Che gonfiar trombe, che spronar destrieri
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LII
PER LO PRINCIPE
D. LORENZO MEDICI
DUCA D’UMENA
Che tornava contra Indamoro per la reina Lucinda.
Che gonfiar trombe, che spronar destrieri,
Che rimbombo di gridi
Del mio bell’Arno a i lidi
Fra tersi acciar va sollevando i cori?
5Già non cosparge Marte odj guerrieri
Infra nobili petti:
Nè turbano gli aspetti,
Giocondi a rimirare ire e furori;
Nè pace volge a queste piagge il tergo,
10Ove ha colla giustizia antico albergo.
Ma pure onde le piume, ed onde i fregi
De’ militari arnesi?
E di strani paesi:
Perchè fra gemme fiammeggiar le spade?
15Non è senza consiglio opra de’ regi;
Cerca ad altere lodi
Traggersi in varj modi
Del buon Lorenzo la leggiadra etade,
Di cui chiaro tra l’aure odor si spande:
20Ramo gentil di Ferdinando il grande.
Virtù, che in alto ha di vibrar suoi raggi,
Per tempo vi s’invia.
Chiron, che già nudría
Alla Ninfa del mar l’inclito figlio,
25Fanciullo il fea varcar monti selvaggi,
Di belve aspro soggiorno;
Ed ei, correndo intorno,
Crescea gli spiriti nel maggior periglio,
E sciogliea dalle labbra il bel sorriso,
30Talor su i velli di leone anciso.
Spesso il centauro, che ne’ fier sembianti
Coprìa gentile ingegno,
Recossi in mano il legno,
Dolce a sentir, di belle corde armato;
35E facea risonar d’amabil canti
La nativa caverna,
Dando di fama eterna
Esca soave al pargoletto amato;
E guarniva di piume i pensier suoi
40Per lo sentier de’ celebrati eroi.
In vaga danza di real convito
Bella vergine sposa
Mette le piante in posa,
Se l’abbandona armoniosa cetra;
45E del fier Marte cavaliero ardito
Vien neghittoso e lento,
Se al grave suo tormento
Nulla di Pindo chiara voce impetra;
Sì fatta veritate alto risuona:
50Eccita negli affanni almo Elicona.
Che armasse il busto di terribil belva
Turba d’orride teste
Per le greche foreste,
Fu della bella Clio gentil vaghezza;
55Nè di Nemea per la cantata selva
Leone unqua si vide;
Ver è, che in terra Alcide
Circondò l’alma d’immortal fortezza;
Per eccelse fatiche ei si fe’ chiaro,
60Le Muse poi per cotal via l’ornaro.
E tu s’avvien, che l’asta tua percuota
Ne’ libici tiranni,
O con egregj affanni
T’inghirlandi per l’Asia altero alloro,
65Udirai risonar lungo l’Eurota
Nobili tuoi trofei,
Assalti gigantèi,
E per aria iterare alto Indamoro,
Ed in versi formar mostri e portenti;
70Stupore immenso alle foture genti.
L’anima volgi al cavalier, che nacque
Giù da dorata pioggia,
Mentre per l’aria ei poggia,
Alato il piè, nell’Etiopia scerse
75Vergine rilegata in riva all’acque;
Della bella infelice
La rëal genitrice
Di pianto ambo le guance avea cosperse;
Ed a ragion; che per infamia è forte
80Uom che asciutto de’ suoi mira la morte.
Verso lei, che dolente era in catene,
Apparecchiando il morso,
Precipitava il corso
Nel seno all’oceán fera squamosa,
85Gran spavento dell’onde e dell’arene;
Ma calandosi d’alto
Al glorioso assalto
Perseo ratto infammò l’alma amorosa,
E spense il mostro, e la donzella sciolse,
90E per man d’Imeneo seco la volse.
Le meraviglie del Gorgon non scrivo,
Che forse annojar fora;
O Sol, di cui l’Aurora
Fa sull’Arno sperar lungo sereno;
95Come fra noi nel cavaliero argivo
Canta il gentil Permesso,
Così di te lo stesso
opo gran tempo canterà non meno,
mai Lucinda per l’età futura
100Più che la chiara Andromeda fia scura.