Chi va la notte, va a la morte

Giuseppe Gioachino Belli

1832 Indice:Sonetti romaneschi II.djvu sonetti letteratura Chi va la notte, va a la morte Intestazione 24 maggio 2024 75% Da definire

La Cchiesa dell'Angeli Li soprani der monno vecchio
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1832

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CHI VA LA NOTTE, VA A LA MORTE.1

     Come so’ lle disgrazzie! Ecco l’istoria:
Co’ cquell’infern’uperto de nottata,
Me ne tornavo da Testa-spaccata2
A ssett’ora indov’abbita Vittoria.

     Come llì ppropio dar Palazzo Doria
So’ ppe’ ssalì Ssanta Maria ’nviolata,3
Scivolo, e tte do un cristo de cascata,
E bbatto apparteddietro la momoria.4

     Stavo pe’ tterra a ppiagne a vvita mozza,5
Quanno ch’una carrozza da signore
Me passò accanto a ppasso de bbarrozza.6

     “Ferma!„, strillò ar cucchiero un zervitore;
Ma un voscino ch’escì da la carrozza
Je disse: “Avanti, aló;7 cchi mmore, more.„8

21 gennaio 1832.

Note

  1. [Proverbio.]
  2. Via di Roma.
  3. Santa Maria in Via lata, antico nome del Corso.
  4. È comunque opinione del popolo che la memoria risieda nella parte posteriore del capo, la quale perciò si chiama propriamente la memoria.
  5. A gocciole, come una vite recisa che dia umore.
  6. Baroccio, carretta da buoi.
  7. [Dall’allons de’ Francesi; e il Belli avverte in più luoghi che deve pronunziarsi con l’o stretto.]
  8. [Pecora nera, pecora bianca: chi more, more; chi campa, campa. Proverbio umbro, e anche romano, almeno nella seconda parte.]