Cartagine in fiamme/14. L'uragano

14. L'uragano

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L'URAGANO


Dopo la lotta contro gli uomini, ecco la lotta contro il mare. Il ciclone formatosi a settentrione, era già entrato nella vasta baia cartaginese, tutto sconvolgendo sul suo passaggio. Pareva che aspirasse l'acqua e che assorbisse, come nulla fossero, i marosi livellandoli di colpo. L'hemiolia fuggiva per non essere a sua volta aspirata e capovolta. Per maggior precauzione si era gettata verso la costa, onde, nel caso di estremo pericolo, gettarsi sulle sabbie e arenarsi.

Sidone, sempre instancabile, si era fatto legare al suo banco assieme a Hiram, non potendo da solo reggere ai colpi formidabili che subiva il lungo remo. Ophir e Fulvia si erano affrettate a rifugiarsi nella cabina del capitano, per non esporsi al pericolo di venire portate via dai colpi di mare, che si rompevano di quando in quando sulla coperta, tutto allagando e rovesciando i quattro uomini di guardia. Il ciclone quasi avesse giurato di perdere la disgraziata nave, la minacciava sempre urlando spaventosamente. La immensa colonna liquida nella sua corsa pazza, per ben due volte aveva tagliata la via all'hemiolia ed era stato un vero miracolo se Sidone era riuscito a sfuggire alle sue pericolose spire.

— Si direbbe che questa notte Melkarth si è alleato col vecchio Hermon e con quel cane di Phegor! — esclamò Sidone. — Ben poche volte ho incontrata una così brutta tempesta. Non so come ce la caveremo, padrone!

— Temi di non poter tener testa all'uragano? — chiese Hiram, guardandolo con ansietà.

— Non potrei affermare di riuscire vittorioso. Se da un lato è un bene che il mare si sia messo in collera, dall'altro è un male, perché può scaraventarci chissà dove.

— Un bene?

— Sì, padrone, perché con questi cavalloni noi siamo sicuri che le quinqueremi e le triremi della repubblica non lasceranno i loro ancoraggi.

— Preferirei quasi tentare la fuga attraverso un'altra squadra, piuttosto d'aver da lottare con simile tempaccio.

— Eh, padrone! — disse Sidone scuotendo il capo. — Ci tengo più a dar battaglia al mare.

— Ecco ancora il turbine che ritorna! Che non voglia lasciarci un momento tranquilli?

La gigantesca tromba, dopo d'aver scorrazzato pel golfo, spinta e risospinta dai venti che s'incrociavano in tutte le direzioni, riappariva minacciosa a poppa dell'hemiolia.

Il fracasso che faceva era tale, da impedire a Sidone e ad Hiram di comprendersi. Il mare, sotto di esse, formava come un immenso gorgo roteante che s'approfondiva come un imbuto.

Guai alle navi che vi fossero cadute dentro! Certo non sarebbero uscite incolumi da quella specie di bolgia.

Fortunatamente l'hemiolia non aveva bisogno d'attendere un buon colpo di vento per sottrarsi al pericolo. I suoi quaranta remi la spingevano dove l'hortator desiderava e gli uomini che li maneggiavano non erano facili a stancarsi.

Sidone con un colpo di timone gettò la nave fuori di rotta per la terza volta, nel momento in cui la tromba passava a meno di due gomene, con un frastuono orrendo, assordante.

Per alcuni istanti la nave fu sballottata spaventosamente, ora rimontando ed ora sprofondando in abissi che pareva dovessero toccare il fondo del mare, poi riprese l'equilibrio; ma ciò fu di brevissima durata.

Il gorgo si era riempito ed al suo posto si era formata un'onda alta come una collinetta, la quale, rompendosi in vari cavalloni, tornò ad investirla.

Sidone aveva mandato un grido di rabbia. Il lungo remo si era spaccato in due con uno schianto che fu udito anche da Hiram.

— Andiamo? — chiese il cartaginese, che era diventato pallido.

