Colonizzare la noosfera/Le varietà dell'ideologia hacker

Le varietà dell'ideologia hacker

../Una contraddizione introduttiva ../Teoria promiscua, pratica puritana IncludiIntestazione 8 settembre 2014 75% Open Source

Eric Steven Raymond - Colonizzare la noosfera (1998)
Traduzione dall'inglese di Bernardo Parrella (1999)
Le varietà dell'ideologia hacker
Una contraddizione introduttiva Teoria promiscua, pratica puritana


L’ideologia della cultura open source di Internet (ciò in cui gli hacker dicono di credere) è un argomento di per sé alquanto complesso. Tutti coloro che ne partecipano si dicono concordi sul fatto che l’open source (ovvero, il software in libera ridistribuzione e soggetto a pronta evoluzione e modifica come risposta alle esigenze in mutamento) sia qualcosa di positivo e degno degli sforzi collettivi. È sulla base di tale concordanza generale che si definisce efficacemente l’affiliazione in tale cultura. Tuttavia, quel che varia in maniera considerevole sono le motivazioni individuali e le relative sotttoculture.

Un primo livello di differenziazione è l’eccessivo fanatismo; ciò nel caso in cui lo sviluppo open source venga considerato sia soltanto come giusto mezzo per il raggiungimento di un determinato fine (buoni strumenti, giocattoli divertenti, un gioco interessante da fare) sia come scopo ultimo di per sé.

Una persona molto fanatica direbbe: “Il free software è tutto per me! Vivo solo per creare programmi e risorse utili e bellissime, e per diffonderli in giro.” Una persona moderatamente fanatica direbbe: “L’open source è una bella storia a cui ho deciso di dedicare parecchio del mio tempo per far sì possa concretizzarsi.” Una persona scarsamente fanatica direbbe: “Si, qualche volta l’open source è OK. Mi piace giocarci e rispetto quelli che l’hanno messo su.”

Un altro livello di variazione risiede nell’ostilità al software commerciale e/o a quelle aziende percepite come dominatrici del relativo mercato.

Una persona molto anticommerciale direbbe: “Il software commerciale è un furto e un’imposizione. Scrivo free software per porre fine a questa mostruosità.” Una persona moderatamente anticommerciale direbbe: “In generale il software commerciale è OK perché i programmatori meritano d’essere pagati, ma le aziende che s’arricchiscono con prodotti scadenti e la fanno da padroni sono una calamità.” Una persona non anticommerciale direbbe: “Il software commerciale è OK, io uso e/o scrivo free software soltanto perché questo mi piace di più.”

Tutte e nove le categorie possibili, risultanti dalla combinazione delle variazioni elencate, sono presenti nella cultura open source. Il motivo per cui è il caso di puntualizzare le distinzioni deriva dal fatto che ciascuna di esse persegue obiettivi diversi, e altrettanto diversi comportamenti di adattamento e cooperazione.

Storicamente la parte più visibile e più organizzata della cultura hacker è stata sia molto fanatica sia molto anticommerciale. La Free Software Foundation (FSF), fondata da Richard M. Stallman, fin dai primi anni ’80 ha concretamente sostenuto lo sviluppo open source inclusa la realizzazione di programmi quali Emacs e GCC, tuttora strumenti di base per il mondo open source di Internet. Una predominanza che pare destinata a proseguire nel prossimo futuro.

Per molti anni la FSF è stato l’unico fulcro importante per l’hacking open source, producendo un numero enorme di strumenti ancor’oggi cruciali per l’intera cultura. Inoltre, la FSF è stata a lungo l’unico sponsor dell’open source dotato di identità istituzionale visibile per gli osservatori esterni alla cultura hacker. Da lì arriva l’efficace definizione di “free software”, un termine deliberatamente carico di valenze provocatorie (valenze altrettanto deliberatamente evitate dalla più recente etichetta open source http://www.opensource.org).

Quindi, le percezioni della cultura hacker sia dall’interno sia dall’esterno tendevano a identificarla con l’approccio fanatico e gli obiettivi primari come anticommerciali, tipici della FSF (personalmente Richard Stallman nega di essere anticommerciale, ma il suo programma è stato in tal senso interpretato dalla maggior parte delle persone, inclusi i suoi più accaniti sostenitori). L’impulso vigoroso ed esplicito della FSF a “distruggere la costrizione del software! è divenuto l’elemento più pregnante dell’ideologia hacker, e Richard Stallman il più vicino al ruolo di leader della cultura hacker.

