Canti (Leopardi - Donati)/V. A un vincitore nel pallone

V
A un vincitore nel pallone

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V


A UN VINCITORE NEL PALLONE


     Di gloria il viso e la gioconda voce,
garzon bennato, apprendi,
e quanto al femminile ozio sovrasti
la sudata virtude. Attendi, attendi,
5magnanimo campion (s’alla veloce
piena degli anni il tuo valor contrasti
la spoglia di tuo nome), attendi e il core
movi ad alto desio. Te l’echeggiante
arena e il circo, e te fremendo appella
10ai fatti illustri il popolar favore;
te rigoglioso dell’etá novella,
oggi la patria cara
gli antichi esempi a rinnovar prepara.

     Del barbarico sangue in Maratona
15non colorò la destra
quei che gli atleti ignudi e il campo eleo,
che stupido mirò l’ardua palestra,
né la palma beata e la corona
d’emula brama il punse. E nell’Alfeo
20forse le chiome polverose e i fianchi
delle cavalle vincitrici asterse
tal che le greche insegne e il greco acciaro

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guidò de’ Medi fuggitivi e stanchi
nelle pallide torme; onde sonâro
25di sconsolato grido
l’alto sen dell’Eufrate e il servo lido.

     Vano dirai quel che disserra e scote
della virtú nativa
le riposte faville? e che del fioco
30spirto vital negli egri petti avviva
il caduco fervor? Le meste rote
da poi che Febo instiga, altro che giuoco
son l’opre de’ mortali? ed è men vano
della menzogna il vero? A noi di lieti
35inganni e di felici ombre soccorse
natura stessa: e lá dove l’insano
costume ai forti errori ésca non porse,
negli ozi oscuri e nudi
mutò la gente i gloriosi studi.

     40Tempo forse verrá ch’alle ruine
delle italiche moli
insultino gli armenti, e che l’aratro
sentano i sette colli; e pochi Soli
forse fien vòlti, e le cittá latine
45abiterá la cauta volpe, e l’atro
bosco mormorerá fra le alte mura;
se la funesta delle patrie cose
obblivion dalle perverse menti
non isgombrano i fati, e la matura
50clade non torce dalle abbiette genti
il ciel, fatto cortese
dal rimembrar delle passate imprese.

     Alla patria infelice, o buon garzone,
sopravviver ti doglia.
55Chiaro per lei stato saresti allora

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che del serto fulgea, di ch’ella è spoglia,
nostra colpa e fatal. Passò stagione;
ché nullo di tal madre oggi s’onora:
ma per te stesso al polo ergi la mente.
60Nostra vita a che val? solo a spregiarla:
beata allor che, ne’ perigli avvolta,
se stessa obblia, né delle putri e lente
ore il danno misura e il flutto ascolta!
beata allor che, il piede
65spinto al varco leteo, piú grata riede!