è lunga, troppo lunga e si compone di tanti giorni di cui ognuno può darti il tempo all’errore che valga ad annullare l’intelligenza e l’assiduità di tutti gli altri giorni. Un solo giorno... contro tutti gli altri».

Il Reveni guardò in disparte forse alla propria intera vita per scoprirvi il giorno in cui aveva commesso l’errore che avrebbe potuto compromettere l’opera di tutti gli altri giorni. [p. 142 modifica]Annuí, ma forse solo per calmare l’amico. Non parve agitato all’idea del pericolo corso o che poteva correre. Disse: «La vita è lunga, sí, molto lunga e molto pericolosa».

Il Maier sentiva che l’altro non sapeva mettersi nei suoi panni e non ne avrebbe provata ira perché tutti sanno come sia difficile anche solo di pensare il freddo di cui altri soffre quando si sta nel dolce caldo, ma s’accorse che intanto che il Reveni parlava la moglie lo guardava con un sorriso proprio di fiducia, d’abbandono. Pareva dicesse: “Curiosa supposizione! No! Tu non sai sbagliare!”.

E perciò la sua antipatia per quella signora s’accrebbe di tanto che non volle piú sopportarne la vicinanza. Si levò e si costrinse ad un atto di cortesia verso la signora. Le porse la mano dicendole che un affare di premura lo costringeva ad andarsene. Aveva deciso di andare il giorno appresso nell’ufficio del Reveni e non piú per domandargli un soccorso ma solo unicamente per convincerlo che la vita era lunga e che non era da condannarsi un uomo di cui un giorno, un solo giorno dei tanti, era stato insensato. Porgendo la mano alla signora volgeva la schiena al Reveni che improvvisamente emise un suono strano. Con la voce un po’ piú bassa del solito, nel piú quieto modo disse una parola incomprensibile. Il Maier poi si sforzò di ricordarla ma non vi riuscí perché è difficile ricordare un seguito di sillabe prive di senso. Egli si volse con curiosità mentre la signora corse al marito per domandargli con spavento: «Che hai?».

Il Reveni s’era abbandonato sulla poltrona. Ma ancora dopo un istante seppe rispondere alla moglie chiaramente come se si fosse rimesso: «Ho un dolore qui!» movendo la mano che non arrivò al cenno voluto ma che si sollevò dal bracciale della poltrona. Poi piú nulla e stette inerte il capo abbandonato sul petto. Emise ancora un sospiro che parve lamento e nulla. La signora lo sosteneva urlandogli nell’orecchio: «Giovanni! Giovanni! Che hai?».

Il Maier si asciugò gli occhi delle lagrime che li avevano bagnati per la sciagura propria e si volse all’amico. Intanto indovinò subito di che si trattava ma era ancora tanto compreso [p. 143 modifica]dai propri affari che il suo primo pensiero fu: “Egli se ne va! Ecco che neppur volendolo potrà piú aiutarmi”.

Dovette farsi violenza per riscotersi virilmente dall’abietto egoismo. Andò dalla signora e le disse mitemente: «Non si spaventi, signora, è un deliquio e null’altro. Ho da chiamare il medico?».

Essa era inginocchiata dinanzi al marito. Volse al Maier un volto irrorato di lagrime ma che evidentemente si lisciava nella speranza che le proveniva da quelle parole. «Sí! Sí! lo chiami!» e gli disse il numero di un telefono.

Il Maier si avviò di corsa dalla parte da cui era venuto ma la signora sempre in ginocchio urlò: «Da quella parte!» un urlo reso piú cortese da un singhiozzo. Allora il Maier aperse la porta opposta e si trovò nella stanza da pranzo in cui due fantesche si davano da fare a sparecchiare la tavola. Disse loro di correre ad assistere la signora nella stanza vicina e, al telefono che subito trovò, chiamò il numero che la signora gli aveva indicato.

Non ebbe subito la comunicazione ed ebbe un sussulto d’impazienza domandandosi angosciosamente: “Stava morendo od era già morto?”.

Ma poi sentí quegl’istanti d’attesa pieni della propria compassione: “Cosí, cosí, si muore!”. Eppoi: “Non può accordare piú ma non piú rifiuta”.

Il dottore gli promise di venir subito ed allora egli depose l’orecchiante e non subito ritornò alla signora Reveni. Si guardò d’intorno: Quale lusso! La relazione sua col Reveni s’era molto attenuata dopo il matrimonio di costui e le loro signore non si trattavano. Egli vedeva quella sala da pranzo per la prima volta luminosa per la luce delle grandi finestre riverberata da marmi agli abbassamenti delle pareti, dagli ori in certe filettature alle porte, dai cristalli che ancora si trovavano sul tavolo. Tutta roba ben ferma al suo posto perché il poverino nella stanza vicina di sciocchezze non ne aveva fatte mai né poteva farne altre.

“Sto meglio io o sta meglio lui?” pensò il Maier.

Con l’aiuto delle fantesche la signora Reveni aveva steso il [p. 144 modifica]corpo del marito sul sofà. Si dava ancora da fare intorno a lui. Gli aveva inondata la faccia di aceto e gli teneva una boccetta di sali sotto il naso. Era un cadavere, evidentemente. Gli occhi s’erano chiusi da sé ma il bulbo del sinistro protundeva visibilmente.

Sentendosi tanto straniero a quella donna il Maier non osò parlarle. Ricordò l’indirizzo della figlia loro e pensò di ritornare al telefono. Poi si ricredette e decise di andarla a chiamare lui stesso. Non stava lontano.

«Io penso» disse esitante alla signora Reveni «di andar ad avvisare io stesso la signora Alice che suo padre è indisposto.»

«Sí, sí!» singhiozzò la signora.

Egli uscí a passo di corsa. Non per far presto perché il Reveni non poteva oramai essere aiutato da nessuno ma per poter allontanarsi da quel cadavere.

E sulla via si ripeté la domanda: “Sta meglio lui od io?”.

Com’era pacifico steso su quel sofà! Strano! Non si vantava piú del proprio successo ingrandito dagli errori del Maier. Era rientrato nella generalità e da lí guardava inerte con quel bulbo protundente privo di gioia o di dolore. Il mondo continuava ma quell’avventura ne dimostrava l’intera nullità. La avventura toccata al Reveni toglieva ogni importanza a quella toccata a lui.