Colonizzare la noosfera/Implicazioni globali del modello del gioco della reputazione
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Traduzione dall'inglese di Bernardo Parrella (1999)
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L’analisi del gioco della reputazione presenta alcune implicazioni aggiuntive forse non del tutto ovvie. Molte di queste hanno a che fare con il fatto che si guadagna maggior prestigio dal lancio di un nuovo progetto piuttosto che dalla cooperazione in uno già esistente. Inoltre, si ottiene di più da progetti decisamente innovativi anziché da incrementi proporzionali su software già in circolazione. D’altra parte, quei programmi comprensibili o utili solo all’autore sono del tutto inutili per il gioco della reputazione, e spesso risulta più semplice attirare l’attenzione contribuendo a un progetto esistente piuttosto che far notare alla gente il lancio di uno nuovo. Infine, è molto più difficile competere con un progetto che ha già ha avuto successo che non riempire una nicchia vuota.
Esiste insomma una distanza ottimale dai propri vicini (i progetti rivali più simili). Avvicinandosi troppo, il prodotto dimostra poco valore, si manifesta come un dono scadente (meglio allora collaborare a un progetto in corso). Allontanandosi troppo, nessuno potrà usarlo, né comprendere o percepire la rilevanza degli sforzi personali (di nuovo, un dono scadente). Tutto ciò crea un percorso d’insediamento nella noosfera che assomiglia parecchio a quello dei pionieri sulla frontiera geografica – non esattamente casuale, piuttosto una sorta di un’ondata frattale a diffusione limitata. I progetti tendono ad attivarsi per riempire vuoti funzionali vicino alla linea di frontiera.
Alcuni progetti molto ben riusciti sono partiti come “killer di categoria”; nessuno vuole insediarsi nei loro pressi poiché risulterebbe troppo difficile competervi onde ottenere l’attenzione degli hacker. Anziché vedere naufragare inesorabilmente i propri sforzi, sarebbe preferibile invece aggiungere delle estensioni a questi progetti, importanti e riusciti. Il classico esempio di “killer di categoria” è Emacs GNU; le sue varianti riempiono così perfettamente la nicchia ecologica riservata a un editor completamente programmabile, che nessuno ha neppure abbozzato un design veramente diverso fin dai primi anni ’80. Al contrario, la gente si mette a scrivere altre modalità Emacs.
Globalmente, nel corso del tempo le due tendenze (riempimento di vuoti e killer di categoria) hanno portato a prevedibili filoni nell’avvio dei progetti. Negli anni ’70 gran parte dell’open source esistente non rappresentava altro che giochetti e demo. Il decennio successivo vide la spinta verso lo sviluppo e gli strumenti per Internet. Negli anni ’90 l’attenzione si è rivolta ai sistemi operativi. In ognuno di questi casi, una volta quasi esaurite le possibilità del filone precedente, venne attaccato un nuovo e più difficile livello di problemi.
Una tendenza che rivela interessanti implicazioni per il futuro prossimo venturo. All’inizio del 1998, Linux sembrava proprio il killer di categoria per la nicchia “sistemi operativi open source” – coloro che altrimenti avrebbero realizzato possibili sistemi rivali, ora scrivono invece driver ed estensioni per Linux. Senza contare come già esistano innumerevoli strumenti di basso livello, in quantità anche superiore a quel che la cultura avesse mai immaginato di possedere in quanto open source. Cos’è che manca, dunque?
Le applicazioni. Con l’avvicinarsi dell’anno 2000 sembra certo prevedere che le energie di sviluppo open source si rivolgeranno sempre più verso l’ultimo territorio vergine – programmi per non-informatici. Un chiaro indicatore iniziale arriva dallo sviluppo di GIMP, il laboratorio d’immagini tipo Photoshop, la quale rappresenta la prima maggiore applicazione open source dotata del tipo di interfaccia GNU user-friendly, considerata de rigeur nelle applicazioni commerciali dell’ultima decade. Un’altra indicazione viene dal gran parlare che si fa intorno a progetti di pacchetti applicativi quali KDE e GNOME.
Infine, l’analisi del gioco della reputazione bene illustra la frequente citazione secondo cui non si diventa hacker semplicemente autodefinendosi tali – bensì quando si viene così chiamati dagli altri hacker. Alla luce di questa considerazione, un “hacker” è qualcuno che ha dimostrato (contribuendo con dei doni) di possedere sia abilità tecnica sia comprensione del gioco della reputazione. Una posizione che deriva soprattutto da coscienza e crescita culturale, e che può essere riconosciuta soltanto da coloro che fanno già parte integrante di quella cultura.