Conchiglie/A punto!
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A punto!
I.
Non appena la signora Marianna vide il corbello nelle mani del fattorino della ferrovia, sicura come era del fatto suo, pensò subito: Ecco i tortellini — poichè fin da quando il signor Taddei, il compagno d’ufficio di suo marito, era stato traslocato a Bologna e che al pranzo d’addio le aveva detto: «Vedrà signora Marianna, che giunto a Bologna mi ricorderò di lei» ella non aveva dubitato un solo istante che le premure di quella brava persona si tradurrebbero in tortellini; la sua passione, la sua unica passione.
Svolse dunque con prestezza la fune sottile che legava il corbello gridando a Menica d’in sulla soglia della cucina: Portami il piatto per i tortellini. Mentre la Menica accorreva col piatto, la signora Marianna che aveva svolto tutto quanto l’involto arretrò d’un passo esclamando: Che bestiaccie sono queste? — E si dipinse nel suo volto una tale contrarietà, quasi schifo e terrore, che peggio non poteva essere se avesse visto il Basilisco.
Piano, piano, senza quasi toccarle, le smosse, le fiutò, arricciò il naso, tentò coll’unghia un becco lungo e duro che sporgeva tra un ammasso di penne macchiate di sangue, asciugossi subito il dito nella cocca del fazzoletto e come sintesi riassuntiva di quell’esame disse: Per me, di questa roba non ne mangio.
— Che vogliono mai essere? — chiese la Menica osservando a sua volta i due bipedi piumati che giacevano nel corbello. — Ho inteso parlare di galline Faraone...
— Che galline! — interruppe sdegnosa la signora Marianna. — Codesti sono uccellacci.
— Notturni?
— Forse.
Quando il marito tornò dall’ufficio la signora Marianna cui non era passata la mortificazione della speranza delusa, gli mosse incontro.
— Sai che cosa ha mandato il tuo amico Taddei?
Il marito che ne aveva da parecchie settimane la testa intronata rispose lieto:
— I tortellini?
— Giusto quelli. Guarda!
Medea davanti al cadavere de’ suoi figli ebbe forse un gesto meno tragico di quello disegnato nell’aria dalla signora Marianna indicando il corbello. Ma con sua grandissima sorpresa il marito, dopo di avere guardato, esclamò allegramente. Beccaccie!
A vedere poi come egli le aveva subito prese in mano palleggiandole, soppesandole, palpando loro il ventre e il collo, la signora Marianna torse il muso con un atto pieno di sussiego; del che avvedendosi il marito soggiunse:
— Non ne hai mai mangiate?
— Io!! — proruppe la signora Marianna, al colmo dell’indignazione.
— Sono squisite, sai? squisitissime.
La signora Marianna grave e mesta implorò:
— Se non vuoi che avvenga una disgrazia, nello stato in cui mi trovo, ti prego, portale via subito.
Al delicato accenno il marito ammutolì.
— Dove le porto?
— Dove vuoi, purchè non le veda.
Egli prese prudentemente le beccaccie e sparve con esse nella profondità misteriosa di un corridoio. C’era là in fondo un piccolo terrazzo abbastanza fuori mano perchè i due disgraziati ospiti potessero trovarvi alloggio senza disturbare madama. Appesi ad un chiodo non stavano peggio di tanti altri ospiti che girano il mondo.
Allo sera la signora Marianna chiese al marito che ne avesse fatto delle bestiaccie
— Maturano.
— O che son nespole?
— Le beccaccie, spiegò il marito, per sviluppare tutto il loro aroma hanno bisogno di raggiungere un certo grado di maturanza.
— Ti giuro che io non le assaggio neppure.
— Permetterai però che me le mangi io?...
La signora Marianna si strinse nelle spalle senza rispondere.
Ora avvenne che due giorni dopo, mentre già aveva dimenticato l’avvenimento, la signora Marianna recandosi a spazzolare sul terrazzo il suo abito di grenadine che non voleva affidare alle mani troppo rozze della Menica, scorgesse le bestiaccie (come le chiamava lei) ciondoloni al chiodo, colla testa in giù, e già penetrate di quell’odore acuto che acquista la selvaggina... maturando.