— Alla ventura padrone! — rispose l'hortator abbandonando il troncone ormai inutile e tagliando la fune che lo legava alla panca.

— Vuoi dire che siamo perduti!

Sidone non rispose.

— Parla — ripetè Hiram.

— Siamo nelle mani del mare, signore.

— E dovrò perdere Ophir, dopo quanto ho fatto per rivederla e per farla mia?

— Io non sono Melkarth, padrone. Tuttavia non disperiamo ancora: i remi possono regolare la marcia. Lasciami battere il tempo, chissà!...

Hiram si era alzato.

— Dove vai padrone? — chiese l'hortator.

— Dalle fanciulle.

— Lascia loro credere che tutto va benone. A quale scopo spaventarle? E poi non siamo ancora in bocca ai pesci. Resta accanto a me: i nostri uomini saranno più lieti vedendoti sul ponte.

Si cacciò fra le gambe il disco di bronzo e si mise a percuoterlo con estrema violenza, onde dominare i ruggiti del vento ed i muggiti dei cavalloni. Il bravo hortator tentava la suprema fortuna. Non possedendo l'hemiolia né alberatura, né vele, poteva ancora, col sussidio dei quaranta remi, tenersi bene o male sulla rotta primiera.

Parve infatti da principio che la nave, i cui fianchi, permettevano alle onde di scivolarvi sopra, non avendo le navi antiche curvature, potesse resistere anche se sprovvista del lungo remo che serviva da timone, quando invece ad un tratto si vide ricomparire la tromba che s'annunciava con uno strepito infernale.

— È qualche genio maligno che ce la scaglia addosso! — gridò Sidone.

— Che Phegor sia amico dei venti e delle acque? — chiese Hiram che si sentiva mancare il coraggio.

Sidone lasciò cadere il martello di legno ed il disco di bronzo e salì sulla sua panca, cercando di spingere lontano lo sguardo.

— Padrone — disse poi con un accento nel quale si udiva vibrare un leggero tremito. — Occupati di Ophir tu.

— La tromba ci piomba addosso?

— Non so — rispose l'hortator asciugandosi col dorso della mano destra, alcune stille di gelido sudore. — Io, in caso di disgrazia, penserò all'etrusca. Che salgano subito in coperta... affrettati!... Siamo sull'orlo degli abissi del mare.

Hiram non s'era fermato a udire le ultime parole. Era sceso precipitosamente nella sua cabina, che una lampada di rame illuminava fiocamente.

La cartaginese e la etrusca erano là, strettamente abbracciate dinanzi ad uno dei pertugi che servivano da finestra, contemplando con estrema ansietà il mare in tempesta.

— Corriamo contro la morte, è vero? — chiese Ophir.

— No, non temere, mia adorata — rispose il capitano, prendendola per una mano. — Tuttavia non ti nascondo che la nostra situazione è grave.

— Assieme a te, la morte non mi fa paura, Hiram — disse Ophir.

Fulvia era rimasta silenziosa; tuttavia guardava il cartaginese intensamente, come se avesse desiderato attirare su di sé la sua attenzione.

— Venite — disse Hiram. — Ogni istante che passa può essere fatale a tutti.

Stavano per mettere i piedi sulla tolda, quando udirono Sidone a gridare con accento di terrore:

— Cadiamo nel basso!... Dentro i remi di babordo!

Un nembo immenso di schiuma avvolgeva l'hemiolia, accompagnato da getti d'acqua grossi come barili, che precipitavano da tutte le parti, scrosciando sul ponte, sul casserotto e sulle murate.

Che cosa accadeva? Era ormai la nave entrata nell'immane tromba? La nave fu come aspirata, girò su se stessa, i remi furono spaccati di colpo sotto un urto formidabile, poi subentrò un istante di calma. Non si udivano più che vagamente i fragori del mare.

Tutti erano saliti sul ponte, anche i quaranta remiganti nelle cui mani non erano rimasti che tronconi che non potevano più servire.

