guidò de’ Medi fuggitivi e stanchi
nelle pallide torme; onde sonâro 25di sconsolato grido
l’alto sen dell’Eufrate e il servo lido.
Vano dirai quel che disserra e scote
della virtú nativa
le riposte faville? e che del fioco 30spirto vital negli egri petti avviva
il caduco fervor? Le meste rote
da poi che Febo instiga, altro che giuoco
son l’opre de’ mortali? ed è men vano
della menzogna il vero? A noi di lieti 35inganni e di felici ombre soccorse
natura stessa: e lá dove l’insano
costume ai forti errori ésca non porse,
negli ozi oscuri e nudi
mutò la gente i gloriosi studi.
40Tempo forse verrá ch’alle ruine
delle italiche moli
insultino gli armenti, e che l’aratro
sentano i sette colli; e pochi Soli
forse fien vòlti, e le cittá latine 45abiterá la cauta volpe, e l’atro
bosco mormorerá fra le alte mura;
se la funesta delle patrie cose
obblivion dalle perverse menti
non isgombrano i fati, e la matura 50clade non torce dalle abbiette genti
il ciel, fatto cortese
dal rimembrar delle passate imprese.
Alla patria infelice, o buon garzone,
sopravviver ti doglia. 55Chiaro per lei stato saresti allora