— Menica!
— Signora.
— Fammi il piacere annusa qui.
Menica cacciò il naso in quelle faccende non sue e gridò: Misericordia!
— Eh?... Ti pare una cosa pulita tenersi attorno dei cadaveri che puzzano? E l’igiene? E i microbi? Ho ben paura che mio marito non sappia quel che si faccia (e pazienza, non sarebbe la prima volta) ma ora ci va di mezzo la salute.
— Con questo caldo — conchiuse Menica.
Il marito preso d’assalto al suo ritorno dall’ufficio, spiegò che le beccaccie non puzzano mai troppo; che finchè non cadono da sè staccandosi dalla coda vuol dire che non sono mature; che quell’odore particolare, insistente, eccitante...
La signora Marianna fuggì turandosi le orecchie, ma in cuor suo una decisione era presa. Sulle prime le era balenato l’idea di proporre a suo marito il dilemma «o via io o via loro». Poi trovò inutile cimentare così la propria dignità e chiamata di nuovo la Menica le disse semplicemente: Buttale via.
Esitò un istante Menica osservando:
— E il padrone?
— Il padrone? — ripetè la signora Marianna ne’ cui occhi passò un lampo che sembrava dire: vorrei ben vedere che il padrone trovasse a ripetere sopra un ordine dato dalla padrona! — ma per tranquillizzare la ragazza si degnò di spiegare: Se il marito non ha giudizio tocca alla moglie ad averne. Pensa che cibandosi di quelle carogne imputridite egli potrebbe ammalarsi, morire, e lasciare orfano quel povero innocente che sta per nascere.
L’argomento non ammetteva replica. Menica staccò le bestie e le nascose sotto il grembiule
II.
Strada facendo, man mano che discendeva le scale, la ragazza faceva le sue riflessioni. Se la padrona proprio sentiva ripugnanza nello stato in cui si trovava via, la si poteva compatire e certo il padrone si sarebbe adattato; come sempre del resto. Ma se il padrone sosteneva che erano buone così (egli certo doveva intendersene) non era peccato mortale buttarle via mentre tanta gente muore di fame a quel che si dice? La portinaia per esempio, quella sfiancata tutta bocca ed occhi, ne avrebbe certo di grazia lei e i suoi cinque figliuoli, senza contare gli ossi per il gatto. Ecco una buona occasione di farsi voler bene. Menica, tutta ringalluzzita per l’atto generoso che stava per compiere entrò baldanzosa in portineria e posando le beccaccie sulla tavola con un bel piglio tra il nobile ed il benigno disse: Per voi buona donna. Arrostitele con molte cipolle e le troverete eccellenti.
Poi, modesta nel beneficio, si eclissò.
Lemme, lemme, trascinando le ciabatte, la portinaia che stava pulendo il naso al suo ultimo marmocchio si avvicinò alla tavola per vedere che ci aveva posto di bello la Menica.
Alla vista di quei due uccellacci con tanto di becco fatto rimase fra il sì e il no, incerta. Polli non erano. Anitre neppure. Fosser fòlaghe? Di queste non ne aveva mai viste, ma si immaginava che potessero essere così. Chinò il volto per esaminare meglio e fece un salto indietro: Puuh! ma questa è roba marcia!
Una fiamma di rossore passò sul volto giallognolo della donna. Per chi la prendevano dunque? Uscì in corte e si pose a chiamare:
— Veronica! Veronica!
L’interpellata si affacciò ad una ringhiera del quarto piano.
— Volete scendere un momento per farmi un piacere? — Oh! bene, grazie. Ora ditemi un po’, voi che siete stata a servizio, sono fòlaghe queste?...
Da consulente seria e coscienziosa la Veronica riflettè un poco prima di rispondere, poi concluse che fòlaghe non le sembravano. Le fòlaghe non sono pesci?...
