Canzone ad Angelo Mai/Ad Angelo Mai

Ad Angelo Mai

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Al Conte Leonardo Trissino

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     Italo ingegno, a che già mai non posi
Di svegliar da le tombe
I nostri padri? e a favellar gli meni
A questo secol morto al quale incombe
5Si gran nebbia di tedio? E come or vieni
Sì forte a’ nostri orecchi e sì frequente,
Voce antica de’ nostri
Muta sì lunga etade? e perchè tanti
Risorgimenti? In un balen feconde
10Venner le carte; e a la stagion presente
I polverosi Chiostri
Serbaro intatti i generosi e santi
Detti de gli avi. E che valor t’infonde
Il Cielo e ’l fato, Italo illustre? e quale
15Tanto avvivar fu degno altro mortale?

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     Certo senza divino alto consiglio
Non è ch’ove più lento
E grave è ’l nostro disperato obblio,
A percoter ne rieda ogni momento
20Novo grido de’ padri. Ancora è pio
Dunque a l’italia il cielo, anco si cura
Di noi qualche immortale;
Che poi ch’è questa o nessun’altra poi
L’ora da ripor mano a la virtude
25Rugginosa de l’itala natura,
Tanto e sì strano e tale
È ’l clamor de’ sepolti, e de gli eroi
Dimenticati il nome si dischiude,
O patria o patria, anco in età sì tarda
30Chiedendo se ti giovi esser codarda.

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     Spirti sublimi, ancor di noi serbate
Qualche speranza? in tutto
Non siam periti? A voi certo il futuro
Ignoranza non copre: io son distrutto
35Ed annientato dal dolor, che scuro
M’è l’avvenire, e tutto quanto io scerno
È tal che sogno e fola
Fa parer la speranza. Anime prodi,
Voi non sapete a che siam giunti? È morta
40Italia vostra; a’ vostri figli è scherno
E d’opra e di parola
Ogni valor; di vostre eterne lodi
Non è chi pensi, nullo si conforta
Del vostro rimembrar, che di viltade
45Siam fatti esempio a qualsivoglia etade.

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     Bennato ingegno, or quando altrui non cale
De’ nostri alti parenti,
A te ne caglia, a te cui ’l fato aspira
Benigno sì che per tua man presenti
50Paion que’ giorni allor che da la dira
Obblivíone antica ergean la chioma
Con gli studi sepolti
I vetusti divini a cui natura
Parlò senza svelarsi, onde i riposi
55Magnanimi allegrar d’Atene e Roma,
Oh tempi oh tempi avvolti
In sonno eterno. Allora anco immatura
La ruina d’italia, anco sdegnosi
Eravam d’ozio turpe, e l’aere a volo
60Una favilla ergea da questo suolo.

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     Eran calde le tue ceneri sante,
Non domito nemico
De la fortuna, al cui sdegno e dolore
Fu più l’averno che la terra amico:
65L’averno; e qual non è parte migliore
Di questa nostra? E le tue dolci corde
Tremolavano ancora
Dal tocco di tua destra o sfortunato
Amante. Ahi dal dolor comincia e nasce
70L’italo canto. E pur men grava e morde
Il mal che n’addolora.
Del tedio che n’affoga. Oh te beato
A cui fu vita il pianto. A noi le fasce
Cinse la noia, e siede accanto il nulla
75Immoto e ne la tomba e ne la culla.

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     Ma tua vita era allor con gli astri e ’l mare,
Ligure ardita prole,
Quand’oltre a le colonne ed oltre a i liti
Cui strider l’onde a l’attuffar del sole
80Pareva udir la sera, a gl’infiniti
Flutti commesso, ritrovasti il raggio
Del sol caduto, e ’l giorno
Che nasce allor ch’a i nostri è giunto al fondo;
E vinto di natura ogni contrasto,
85Ignota immensa terra al tuo viaggio
Fu gloria, e del ritorno
A i rischi. Ahi ahi che conosciuto il mondo
Non cresce ma si scema, e assai più vasto
È al fanciullin che a quello a cui del cielo
90Gli arcani e de la terra han perso il velo.

