Contrasto (canto di Rodolfo)

Giovanni Prati

Olindo Malagodi 1846 Indice:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. I, 1916 – BEIC 1901289.djvu sonetti Contrasto (canto di Rodolfo) Intestazione 23 luglio 2020 25% Da definire

Una serata d'inverno Riva e il Garda
Questo testo fa parte della raccolta VII. Dalle 'Passeggiate solitarie'

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V

CONTRASTO

(canto di rodolfo)



     Io di due femmine
schiavo son fatto,
d’occhi fantastiche,
brune di crin:


     5in cosí misera
forma è distratto
questo dell’anima
senso divin.


     Ma in me la candida
10fede non langue,
ché ad esse io prodigo
diverso amor:


     ad una i fremiti
del caldo sangue;
15all’altra i palpiti
del mesto cor.

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     Se una, com’edera,
a me s’implica,
sull’altra un nuvolo
20veggio cader;


     se rido e lacrimo
coll’altra amica,
la prima involasi
dal mio pensier.


     25Io cosí m’agito
fra due diviso,
or piuma all’aere,
or pietra al suol:


     una mi provoca
30l’ore del riso,
l’altra mi genera
quelle del duol.


     Quando una candida
nuvola lieve
35sfiora le cerule
vòlte del ciel,


     penso a quell’angelo,
che un vel di neve
porta sull’agile
40suo corpicel.


     Ma, quando un súbito
baglior celeste
di fiamme il vespero
tingendo va,

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     45penso alla fervida
fata, che veste
di fosche porpore
la sua beltá.


     D’una mi parlano
50gli astri lucenti,
le aurette celeri
men del suo piè;


     dell’altra il lugubre
fischio dei venti,
55le selve e i turbini
parlano a me.


     Cosí quest’anime
d’opposte tempre
di gaudio o collera
60muse a me son;


     e in me coll’italo
canto pur sempre
suona la nordica
buia canzon.


     65Ma, quando spasimi,
con varia vice,
nelle delizie
del doppio amor,


     su via, rispondimi:
70sei tu felice,
felice, o povero
sviato cor?

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     Dio! che terribile
smania ti frange,
75se il grido elevasi
de’ tuoi pensieri


     Dio! di che lacrime
fra noi si piange
nella inamabile
80ora del ver!


     Ma non ti parvero,
con rossor molto,
di ferro i vincoli
piú che di fior?


     85e perché, improvido,
non dare ascolto
ai fieri gemiti
del tuo rossor?


     Spesso da torbida
90malinconia
mi sento rodere
l’intimo sen;


     e allora il calice,
si dolce pria,
95di amari acòniti
mi sembra pien.


     Ah! il solitario
ben degli affetti
sparge di balsamo
100questi egri dí;

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     perché col tossico
di rei diletti
la mente e l’anima
tradir cosí?


     105Ma quelle d’ebano
funeste chiome
mi stan com’aspide
rattorte al piè;


     e invan le misere
110potenze dome
gridano al suddito
che torni re.


     Oh cacce! oh vertici
montani! oh clivi!
115oh ingenuo vivere
che dileguò!


     oh selve! oh memori
campi nativi,
quando quest’anima
120voi soli amò!


     Dai tetri fascini
per liberarmi
stendo alla docile
arte la man;


     125e, come un profugo,
cantando carmi,
dai patri margini
mi svio lontan.

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     E il mio fulmineo
130corsier galoppa,
nuove mostrandomi
ville e cittá;


     ma dell’inutile
corsiero in groppa
135sempre il mio démone
seduto sta.


     Talor negl’impeti,
rotta la briglia,
le membra insanguino
140sul duro suol;


     ma il bieco spirito
di lá mi piglia,
e per la tenebra
mi porta a voi.


     145Pari a quel nomade
giudeo fuggente,
che sol coi secoli
s’arresterá,


     forse il mio démone,
150forza inclemente,
vuol ch’io precipiti
d’etá in etá.


     Signor, che debole
cosí m’hai fatto,
135di me sovvengati,
dolce Signor:

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     pensa alla gloria
del tuo riscatto,
la niente solvimi
160da tanti error.


     Per sabbie inospiti
cieco e malvivo,
lunga mi stempera
sete crudel.


     165Deh! scopri il murmure
d’un picciol rivo
a questo esanime
novo Ismaèl.


     Signor, le nebule
170da me disgombra,
e col tuo cantico
ti canterò,


     sinché dei salici
paterni all’ombra,
175tranquillo e libero
morir potrò.