I termini della licenza FSF, la cosiddetta “General Public Licence” (GPL), ben esprimono siffatta attitudine e restano ampiamente in voga nel mondo open source. Nel 1997 circa la metà del software presente su Sunsite, l’archivio più grande e più noto del mondo Linux, in North Carolina, era contrassegnato dai termini espliciti della licenza GPL.

Ma la FSF non è mai stata l’unica squadra in campo. Nella cultura hacker è sempre esistita un’ala più moderata, meno provocatoria e più vicina al mercato. I più pragmatici erano fedeli non tanto a un’ideologia quanto piuttosto a un gruppo di tradizioni informatiche basate sul lavoro dell’open source e antecedenti alla FSF. Fatto ancor più importante, tali tradizioni comprendevano le culture tecniche interconnesse di Unix e dell’Internet pre-commerciale.

L’approccio tipicamente pragmatico è anticommerciale solo in maniera moderata, e la sua maggiore lagnanza contro il mondo delle corporation non è la “costrizione” di per sé. Piuttosto, il perverso rifiuto da parte di tale mondo nell’adottare un approccio superiore incorporando Unix, standard aperti e software open source. Se il pragmatico odia qualcosa, è meno probabile si tratti dei “costrittori” in senso generale quanto piuttosto degli attuali dittatori dell’industria informatica, ieri IBM e oggi Microsoft.

Per i pragmatici, la GPL è importante in quanto strumento anziché come fine ultimo. Il suo maggior valore non sta tanto nel fatto di rappresentare un’arma contro la “costrizione”, bensì in quanto strumento per incoraggiare la condivisione del software e la crescita delle comunità di sviluppo sul modello a bazaar http://www.apogeonline.com/openpress/doc/cathedral.html. Il pragmatico apprezza strumenti e giocattoli efficaci più di quanto disdegni la commercialità, e riesce a utilizzare anche software commerciale d’alta qualità senza alcun problema ideologico. Al contempo, l’esperienza dell’open source gli ha fatto apprendere standard tecnici di una qualità che ben pochi software “chiusi” possono eguagliare.

Per molti anni il punto di vista pragmatico si è espresso all’interno della cultura hacker essenzialmente con l’ostinato rifiuto ad accettare tout court la GPL in particolare o l’agenda di FSF in generale. Nel corso degli anni ’80 e dei primi ’90, tale atteggiamento veniva associato con i fan Unix di Berkeley, gli utenti della licenza BSD, e i primi tentativi di realizzare programmi Unix open source partendo dai sorgenti base di BSD. Tentativi che però non sono riusciti a costruire comunità bazaar di proporzioni significative, finendo col diventare decisamente frammentati e inefficaci.

Il pragmatismo non ebbe alcuna forza di base fino all’esplosione di Linux nel 1993-1994. Pur non essendosi mai posto in contrapposizione a Richard Stallman, Linus Torvalds ha stabilito un esempio considerando benignamente la crescita dell’ambito industriale legato a Linux, appoggiando pubblicamente l’utilizzo di software commerciale di alta qualità per compiti specifici, e deridendo gentilmente quegli elementi più puristi e fanatici all’interno della cultura hacker.

Effetto collaterale della rapida crescita di Linux fu l’iniziazione di un vasto numero di nuovi hacker che avevano giurato fedeltà a Linux, riconoscendo al programma della FSF un interesse storico. Anche se la nuova ondata di hacker Linux poteva descrivere il sistema operativo come “la scelta della generazione GNU”, la maggior parte di loro tendeva a emulare Torvalds più che Stallman.

Gradatamente i puristi anticommerciali si ritrovarono ad essere una minoranza. Il cambiamento non venne però a galla fino all’annuncio nel febbraio 1998 di Netscape relativo alla distribuzione pubblica dei sorgenti di Navigator 5.0. Ciò risvegliò l’interesse del mondo delle corporation nel “free software”. La conseguente chiamata alla cultura hacker di approfittare di questa opportunità senza precedenti e di ridefinirne l’obiettivo da “free software” a “open source”, venne accolta da una tale e immediata approvazione che sorprese chiunque vi si trovasse coinvolto.

Nel successivo sviluppo rafforzativo, da metà anni ’90 l’ala pragmatica della cultura andava trasformandosi in policentrica. Dalla radice Unix/Internet presero a germogliare altre comunità semi-indipendenti dotate di una propria autocoscienza nonché dei propri leader carismatici. Tra queste, la maggiore dopo Linux fu la cultura Perl sotto Larry Wall. Più piccole ma comunque significative, anche le enclave radunatesi intorno ai linguaggi Tcl di John Osterhout e Python di Guido Van Rossum. Tutte e tre queste comunità diedero corpo all’indipendenza ideologica, realizzando altrettanti schemi di licenza non-GPL.