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CAPITOLO II.
Come Candido uscì dalla casa del Persiano.
Candido, ben pasciuto, ben vestito, e non annojato, divenne ben presto così colorito, così fresco, così bello come lo era in Wesfalia. Ismael Raab suo ospite vide quel cambiamento con piacere. Questi era un uomo alto sei piedi, ornato di due occhietti estremamente rossi, e di un grosso naso tutto bernoccoluto che mostrava assai chiaro ch’ei non stava troppo attaccato alla legge di Maometto; le sue basette erano rinomate nella provincia, e le madri non desideravano altro a’ loro figli che le basette di Raab. Raab aveva alcune mogli perchè era ricco, ma pensava come si pensa moltissimo in Oriente, e in alcuni collegi d’Europa. — Vostra eccellenza è più bella delle stelle, disse un giorno il persiano a Candido, solleticandogli leggermente il mento; voi avete dovuto cattivarvi ben de’ cuori, siete propriamente fatto per render felice e per esserlo. — Ah! rispose il nostro eroe, io non fui felice che per metà, dietro un paravento, ove stavo non troppo ad agio. Cunegonda era bella allora...
In quel tempo uno de’ più saldi sostegni della milizia monacale di Persia, il più dotto dei dottori maomettani, che sapeva l’arabo sulla punta delle dita, ed anche il greco che si parla oggigiorno nella patria di Demostene e di Sofocle, il reverendo Ed-Ivan-Baal-Denk tornava da Costantinopoli ov’egli era andato a conversare col reverendo Mamud Abram sopra un punto di dottrina ben delicato, cioè se il profeta avesse strappata dall’ale dell’angelo Gabriele la penna di cui si servì per scrivere l’Alcorano, o se Gabriele glien’avesse fatto un presente. Essi disputarono per tre giorni e tre notti con un calore degno de’ più be’ secoli della controversia; e il dottore se ne tornava persuaso, come tutt’i discepoli d’Alì, che Maometto avesse strappata la penna, e Mamud Abram era restato convinto come il resto de’ settatori di Omar, che il profeta fosse incapace di quella inciviltà, e che l’angelo gli avesse presentata la sua penna col miglior garbo del mondo.
L’arrivo di Candido avea fatto molto strepito in Tauride, e più persone che l’aveano sentito discorrere degli effetti contingenti e non contingenti, avevano sospettato ch’ei fosse filosofo. Se ne parlò al reverendo Ed-Ivan-Baal-Denk, ed egli ebbe la curiosità di vederlo, e Raab che non potea ricusar nulla a una persona di quella considerazione, fece venir Candido in sua presenza. Parve soddisfattissimo della maniera con cui Candido parlò del mal fisico e del mal morale, dell’agente e del paziente. — Io comprendo che voi siete un filosofo, e tanto basta. Basta così, Candido, disse il venerabile cenobita: non conviene ad un grand’uomo come voi l’essere trattato sì indegnamente nel mondo, come ho udito. Voi siete forastiero: Ismael-Raab non ha niun diritto sopra di voi: voglio condurvi alla corte, e vi riceverete un favorevole accoglimento. Il sofì ama le scienze. Ismael, ponete nelle mie mani questo giovine filosofo, o temete d’incorrere la disgrazia del principe, e di attirar su di voi le vendette del cielo, e soprattutto de’ frati.
Quest’ultime parole spaventarono l’intrepido persiano; egli acconsentì a tutto, e Candido uscì lo stesso giorno di Tauride col dottor maomettano. Presero la volta d’Ispahan, ove arrivarono carichi di benedizioni e di benefici de’ popoli.