Canti (1835)/Alla primavera

VII. Alla primavera, o delle favole antiche

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VII. Alla primavera, o delle favole antiche
Bruto minore Inno ai Patriarchi

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Perchè i celesti danni
5Ristori il sole, e perchè l’aure inferme
Zefiro avvivi, onde fugata e sparta
Delle nubi la grave ombra s’avvalla;
Credano il petto inerme
Gli augelli al vento, e la diurna luce
10Novo d’amor desio nova speranza
Ne’ penetrati boschi e fra le sciolte
Pruine induca alle commosse belve;
Forse alle stanche e nel dolor sepolte
Umane menti riede
15La bella età, cui la sciagura e l’atra
Face del ver consunse
Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti
Di Febo i raggi al misero non sono
In sempiterno? ed anco,
20Primavera odorata, inspiri e tenti
Questo gelido cor, questo ch’amara
Nel fior degli anni suoi vecchiezza impara?

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     Vivi tu, vivi, o santa
Natura? vivi e il dissueto orecchio
25Della materna voce il suono accoglie?
Già di candide ninfe i rivi albergo,
Placido albergo e specchio
Furo i liquidi fonti. Arcane danze
D’immortal piede i ruinosi gioghi
30Scossero e l’ardue selve (oggi romita
Stanza de’ venti): e il pastorel ch’all’ombre
Meridiane1 incerte e alla fiorita
Margo adducea de’ fiumi
Le sitibonde agnelle, arguto carme
35Sonar d’agresti Pani
Udì lungo le ripe; e tremar l’onda
Vide, e stupì, che non palese al guardo
La faretrata Diva
Scendea ne’ caldi flutti, e dall’immonda
40Polve tergea della sanguigna caccia
Il niveo lato e le verginee braccia.

     Vissero i fiori e l’erbe,
Vissero i boschi un dì. Conscie le molli
Aure, le nubi e la titania lampa
45Fur dell’umana gente, allor che ignuda
Te per le piagge e i colli,
Ciprigna luce, alla deserta notte
Con gli occhi intenti il viator seguendo,

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Te compagna alla via, te de’ mortali
50Pensosa immaginò. Che se gl’impuri
Cittadini consorzi e le fatali
Ire fuggendo e l’onte,
Gl’ispidi tronchi al petto altri nell’ime
Selve remoto accolse,
55Viva fiamma agitar l’esangui vene,
Spirar le foglie, e palpitar segreta
Nel doloroso amplesso
Dafne o la mesta Filli, o di Climene
Pianger credè la sconsolata prole
60Quel che sommerse in Eridano il sole.

     Nè dell’umano affanno,
Rigide balze, i luttuosi accenti
Voi negletti ferìr mentre le vostre
Paurose latebre Eco solinga,
65Non vano error de’ venti,
Ma di ninfa abitò misero spirto,
Cui grave amor, cui duro fato escluse
Delle tenere membra. Ella per grotte,
Per nudi scogli e desolati alberghi,
70Le non ignote ambasce e l’alte e rotte
Nostre querele al curvo
Etra insegnava. E te d’umani eventi
Disse la fama esperto,
Musico augel che tra chiomato bosco

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75Or vieni il rinascente anno cantando,
E lamentar nell’alto
Ozio de’ campi, all’aer moto e fosco,
Antichi danni e scellerato scorno,
E d’ira e di pietà pallido il giorno.

     80Ma non cognato al nostro
Il gener tuo; quelle tue varie note
Dolor non forma, e te di colpa ignudo,
Men caro assai la bruna valle asconde.
Ahi ahi, poscia che vote
85Son le stanze d’Olimpo, e cieco il tuono
Per l’atre nubi e le montagne errando,
Gl’iniqui petti e gl’innocenti a paro
In freddo orror dissolve; e poi ch’estrano
Il suol nativo, e di sua prole ignaro
90Le meste anime educa;
Tu le cure infelici e i fati indegni
Tu de’ mortali ascolta,
Vaga natura, e la favilla antica
Rendi allo spirto mio; se tu pur vivi,
95E se de’ nostri affanni
Cosa veruna in ciel, se nell’aprica
Terra s’alberga o nell’equoreo seno,
Pietosa no, ma spettatrice almeno.

Note

  1. [p. 180 modifica] [p. 181 modifica]ad Georg. 1. 4. v. 401. e dalla Vita di san Paolo primo eremita scritta da san Girolamo c. 6. in vit. Patr. Rosweyd. 1. i. p. 18. Vedi ancora il Meursio Auctar. philolog. c. 6. colle note del Lami opp. Meurs. Florent. vol. 5. col. 733. il Barth Animadv. ad Stat. part. 2. p. 1081. e le cose disputate dai commentatori, e nominatamente dal Calmet, in proposito del demonio meridiano della Scrittura volgata psal. 90. v. 6. Circa all’opinione che le ninfe e le dee sull’ora del mezzogiorno si scendessero a lavare ne’ fiumi e ne’ fonti, vedi Callimaco in. lavacr. Pall. v. 71. seqq. e quanto propriamente a Diana, Ovidio Metam. v. 144. seqq.