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     Nostri beati sogni ove son giti
De l’ignoto ricetto
D’ignoti abitatori, o del diurno
De gli astri albergo, e del rimoto letto
95De la giovane aurora, e del notturno
Occulto sonno del maggior pianeta?
Sete svaniti a un punto.
Ecco descritto il mondo in breve carta,
Ecco tutto è simile, e discoprendo,
100Solo il nulla s’accresce. A noi ti vieta
Il vero appena è giunto,
O caro immaginar; da te s’apparta
Nostra mente per sempre, a lo stupendo
Poter tuo primo ne sottraggon gli anni,
105E rifugio non resta a i nostri affanni.

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     Nascevi a dolci sogni intanto, e ’l primo
Sole splendeati in vista,
Cantor vago de l’arme e de gli amori
Che in età della nostra assai men trista
110Empier la vita di felici errori:
Nova speme d’italia. O torri o celle
O donne o cavalieri
O giardini o palagi, a voi pensando
In mille vane amenità si perde
115L’ingegno mio. Di vanità, di belle
Fole, e strani pensieri
Si componea l’umana vita: in bando
Gli cacciammo: or che resta? or poi che ’l verde
È rapito a le cose? il certo e solo
120Veder che tutto è vano altro che ’l duolo.

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     O Torquato o Torquato, a noi promesso
Eri tu allora, il pianto
A te, null’altro prometteva il cielo.
O misero Torquato, il dolce canto
125Non valse a consolarti, o a sciorre il gelo
Onde l’alma t’avean ch’era sì calda
Cinta l’odio e l’immondo
Livor privato e de’ tiranni. Amore,
Amor di nostra vita ultimo inganno
130T’abbandonava. Ombra reale e salda
Ti parve il nulla, e ’l mondo
Tutto un deserto. Onor che giova a un core
Poi che d’inganno uscìo? sorte non danno
L’estrema ora ti fu. Morte domanda
135Chi ’l nostro mal conobbe, e non ghirlanda.

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     Torna torna fra noi, sorgi dal muto
E sconsolato avello
Se vuoi strider d’angoscia, o miserando
Esempio di sciaura. Assai da quello
140Che ti parve sì mesto e sì nefando
È peggiorato il viver nostro. O caro,
Chi ti compiangeria,
Se fuor che di se stesso altri non cura?
Chi stolto non direbbe il tuo mortale
145Affanno anche oggidì, se ’l grande e ’l raro
Or si chiama follia,
Nè livor più ma ben più grave e dura
La noncuranza avviene a i sommi? o quale,
Se più de’ carmi, il computar s’ascolta,
150T’appresterebbe il lauro un’altra volta?

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     Da te fino a quest’ora uom non è sorto,
O sventurato ingegno,
Pari a l’italo nome, altro ch’un solo,
Solo di sua codarda etate indegno
155Allobrogo feroce, a cui dal polo
Maschio valor, non già da questa mia
Stanca ed arida terra,
Scese nel petto; onde privato, inerme
(Memorando ardimento) in su la scena
160Mosse guerra a’ tiranni: almen si dia
Questa misera guerra
A le schiacciate genti, a l’ire inferme
Del mondo. Ei primo e sol dentro a l’arena
Scese, e nullo il seguì, che l’ozio e ’l brutto
165Silenzio or preme a i nostri innanzi a tutto.

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     Disdegnando e fremendo, immacolati
Trasse la vita intera,
E morte lo scampò dal veder peggio.
Vittorio mio, questa per te non era
170Età nè suolo. Altri anni ed altro seggio
È d’uopo a gli alti ingegni. Or di riposo
È vago il mondo, e scorti
Siam da mediocrità; seco è ’l sapiente
E salita è la turba a un sol confine
175Che ’l mondo agguaglia. O scopritor famoso
Segui, risveglia i morti
Poi che dormono i vivi, arma le spente
Lingue de’ prischi eroi, tanto che in fine
Questo secol di fango o vita agogni
180E sorga ad atti illustri, o si vergogni.