— Sidone! — gridò Hiram che si teneva fortemente stretta Ophir.

La risposta fu uno schianto, seguito da una scossa più forte della prima, quindi l'hemiolia si sbandò sul tribordo, rovesciando gli uomini che la montavano gli uni addosso agli altri.

I muggiti delle onde si facevano udire nuovamente intensissimi. Era passata la tromba o continuava l'aspirazione?

D'un tratto la voce dell'hortator echeggiò fra tutti quei fragori, che agghiacciavano il sangue anche ai più audaci:

— Il fianco destro è sfondato. Melkarth ci ha abbandonati!

Poi seguì un rombo, come se tutta l'hemiolia si fosse aperta contro qualche scogliera o su un bassofondo, seguito da mille scricchiolii.

— Ecco la fine! — gridò Sidone. — Povera hemiolia!... Tiro, ti saluto e forse per sempre!

L'hortator che era per un momento scomparso in mezzo ad un nembo di spuma, che si era rovesciato sulla tolda, si era nuovamente mostrato accanto a Hiram, che stava fra Ophir e Fulvia.

— Padrone — gli disse — non è colpa mia se non ho potuto salvare la tua nave. Sei contento di vivere ancora e di non aver perduto la fanciulla che tu ami?

— Dove siamo noi? — chiese Hiram.

— Sulle scogliere del promontorio d'Apollinis — rispose Sidone. — Non siamo ancora fuori del golfo, tuttavia non siamo nemmeno sotto Utica.

— L'hemiolia?

— Perduta, signore: più nessuno la rimetterà a galla.

— Ricadremo dunque nelle mani d'Hermon e di Phegor?

— Sono lontani, padrone, e poi se non siamo più in cinquanta, siamo sempre in buon numero.

— Dove troveremo un rifugio noi? Ancora sulla costa d'Africa che io desideravo sfuggire? Questa terra è ormai troppo fatale per noi.

— La Sicilia non è lontana e abbiamo due scialuppe. Aspettiamo che il mare si calmi. Poteva toccarci ben di peggio e ti lagni?

— Le onde non sfasceranno del tutto l'hemiolia prima che il bel tempo ritorni?

— Non credo, tuttavia faremo una visita alla stiva e anche alle scogliere.

— Dunque Hiram? — chiese Ophir che si teneva stretto indosso una specie di mantello di lana nera, offertole da un numida onde si riparasse dai nembi di spuma, che passavano e ripassavano attraverso la tolda.

— Sidone mi ha assicurato che pel momento non vi è alcun pericolo — rispose il cartaginese. — Va' ad aspettarmi sulla prora, che è la meno esposta agli assalti del mare. I nostri uomini veglieranno su di te e su Fulvia.

— Vieni, padrone — disse l'hortator che era salito sulla murata per meglio osservare le scogliere che cingevano la nave. — Io credo che le onde non ci toglieranno più di qua, essendo la carena bene appoggiata e fors'anche trattenuta da qualche punta rocciosa, che le è entrata nel ventre. Ciò che mi preoccupa è la violenza delle onde, che irrompano attraverso a qualche squarcio. Portate un lume.

Un marinaio staccò la lampadina che illuminava la camera di prora e precedette l'hortator ed Hiram nel frapponte dei rematori.

— L'acqua entra — disse subito Sidone curvandosi sul boccaporto della cala. — Il fianco destro ha ceduto presso la colomba.

— La odi entrare? — chiese Hiram.

— Sì, padrone.

— E così?

— L'affare è grave. Non so se il fasciame potrà reggere.

— E se rimarremo sopra il ponte il mare ci spazzerà via! — aggiunse il marinaio che portava il lume.

— E anche questo è vero — disse Sidone. — Saremo costretti a rifugiarci qui e turare tutte le aperture.

Come a confermare le sue parole, videro in quel momento scendere Ophir e Fulvia sorrette da quattro numidi e seguiti da parecchi uomini.

