Proemio

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Cena de le ceneri Dedica
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PROEMIO
ALLA CENA DE LE CENERI 1



Nella Cena delle Ceneri Bruno combatte non l’ignoranza, ma l’errore, ed un errore particolare, fondamentale, in filosofia naturale, il pregiudizio che la terra è immobile e che l’universo non è infinito. «Varrebbe meglio, egli dice, non sapere che credere di sapere quello che in effetto s’ignora.»

Questo scritto, dedicato al barone di Mauvissière, sotto i cui auspicj questa «filosofia ritrovata [p. vi modifica]e restaurata» questo «nuovo pitagorismo «dovea propagarsi in Inghilterra, è sempre uno dei libri più notevoli di Bruno e del secolo XVI. Meglio di qualunque altra opera di quell’età, svolge la gran lotta che sorse tra Copernico e i suoi avversari, tra le opinioni del medio evo e la cosmologia moderna; e al medesimo tratto ritrae, con vena pittorica, lo stato intellettuale ed anche sociale della Gran Brettagna sotto il regno di Elisabetta. All'elogio dell’astronomo di Thorn ed alla dimostrazione poetica delle sue teoriche, allora generalmente sprezzate, tramette il racconto arguto, divertente delle avventure di Bruno a Londra e ad Oxford. Brani didattici elevatissimi, [p. vii modifica]sono interrotti da dispute contumeliose, che gli scolastici avevan tra loro, o dalle risa del loro antagonista, o dalle esclamazioni che gli detta il suo entusiasmo, intorno all'avvenire serbato al sistema di Copernico. «Forse, disse Bruno in un’opera posteriore, v’è una varietà troppo grande di tuoni, un bizzarro amalgama di colori e d’effetti; ma si badi al titolo! Quel libro somiglia al nostro pasto, nel quale veniva in tavola ogni specie di cibi e bevande.... Non si deve badare che alla dottrina che vi splende!»

Questa dottrina si riduce alle seguenti proposizioni: Nei fenomeni celesti si devono distinguere le apparenze e la realtà: si dee [p. viii modifica]considerare l’universo come infinito, e astenersi di cercarne sia il centro sia la circonferenza. Deesi ammettere che il nostro globo è della stessa materia e della stessa forma che gli altri astri; che tutto quel ch’è creato si muove e vive, e costituisce un essere vivente, un animale: che finalmente questi animali immensi camminano secondo disegni talmente pieni di saggezza e di ragione, che formano in certo modo degli esseri intelligenti, animali intellettuali2. [p. ix modifica]Bruno sostiene questa medesima dottrina dall'una parte, contro «i falsi filosofi,» vale a dire i peripatetici che negano il moto della terra, e la pongono al centro del mondo; dall'altra, contro «i falsi teologi,» i quali non s’avvedono che una teorica, in cui matematicamente e fisicamente si prova l’immensità dell’universo, è la sola che si accordi con una religione, la cui divinità è infinita in tutte le sue opere, come in sé stessa, infinita in ispazio e in durata. La maestà di Dio è senza limiti; il numero dei suoi messaggeri, vale a dire, degli astri, e del mondo, dee pertanto essere illimitato. L’opporre che questo nuovo sistema sembra contrario alla Scrittura santa, non [p. x modifica]ha fondamento, perchè la Scrittura, non chè voglia rivelare la realtà dei fenomeni fisici, s'adatta al modo ordinario di considerare le apparenze. Imperocché ella è una rivelazione morale e non fisica; imperocché racconta la storia delle cose sacre, promulga leggi per le coscienze e i costumi degli uomini, e non fa un corso di filosofia naturale o un corso di dottrine cosmologiche.

Onde questa obiezione non ha maggior saldezza di quella dei difensori dell'antichità profana «La teorica Copernicana, dicono costoro, è nuova nuova, e per conseguente è erronea.» Ma se ogni novità è errore, la dottrina d’Aristotele è stata falsa nei primi tempi del suo regno. Senzachè, [p. xi modifica]se l’antichità è argomento di verità, la credenza al moto della terra è più plausibile che l’opinione peripatetica, imperocché Pitagora, che fu il primo a sostenerla, visse prima d’Aristotele. Il genere umano, giunto al secolo XVI, è più oltre in età che al tempo di Aristotele; i suoi concetti del secolo XVI costituiscono pertanto una credenza più matura, più sensata, che le idee sbocciate trecento anni avanti l'era cristiana. Finalmente, se la consuetudine e l’utilità fanno fede della perfezione d’un pensiero, dee altresì concedersi che l’ipotesi di Copernico è più verisimile, se non più vera, e ch'essa è più giusta, poichè più semplice, più facile ad applicarsi, e di [p. xii modifica]più vasta estensione. Due ostacoli s’attraversano all’accettazione di questo sistema: l’abitudine e la preponderanza dei sensi sulla ragione. Ma qual fede merita l’abitudine, dappoichè c’impedisce di discernere il veleno da un alimento sano e naturale? Dar retta ai sensi anziché alla ragione, è pareggiarsi a coloro, che, incarcerati nell’antro platonico, stimano corruttibile e peribile la sostanza delle cose, mortale l’anima immortale, e nulla la divina giustizia, è farsi compagno agli amici del materialismo, vale a dire della vera empietà.

Voi meraviglierete, dice Bruno a Mauvissière, come con tanta brevità s’espediscano sì gran cose: [p. xiii modifica]onde promette di riprendere ad esaminarle partitamente in altri scritti. La Cena dovea sol porre i quesiti e ricordare le circostanze in cui Bruno ne mise in campo la discussione tra i dotti e i cortigiani d'Inghilterra.


Christian Bartholmèss

  1. Quest’opera si compone di cinque dialoghi, divisi tra quattro persone (tetralogo). Il principale interlocutore si chiama Teofilo; e Teofilo rappresenta Bruno, come nei Nouv. Essais sur l’entendement humain, questo nome rappresenta Leibnitz.
  2. Anche per Campanella il mondo è un grande animale perfetto, per esempio Poesie p. 9, Conf. Charon, de la Sagesse, I, p. 72, 81, 87. Resta a sapere se quest’animale si muove per sè stesso.