Conchiglie/La scelta di una professione
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La scelta
di una professione.
Il mio padrone di casa, approfittando dell’occasione che mi aveva condotta nel suo studio per lagnarmi a proposito di un guasto nell’acqua potabile, mentre stavo per uscire, arrestò gentilmente la mia mano già tesa verso la maniglia dicendo:
— Senta. Lei dovrebbe soccorrermi in un’opera di carità che mi sta molto a cuore. Mio cugino da Brescia mi raccomanda una povera donna disgraziatissima, vedova, con due bambini, priva di qualsiasi mezzo di sussistenza.
— A Brescia?...
— Ma è venuta a Milano per cercar lavoro.
— Curiosa che tutti abbiano a cader qui!
— Che vuole? Pensano che Milano è grande.
— Tanto, che presto in Italia la si dovrà chiamare per antonomasia: la città.
— Quella povera donna è disposta a tutto, vede. Mio cugino mi assicura che educata come è, una vera signora decaduta, non cerca altro che lavoro; qualsiasi lavoro.
— Che a Brescia non trova?
— Forse in Brescia si vergogna... Infine, ella deve presentarsi da me domattina; se non le dispiace gliela mando sopra. La vedrà, la giudicherà, e se può aiutarla...
Passarono ben quindici o venti giorni. Avevo dimenticato il colloquio col mio padrone di casa, quando mi venne introdotta una specie di signora sulla trentina, belloccia, vestita con una grenadine molto sciupata ma tutta a fronzoli e con due grossi brillanti chimici nelle orecchie.
— Con chi ho l’onore di parlare?
— Io sono quella disgraziata... quella povera signora di Bresia... decaduta...
Ella pronunciava le lettere sc con quella sillabazione particolare dei bresciani, si che rammentai subito la raccomandazione che me ne era stata fatta. La pregai di accomodarsi, ciò che ella fece con molte cerimonie, scusandosi di non avere nemmeno un paio di guanti. Si guardò in così dire le mani piccole, affusolate, colle unghie rosee e lunghette e ornate di parecchi anelli della stessa famiglia dei brillanti.
— E in che cosa potrei esserle utile? Mi hanno parlato di lei come di una signora che cerca occupazione. È forse maestra?
— Oh! no.
— Ha speciali abilità nei lavori femminili?
— Nemmeno.
— Forse le traduzioni?... ma la avverto che non guadagnerebbe nemmeno la spesa degli spilli. In Italia non si traduce affatto.
— Ma io non conosco nessuna lingua. No, no, non sono quella signora che le sembro...
Gettò uno sguardo smarrito sulle gale del suo abito e con un bel gesto di rinuncia che fece brillare per un istante i vetruzzi degli anelli continuò:
— Finchè viveva mio marito egli voleva che vestissi con decoro; lo facevo per amor suo, per ubbidirgli, affinchè non perdesse la considerazione fra i suoi compagni d’ufficio. Ma per me ho gusti semplici e pur di poter allevare quei due angioletti mi adatto a qualunque cosa.
Tuttavia bisognerà che dica qual cosa.
— Dove li ha i bimbi?
— A Bresia, da mia madre.
— E ì parenti di suo marito?
Abbassò le palpebre, strinse le labbra.
— Non la aiutano? — insistetti.
Ebbe allora un principio di imbarazzo che ondeggiò lievemente sul suo volto, ma subito riprendendosi disse con disinvoltura:
— Non hanno mai voluto riconoscermi.
— ?...
— Sa... eravamo sposi davanti a Dio.
Questo genere di confidenze è sempre penoso per ambe le parti e fu seguito da un breve silenzio. Ella però riprese con slancio drammatico:
— Del resto non voglio essere a carico di nessuno. Sono giovane, sono sana, lavorerò.
— Ma che cosa?
— Farò la serva se occorre. Pensare che fui chiesta in matrimonio da ricconi sfondolati, che a quest’ora potrei andare in carrozza; perfino un conte, si immagini! Ma fui siocca... oh! se fui siocca!
Un buon pentimento a tempo salva qualche volta le peggiori situazioni. Le domandai se si sarebbe sentita di fare la cameriera.
— Sì — rispose — pur che non vi sia da stirare nè da pettinare perchè non vi riuscirei.
— Sarà un po’ difficile allora.
— Qualunque altro servizio, qualunque.
— Di cucina?
— Si, ma non aver piatti da lavare. Per i miei bimbi sono disposta a tutto fuorchè a questo.
— Mi viene un’idea. Se ama i bimbi potrebbe proporsi come governante, che ne dice?
— Oh! — fece crollando leggermente le spalle — mi piacciono i bimbi, ma per qualche ora solamente.