— Padrone — disse un marinaio. — Non è più possibile restare in coperta. I colpi di mare la spazzano da prora a poppa, e hanno già portato via due dei nostri, frantumandoli sulle scogliere.

— Che scendano tutti nel frapponte — rispose Sidone che non perdeva un atomo della sua straordinaria calma.

Quel comando non era necessario. Gli uomini che erano ancora rimasti in coperta, scendevano la scala a precipizio, mentre dietro di loro scendevano torrenti d'acqua.

— Chiudete i boccaporti! — gridò Sidone. — E rinforzateli.

Pareva che l'ultima ora stesse per suonare per l'hemiolia. La massa intera, quantunque inchiodata, per modo di dire, fra le rocce, subiva di quando in quando dei soprassalti. Si alzava un momento, poi ripiombava sul suo durissimo letto, fracassando a poco a poco la carena.

Il frastuono era diventato infernale. Le onde, che aumentavano di mole, correvano all'assalto della scogliera, s'alzavano spaventosamente e si sfasciavano sulla coperta dell'hemiolia con urti formidabili, orribili. I numidi non si erano però lasciati vincere ancora dal panico. Avevano portati i loro materassini e con quelli avevano turate tutte le aperture onde impedire all'acqua d'allagare anche il frapponte. Specialmente i due boccaporti che mettevano nella cala, erano stati saldamente rinforzati, essendo da quella parte il pericolo maggiore.

Tutto doveva essere sconquassato sotto il frapponte. Si udivano urtarsi barili e pezzi di fasciame, sospinti e risospinti dalle ondate che irrompevano attraverso il fianco squarciato dell'hemiolia.

Hiram, seduto fra Ophir e Fulvia, ascoltava con sgomento i crescenti fragori della tempesta, chiedendosi come sarebbe finita quella notte d'orrore e se sarebbe riuscito a strappare alla morte la fanciulla amata. I marinai, sdraiati presso le aperture, ascoltavano anche loro senza parlare.

Sidone invece camminava nervosamente sul frapponte borbottando e fermandosi di quando in quando presso i due boccaporti della cala, temendo che da un momento all'altro l'acqua irrompesse e li affogasse tutti. Le ore passavano, ma la tempesta non accennava a diminuire ancora. Tuttavia l'hemiolia costruita interamente di quercia del Libano, non ostante l'enorme squarcio che s'apriva sul suo fianco e lo sfacelo della colomba, resisteva meravigliosamente agli assalti del mare.

L'alba doveva essere già sorta, quando parve a Sidone che la furia del vento accennasse a scemare. I ruggiti spaventosi di poco prima erano meno frequenti e più fiochi, non però i muggiti dei cavalloni. Cessate le raffiche, anche i cavalloni non dovevano tardare a spianarsi. Le bufere che scoppiano lungo le coste africane, al pari di quelle che imperversano nel golfo del Messico, che sono così tremende per le isole antilliane, sono di una violenza inaudita, tuttavia sono anche di brevissima durata.

— Pare che Melkarth si voglia ricordare di noi — borbottò l'hortator. — Andiamo un po' a vedere che cosa succede e se le scialuppe sono ancora intatte. Possono ben contenere l'intero equipaggio e Girgenti non è poi molto lontana. Fra due giorni possiamo giungervi e allora, mio caro Phegor, puoi urlare al mare ed ai venti le tue minacce.

Fece aprire un boccaporto, chiamò Hiram e salì in coperta.

Le onde non la invadevano più, quantunque il tempo fosse ancora pessimo ed il mare sempre sconvolto.

Un fascio di raggi solari, sbucando fra uno strappo delle nubi si rifletteva sulle creste dei cavalloni.

— Padrone, — disse, — noi abbiamo una fortuna invidiabile, io avevo bestemmiato contro Melkarth ed il buon dio dei naviganti ha voluto dimostrarmi che avevo torto. Fra quattro o cinque ore noi fileremo verso la Sicilia.

— Ne sei sicuro Sidone? — chiese Hiram.

— Un vecchio marinaio come lo sono io, non s'inganna mai.