La portinaia scosse il capo coll’atto scoraggiato di chi appoggiandosi ad un piuolo per non cadere lo sente tentennare sotto la mano.
— Per codesti non v’ha dubbio che sono uccelli.
— È ciò che stavo per dire.
— Uccelli selvatici.
— Ho paura che siano di quelli che vanno a beccare i morti
— Dite da senno? — esclamò la portinaia inorridita.
— Dico per dire — si corresse la Veronica.
— Già, con quel becco... — fece la portinaia sempre più sospettosa — E vi par roba questa che i cristiani possano mangiare?
— Questione di gusti; certo, se domandate il mio parere, vi dico schietto che preferisco un’insalata di cetrioli. Almeno si sa cos’è.
Le due comari stettero un poco in silenzio. A farlo apposta le beccaccie esalavano in quel momento un odore così forte, così forte...
— Da che parte vengono? — esclamò a un tratto la Veronica.
— Dagli inquilini del secondo piano.
— Ah!
Un semplice monosillabo; ma chi sa mai perchè la portinaia credette scorgervi un commento ironico. Se l’avevano data a lei quella roba non era appunto perchè giudicata indegna della loro mensa? e la fiamma di rossore tornò a invadere il suo volto giallastro.
— Potete lavarla prima nell’aceto — Suggeri la Veronica.
Suggerimento infausto, perchè la portinaia si rammentò che quando era morto suo marito lo avevano lavato nell’aceto, precisamente perchè era d’estate, e incominciò a sudar freddo.
A un tratto poichè i suoi occhi non abbandonavano mai il soggetto della discussione, le parve di scorgere...
— Veronica guardate!... là vicino alla coda...
Alla Veronica che si era chinata premurosamente parve pure che qualche cosa si muovesse là vicino nella coda. Uno sguardo eloquente le unì nel medesimo sentimento d’orrore e la portinaia non si trattenne più.
— Ah! perchè siamo poveri credono di potersi permettere qualunque cosa! Perchè disgrazia nostra vuole che piú di pane e di minestra non si possa mangiare si immaginano di regalarci i rifiuti della loro mensa, quasi fossimo cani o peggio. La roba che puzza! La roba marcia!... Ma il battesimo lo abbiamo anche noi e non c’è affatto bisogno che i signori vengano ad umiliarci colle loro porcherie, perchè la dignità l’abbiamo anche noi, e meglio di loro, meglio del Papa, meglio del Re
Su questo sfogo improvviso e violento la donna prese i volatili ed uscita con essi nel mezzo del cortile e agitandoli per aria verso l’appartamento del secondo piano gridò con un ultimo scoppio di indignazione
— Povera, ma onorata povera, ma pulita! Guardino che cosa ne faccio del loro dono coleroso.
Panf! Un colpo ben diretto, una curva rapida nell’aria e le due bestie passando al di sopra del muricciuolo caddero dall’altra parte.
— Così si insegna a farsi rispettare.
III.
Al di là del muro c’erano i rustici del palazzo di un Monsignore.
Monsignore aveva detto quella mattina al suo cuoco: A qualunque costo non manchino oggi le beccaccie a tavola perchè ho invitato il Priore del Sacro Cuore di Gesù che ci tiene. Il cuoco a dir vero si era permesso di far osservare che, tranne un miracolo, difficilmente le avrebbe trovate in quella stagione. Ma Monsignore aveva tanto insistito che il cuoco per un paio d’ore non aveva fatto altro che battere tutti i mercati della città, invano.
Se ne tornava appunto mogio mogio a capo basso, quando attraversando i rustici inciampò nelle due beccaccie che la portinaia aveva lanciate sopra il muro. Il miracolo era dunque avvenuto?? Chinossi, e colla maggiore delicatezza possibile ne sollevò una per la coda, che gli rimase in mano, mentre la bestia cadde pesantemente.
— A punto!!
Con un lampo di gioia negli occhi il cuoco le prese tutte e due e via di corsa.