Colonizzare la noosfera/Teoria promiscua, pratica puritana

Tecnologia promiscua, pratica puritana

../Le varietà dell'ideologia hacker ../Proprietà e open source IncludiIntestazione 8 settembre 2014 75% Open Source

Eric Steven Raymond - Colonizzare la noosfera (1998)
Traduzione dall'inglese di Bernardo Parrella (1999)
Tecnologia promiscua, pratica puritana
Le varietà dell'ideologia hacker Proprietà e open source


Ciascuno di questi passaggi rimane comunque caratterizzato dalla teoria ampiamente condivisa su quel che s’intende con “free software” o “open source”. La formulazione più chiara di questa teoria si trova nelle varie licenze open source, ognuna delle quali include elementi centrali e comuni.

Nel 1997 tali elementi vennero distillati nelle linee-guida della Debian Free Software, a loro volta confluite nella Open Source Definition (OSD). In pratica si dice che la licenza open source deve proteggere il diritto incondizionato di ciascuno a modificare il software open source (e a redistribuirne le versioni modificate).

Quindi, la teoria implicita dell’OSD (e delle altre licenze a questa conformatesi, tipo GPL, BSD, e la licenza artistica di Perl) è che chiunque può modificare qualunque cosa. Nulla impedisce che una decina di persone diverse prendano un qualsiasi prodotto open source (ad esempio, il compilatore C gcc della Free Software Foundation), ne duplichino i sorgenti e li sviluppino in direzioni evolutive differenti, il tutto sempre sostenendo di star lavorando a un nuovo prodotto.

In pratica, però, tale “biforcazione” non avviene quasi mai. Le divaricazioni dei grossi progetti costituiscono un evento raro, e sono sempre accompagnate da ridefinizioni e ampie auto-giustificazioni pubbliche. È chiaro che, in casi quali la divisione Emacs/XEmacs in ambito GNU, oppure quella gcc/egcs, o ancora le varie scissioni dei gruppi BSD, ai “secessionisti” è parso di trasgredire una norma comunitaria assai radicata.

In realtà (e in contraddizione con la teoria condivisa secondo cui chiunque possa modificare qualunque cosa) la cultura open source possiede una serie di usi e costumi sulla proprietà, elaborati ma essenzialmente non dichiarati. Essi stabiliscono a chi e in quali circostanze sia consentito modificare il software, e (soprattutto) chi abbia il diritto di ridistribuire nuovamente le versioni modificate alla comunità.

I tabù di una cultura danno sostegno alle sue norme. Risulterà perciò utile riassumerne qui i più importanti.

  • Esiste una forte pressione sociale contro i progetti divaricanti. Ciò non accade se non dietro la scusa della necessità impellente, fornendo ampie auto-giustificazioni pubbliche e sotto nuovo nome.
  • È disapprovata la distribuzione delle modifiche apportate a un progetto senza la cooperazione dei moderatori, con l’eccezione di tipici casi particolari quali i minimi aggiustamenti relativi alle porte.
  • La rimozione del nome di una persona dalla cronologia di un progetto, nonché dall’elenco di quanti hanno collaborato o l’hanno co-mantenuto, non avviene assolutamente senza esplicito consenso della medesima.

Nella parte restante di questo saggio, prenderemo dettagliatamente in esame tali tabù e le abitudini correnti in tema di proprietà. Vedremo non soltanto come funzionano, ma anche cosa rivelano riguardo alle dinamiche sociali sottostanti e alle strutture d’incentivazione tipiche della comunità open source.