Candido/Parte II/Capitolo VII

Parte II - Capitolo VII

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Voltaire - Candido
Traduzione di anonimo (1882)
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CAPITOLO VII.

Disgrazie di Candido. Viaggi e avventure.

Il Perigordino appena arrivato alla corte impiegò tutta la sua disinvoltura per guadagnare il ministro, e per rovinare il suo benefattore. Egli sparse la voce che Candido era un traditore, e che avea sparlato delle sacre basette del re de’ re. Tutt’i cortigiani lo condannarono ad esser abbruciato a fuoco lento, ma il sofì più indulgente, non lo condannò che ad un esilio perpetuo, ed a baciare prima le piante de’ piedi al suo accusatore, secondo l’uso de persiani. Il Perigordino partì per far eseguire questa sentenza; egli trovò il nostro filosofo in buonissima salute e disposto a ridiventar fortunato. — Amico, gli disse l’ambasciator d’Inghilterra, io vengo con mio rincrescimento a farvi sapere che bisogna uscir quanto prima da questo impero, e baciarmi i piedi, con vero pentimento de’ vostri enormi delitti... — Baciarvi i piedi, signor abate! Che diamine dite voi? Io non raccapezzo nulla di questa celia.

Entrarono allora alcuni muti che aveano seguito il Peri[p. 83 modifica]gordino, e lo scalzarono. Fu fatto intendere a Candido che bisognava accomodarsi a quella umiliazione, o aspettarsi d’essere impalato. Candido, in virtù del suo libero arbitrio, baciò i piedi all’abate. Fu rivestito d’uno straccio di tela, e il boja lo scacciò dalla città gridando: — Egli è traditore: ha sparlato delle basette del sofì: ha sparlato delle basette imperiali.

Che facea l’officioso cenobita mentre si trattava così il suo protetto? Non lo so. È ben da credere ch’ei si fosse stancato di protegger Candido. Chi può contare sul favore dei re, e sopratutto dei frati?

Intanto il nostro eroe camminava pieno di tristezza. — Io, diceva egli, non ho parlato giammai delle basette del re di Persia. Io cado in un momento dal colmo della felicità, in un abisso di disgrazie, perchè un miserabile che ha violato tutte le leggi, m’accusa d’un preteso delitto, che io non ho mai commesso, e questo birbante, questo mostro persecutore della virtù... è felice.

Candido dopo qualche giorno di cammino si trovò sulle frontiere della Turchia. Ei diresse i suoi passi verso la Propontide, col disegno di stabilirvisi, e di passare il resto de’ suoi giorni a coltivare il suo giardino. Vide, passando di un piccolo villaggio, una quantità di gente affollata tumultuariamente. Egli s’informo della causa e dell’effetto. — Questo è un accidente ben particolare, gli disse il vecchio. È qualche tempo che il ricco Mehemet chiese in isposa la figlia del giannizzero Tamud; essa non era fanciulla, e secondo un principio ben naturale lo sposo, autorizzato dalle leggi, la rimandò a suo padre dopo d’averla sfregiata. Tamud, oltraggiato da un tale affronto, ne’ primi trasporti d’un furore ben naturale, con un colpo di scimitarra svelse dal busto della figlia quel volto disfigurato. Il suo figlio primogenito, saltò addosso al padre, e inviperito di rabbia gl’immerse naturalmente un acutissimo pugnale nel petto; dipoi come un leone che s’infuria a vedersi grondar di sangue, l’arrabbiato Tamud corse da Mehemet, rovesciò alcuni schiavi che s’opposero a’ suoi passi, e trucidò a pezzi Mehemet, le sue donne e due figli, il che è ben naturale nella situazione violenta in cui egli finalmente si trovava. Egli poi finì per darsi la morte collo stesso pugnale fumante del sangue di suo padre, e de’ suoi nemici, il che pure è ben naturale. — Oh quali orrori! grida Candido. Che direste voi, maestro Pangloss, se trovaste tali barbarie nella natura? Non confessereste voi che la natura è corrotta, che tutto non è... — No, disse il vecchio, perchè l’armonia prestabilita... — Oh cielo! non m’ingannate? È Pangloss quel ch’io rivedo? dice Candido. — Son io, rispose il vecchio: vi ho riconosciuto, ma ho voluto penetrare nei [p. 84 modifica]vostri sentimenti prima di scoprirmi; qua: discorriamo un poco sugli effetti contingenti, e vediamo se avete fatto de’ progressi nell’arte della sapienza... — Ah, dice Candido voi scegliete ben male il vostro tempo; fatemi piuttosto sapere quel ch’è avvenuto di Cunegonda e dov’è la figlia di papa Urbano. — Non ne so niente, risponde Pangloss; son due anni che ho abbandonato la nostra abitazione, per venirvi a cercare. Ho scorso quasi tutta la Turchia: mi son portato alla corte di Persia, ove avevo saputo che stavate in barba di micio, e non ho abitato in questo borghetto fra questa buona gente, senonchè per riposarmi, affine di continuare il mio viaggio. — Che vedo mai? dice Candido molto stupito, vi manca un braccio, caro dottore. — Non è niente, disse il dottor guercio e monco; nulla di sì ordinario nel miglior de mondi, che il veder delle genti le quali non hanno che un occhio e un braccio solo. Quest’accidente mi è accaduto in un viaggio alla Mecca. La nostra carovana fu attaccata da una truppa d’Arabi; la scorta volle far resistenza, e secondo i diritti della guerra gli Arabi che si trovarono più forti; ci trucidarono tutti spietatamente. Perirono circa cinquecento persone in questa mischia, fra le quali vi era una dozzina di donne incinte; per me, io non ebbi che il cranio offeso e un braccio tagliato; non ne morii, ed ho sempre trovato che tutto andava ottimamente. Ma voi, mio caro Candido, come va che avete una gamba di legno?

Allora Candido cominciò a parlare, e raccontò le sue avventure. I nostri filosofi ritornarono insieme nella Propontide, e fecero piacevolmente il loro cammino, discorrendo del mal fisico, del mal morale, della libertà e della predestinazione, delle monadi e dell’armonia prestabilita.