Il silenzio tornò a mettersi fra noi due, di cui io ero la più imbarazzata. Finalmente arrischiai un’altra proposta:
— Sa fare occhielli?
— Punto!
— Orlare scarpe?
— Nemmeno.
— Ricama senza dubbio in oro, in colore, in bianco?
— No, no, no. Sa che cosa ci vorrebbe? Un signore solo.
— Ah!
— Ricco, buono, anche se vecchiotto non importa.
— Capisco capisco.
La faccenda diventava più difficile. Mi alzai balbettando:
— Se capiterà...
La bresciana si alzò essa pure e stette un momento davanti allo specchio. Si strinse colle mani la vita, allargò il busto, fece colla punta dell’indice il giro delle sopracciglia e si guardò furtivamente il dito.
— Mai più vorrebbe entrare in una fabbrica? — le chiesi, colpita da una subita ispirazione.
— Chi sa! bisognerebbe vedere.
— M’hanno detto che occorrerebbe una pulitrice d’oro.
Non deve essere difficile.
— Forse no; ma è un mestiere che sciupa le unghie. La proprietà innanzi tutto. Il mio povero marito diceva che sono nata per fare la signora... Ah! che disgrazia dover dipendere dagli altri. Basta, sono pronta a tutto. Ella se ne andò molleggiando i fianchi, mentre io mi domandavo rimminchionita che cosa mai volesse intendere con quella frase.
Dopo un paio di mesi il mio padrone di casa incontrandomi sulle scale mi disse: Sa? la Bresciana ha trovato da collocarsi dai fratelli Bocconi; fa la commessa. Niente di meglio; l’impiego le si attagliava come un guanto ed io ne fui contentissima per lei. Pensavo anzi di andarle a fare i miei complimenti, quando me la vidi ancora sull’uscio, tutta umile e contrita.
— Come? non è dai Bocconi?
— Ci fui.
— Ebbene?
— Non mi piaceva. Capirà, a stare in piedi tutto il giorno ci si stanca e poi quell’abito nero obbligatorio è insopportabile. Io sto male in nero e non è a ventidue anni che si può rinunciare alla propria bellezza. Ho ragione o no? Vengo a pregarla di trovarmi qualche altro posto, magari di serva.
— Ma se non sa servire, non si ricorda? Cameriera senza pettinare e senza stirare; in cucina senza lavare i piatti; coi bambini per due o tre ore... Bisognerebbe fabbricarle l’impiego apposta.
Pensa ripensa le trovai fuori un laboratorio di passamaneria; occupazione semplice, pulita, abbastanza gradevole, dove le sue mani affusolate non avevano a far altro che scivolare tra le nappine ed i trafori. Ci stette un mese e poi tornò a dirmi che non le piaceva neppure quella occupazione.
— Ma perchè? non è pulita, semplice, gradevole?
— Si guadagna poco.
— Cospetto! colle sue abilità, scusi, che pretese avrebbe?
— E poi — fece torcendo la bocca con un attuccio di disgusto — non v’è alcuna comodità per i pasti.
— Quanto dire?
— Si porta con sè la colazione al mattino quando si entra e non c’è molta scelta. Il cacio puzza, il salame stanca...
— Qualche ovo sodo?
— Va bene, ma non posso continuare a mangiar ova sode come un canarino. Io sono abituatà al caffè e latte o cioccolata...
— Coi crostini nevvero?
— Ma già.
— E un po’ di burro. Vedo vedo. Non è di cattivo gusto.
— Che cosa mi consiglia dunque?
— Oh! si figuri, io non le consiglio più nulla. Ci fa rei troppo magra figura. Pregherò il Signore che le mandi un terno al lotto.
Tutto ciò accadeva nella primavera dell’anno scorso. Oggi, da tanto tempo che non ne sapevo più nulla, vidi la signora vestita veramente da signora, o quasi, con un lungo cappotto alla moda, colletto d’ermellino e cappellone con piume di struzzo. S’avviava lungo i portici settentrionali verso il negozio Bocconi che oltrepassò senza nemmeno gettarvi uno sguardo, sdegnosa forse delle povere diavole vestite di nero che stavan dentro, mentre ella aveva tre rose sgaggianti sotto alla piuma del cappello e la sottanina che pendeva di sotto allo strascico rialzato era un misto di raso color carne e di trine color crema. S’avviava lentamente, mollemente, gettando a destra ed a sinistra occhiatine languide e oblunghe. Quando fu all’ultimo arco dei portici girò sui tacchi e rifece la medesima strada. Compresi ch’ella aveva finalmente trovata la professione conforme al suo temperamento.