Clelia/X
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CAPITOLO X.
L’ORFANA.
Quando Silvio colla disperazione nch’anima ebbe raccolto la povera Camilla nel Colosseo e la condusse verso la casa di Marcello non una parola fu articolata dai due durante il viaggio.
Silvio aveva un cuore d’angelo — egli sapeva che la società tollera ogni specie d’impudicizia, colla sola condizione che le apparenze si salvino; — ma che si mostra inesorabile contro l’errore d’una fanciulla — sia essa stata la vittima dell’insidia o della violenza. Egli sapeva che mercè questo pregiudizio — passeggia a fronte alta il delitto, e vilipesa è l’innocenza tradita — ed in cuor suo protestava contro questa evidente ingiustizia. Egli che aveva tanto amato la sua Camilla e che la ritrovava ora sì infelice — poteva egli non impietosirsi alla sua sorte? — Oh! anche in questa terribile notte egli avrebbe difeso la povera fanciulla contro un esercito!
Pieno di questi sensi gentili — ei la sorreggeva — poichè la sentiva stanca — e lei si contentava di quando in quando di alzare uno sguardo timidamente supplichevole verso il suo protettore. — Così camminavano verso la casa paterna che Silvio non aveva più riveduta dacchè era stata deserta da Camilla — e camminavano silenziosi.
Un terribile presentimento invadea l’anima d’entrambi — e l’ombra della notte copriva su quelle interessanti fisonomie un aspetto di mestizia, di disperazione, di dolore che s’andavano a seconda dei loro pensieri alternando.
Alla casa di Marcello giungevasi per un viottolo perpendicolare alla strada maestra, dalla quale distava circa un cinquecento passi. — Entrati che furono nel viottolo — (e già cominciava ad albeggiare) l’abbajare d’un cane — scosse Camilla dal suo letargo — e sembrò infonderle nuova vita. — È Fido! Fido! —: essa esclamò con una ilarità che da molti mesi erale sconosciuta — ma al tempo istesso come le avesse balenato un lampo nella mente - — le si affacciò l’abbiettezza della sua presente condizione — si staccò dal braccio di Silvio — lo guardò — e rimase sbalordita ed immobile come fosse una statua.
Silvio s’avvide di tutto — come leggesse nell’animo di lei — e temendo di qualche ritorno alla pazzia — s’avvicinò amorevolmente, e: «vieni Camilla» le disse «è il tuo Fido che ti ha udita, e ti ha forse riconosciuta.» E non aveva infatti terminate ancora quelle parole — quando il bracco apparve — e indeciso prima — poi; con una corsa furiosa si slanciò sulla sua padrona — e saltellando — lambendo — urlando — presentò una scena che avrebbe intenerito un animo di bronzo. Camilla inchinatasi automaticamente per corrispondere alle carezze dell’amoroso animale — proruppe in un pianto dirottissimo.
La fatica e l’emozione avevano affranto quella buona ed infelice creatura. — Adagiata sul terreno pareva incapace di rialzarsi; onde Silvio la copriì col suo mantello per preservarla dal freddo mattutino — ed egli frattanto si avanzò in esplorazione.
L’abbajare di Fido — doveva avere svegliato chi si fosse trovato nella casa — e veramente, appena Silvio vi fu giunto — scorse un giovinetto di circa dodici anni sulla soglia — e conosciutolo — lo chiamò per nome «Marcellino!» — Il giovinetto che sulle prime erasi insospettito di una visita sì mattutina — quando riconobbe la voce amica — corse incontro a Silvio e teneramente gli si avvinghiò al collo.
«Ov’è tuo padrino?» chiese il cacciatore, dopo ricambiate le amorevoli accoglienze del fanciullo — ma questi rimase muto. — «Ov’è Marcello?» ripeteva l’altro ancora — e singhiozzando dolorosamente il giovinetto mormorava — Morto! —
Silvio commosso alla scoperta di tante sventure si lasciò cadere su di un gradino della soglia senza poter articolare parola — e lui pure come la Camilla sentì bagnarsi il volto dalle lagrime.
«Oh! Dio giusto!» sclamava Silvio lagrimoso come puoi tu permettere che per contentare le disoneste voglie di un mostro — tante e sì buone creature siano ridotte all’abbiezione ed alla morte!
«Se l’ora della vendetta non fosse vicina e se la speranza di presto immergere questo pugnale nel cuore dell’assassino, non mi trattenesse — mi frugherei con esso le viscere per non vedere più oltre un solo giorno di umiliazione e di sciagura della povera patria mia!»
Intanto l’infelice Camilla all’alito soave dell’aria nativa — spossata com’era dalla fatica della mente e del corpo — dallo stupore e dal letargo era passata ad un sonno provvidenziale e riparatore.
Quando Silvio e Marcellino giunsero accanto a lei s’accorsero che dormiva — onde Silvio vietò la si destasse, dicendo: «A che svegliarla alla sventura! Essa avrà tempo abbastanza per piangere e trascinare una vita di dolore e di pentimento.»