Canti (Leopardi - Ginzburg)/Il sabato del villaggio
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XXV
IL SABATO DEL VILLAGGIO
La donzelletta vien dalla campagna,
in sul calar del sole,
col suo fascio dell’erba; e reca in mano
un mazzolin di rose e di viole,
5onde, siccome suole,
ornare ella si appresta
dimani, al dí di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
su la scala a filar la vecchierella,
10incontro lá dove si perde il giorno;
e novellando vien del suo buon tempo,
quando ai dí della festa ella si ornava,
ed ancor sana e snella
solea danzar la sera intra di quei
15ch’ebbe compagni dell’etá piú bella.
Giá tutta l’aria imbruna,
torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre
giú da’ colli e da’ tetti,
al biancheggiar della recente luna.
20Or la squilla dá segno
della festa che viene;
ed a quel suon diresti
che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
25su la piazzuola in frotta,
e qua e lá saltando,
fanno un lieto romore:
e intanto riede alla sua parca mensa,
fischiando, il zappatore,
30e seco pensa al dí del suo riposo.
Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
e tutto l’altro tace,
odi il martel picchiare, odi la sega
del legnaiuol, che veglia
35nella chiusa bottega alla lucerna,
e s’affretta, e s’adopra
di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba.
Questo di sette è il piú gradito giorno,
pien di speme e di gioia:
40diman tristezza e noia
recheran l’ore, ed al travaglio usato
ciascuno in suo pensier fará ritorno.
Garzoncello scherzoso,
cotesta etá fiorita
45è come un giorno d’allegrezza pieno,
giorno chiaro, sereno,
che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
stagion lieta è cotesta.
50Altro dirti non vo’; ma la tua festa
ch’anco tardi a venir non ti sia grave.