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VI. Poemetti guerreschi - La buona guerra

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LA BUONA GUERRA

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Chi ’l seme getterà de la parola
nel solco de gli eventi? Ecco, siam come
3l’infante che ha ne gli occhi e ne la gola

lo stupor de le cose, e non sa il nome:
trepida, e tutto il suo corpo è linguaggio,
6quale arco teso da i piedi a le chiome.

Così stupimmo noi. Soverchia il raggio
la pupilla che a pena si disserra,
9o patria, al folgorìo del tuo coraggio.

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Sacre a l’offesa, che inasprì la terra,
non hanno l’armi per l’amore un grido;
12un grido solo hanno per l’odio: guerra!

Ma non strinse la frode un patto infido,
ma non l’insidia premunì ’l valore,
15ma non l’odio gettò da lido a lido

il franco appello del liberatore,
quando die’ l’armi a l’itala conquista,
18o civiltà, la tua gran forza: amore.

Cieli nuovi, da cui scende la vista
quasi divina de l’eroe che vola
21su l’aquila di guerra al nembo mista;

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terre nuove, reviviscente aiuola
dove il piombo darà fiore di biade
24e d’arti urbane il sangue, la parola

aspettata nel solco che le spade
apersero matura il suo germoglio
27fin che del sole troverà le strade.

La vita è qui. De’ suoi contrasti spoglio
qui vigila d’Italia il cor fraterno:
30vigila de i rivali anche l’orgoglio;

e con la prepotente ira e lo scherno,
che occulto ad ora ad or gonfia e divalla,
33quanto colpì di più geloso e interno

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questo splendido ardir se ’n viene a galla.
Simile al corpo lo spirito sente
36le sue percosse, e il suo bruciore sgalla.

La vita è qui: la sempre rinascente
eroica vita: quella che rinnova
39l’intera gagliardìa di nostra gente.

Quella ch’alto fiammeggia quando trova
la storia i suoi vertici augusti, quella
42per cui d’ogni altra l’anima si prova,

e ogni altra al paragone è quasi ancella.
Come apparivan l’opre inclite e i nomi
45maravigliosi e la leggenda bella,

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udendo le virtù, gli spirti indomi
de’ Curii e de’ Camilli e la devota
48squadra de’ Fabii a morte e i loro encomi!

Come fulgea la marzia età remota
di Regolo e di Scipio e de’ guerrieri
51padri di Roma a l’età imbelle e vuota!

Or di là da la Sirte, che pur ieri
serrava il Mare Nostro, irrupper forse
54con men prodigo sangue i bersaglieri?

Più cauto al fuoco il giovin stuolo corse
de’ marinai? O al tuon de la mitraglia
57d’ignave donne il vano ululo sorse?

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Su, genti, dite voi se male agguaglia
la nuova gesta il grande esempio antico,
60e l’anima rinata oggi men vaglia.

Non di straniero, no, non di nemico,
ma come di chi torna al suol de gli avi
63era la mente, e libere d’intrico

le vie, quando su l’ancore le navi
pazïentavan la resa e il martoro
66de la tempesta. O perituri schiavi,

i pii coloni riedono, che i loro
focolari lasciarono inestinti,
69e sempiterni i segni del lavoro.

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Che a questa meta ancor da Dio sospinti
per la franchigia issano il pavese,
72memori pur del grido: «Guai ai vinti!»

Ah non il fuoco invan de le contese
purga una gente, e la batte a l’incude
75millenaria il martello de le offese,

chè la durezza pe ’l travaglio rude
avrà del ferro, e pe ’l cimento forte
78l’acie vibrante de le lame ignude.

E faville inconsunte da la morte
avrà per le sventure in cui più splende
81la volontà che domina la sorte.

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Voci frementi l’armi e le vicende
e il magnanimo ardore onde a le zone
84libiche or ella in una fiamma tende,

non dite guerra, ma redenzione,
se il sacrifizio è prezzo del riscatto
87dovunque pesa un giogo d’abiezione.

O terre, da cui mai per legge o patto
surse la carità del natìo loco,
90nè il predatore ha mai l’ugna ritratto;

quando i bellanti Arabi fra poco
abbracceremo e chiamerem fratelli,
93vergini terre dopo il sangue e il fuoco;

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e gli altri figli del deserto, e quelli
su cui scende l’età, mora fatale,
96senz’alba che già mai la rinnovelli.

non più a l’aride steppe il marziale
fulminìo, ma risplendere vedranno
99infaticato al sole ampio il novale:

quando sopito il lacrimevol danno
vanirà ne le tenebre onde verso
102la nova luce i popoli se ’n vanno;

e su le sabbie, giovin mondo emerso,
vaste qual mare da l’immoto flutto,
105che fa co’ venti guerra a l’universo,

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vitale a’ solchi ’l risurto acquedutto,
pulsante industrie atletiche il vapore,
108eternerà de la conquista il frutto:

e solo crederà più bionde aurore
qui rosseggiare al suo natìo villaggio
111l’emigrato d’Italia agricoltore;

vergini terre, co ’l vigor selvaggio
commista allora la forza gentile
114darà i suoi fiori per il vostro maggio.

Presente ell’è. Apri, pastor, l’ovile;
torna al campo, bifolco. Ell’è vittrice,
117ma con la baionetta e co ’l fucile

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«che non uccide». Ell’è la protettrice
che sol ricusa al tradimento stanza,
120e l’armi solo a la difesa indice.

O ammirabil ne la tua baldanza,
o ne l’unico tuo voler vincente,
123o sovrumana ne la tua costanza,

latina stirpe, le tribù redente
de la patria per te ne l’indiviso
126amplesso, sotto il ciel benedicente,

saluteranno un dì ’l materno riso.