Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Parte II | Parte II - Capitolo II | ► |
CAPITOLO I.
Come Candido si separa dalla sua società e ciò che accade.
Di tutto ci stanchiamo nella vita; le ricchezze affaticano quei che le possiede; l’ambizione soddisfatta non lascia che rimorsi; le dolcezze dell’amore, a lung’andare, non son più dolcezze; e Candido, nato a provare tutte le vicende della fortuna, s’annoia ben presto di coltivare il suo giardino. — Maestro Pangloss, diceva egli, se noi siamo nati nel migliore de’ mondi possibili, mi confesserete almeno che non è un godere della porzione di felicità possibile, il vivere ignoto in un piccolo angolo della Propontide, senza altri conforti che quelli delle mie braccia, che potrebbero un giorno mancarmi; senz’altri piaceri che quelli che mi procura Cunegonda, che è molto brutta, e, quel ch’è peggio, è mia moglie; senz’altra compagnia che la vostra, che qualche volta m’annoja, o quella di Martino che m’attrista, o quella della vecchia che fa racconti da far dormire in piedi.
Allora Pangloss prese a parlare e disse: — La filosofia c’insegna che le monadi divisibili in infinito, si dispongono con una intelligenza meravigliosa per comporre i differenti corpi che osserviamo nella natura. I corpi celesti son quello che devono essere: essi descrivono i cerchi che devono descrivere; l’uomo inclina a quel che doveva inclinare: egli è quel che doveva essere, e fa quel ch’ei doveva fare. Voi vi lamentate, o Candido, perchè la monade dell’anima vostra s’annoja; ma la noja è una modificazione dell’anima, e non impedisce che tutto non sia per il meglio, tanto per voi che per gli altri. Quando mi avete veduto tutto coperto di piaghe, io non sosteneva meno il mio sentimento; perchè se ciò non fosse stato, io non v’avrei incontrato in Olanda, non avrei dato cagione all’anabattista Giacomo di fare un’opera meritoria, non sarei stato impiccato a Lisbona, per edificazione del prossimo, non sarei qui a sostenervi co’ miei consigli e farvi vivere e morire nell’opinione Leibnitziana. Sì, mio caro Candido; tutto è concatenato, tutto è necessario nel migliore de’ mondi possibili; bisogna che il cittadino di Montalbano istruisca i re: che il vermiciattolo di Quimper-Corentin, critichi, critichi, critichi: che il referendario de’ filosofi si faccia crocifiggere nella strada San Dionigi: che il torzone degli zoccolanti, e l’arcidiacono di San Malò distillino il fiele e la calunnia ne’ lor giornali cristiani, che si portino le accuse di filosofia al tribunal di Melpomene: e che i filosofi continuino a illuminar l’umanità, malgrado gli strepiti di quelle bestie ridicole, che gracchiano nel pantano della letteratura; e quando doveste esser scacciato di nuovo nel più bel de’ castelli a pedate, imparare l’esercizio de’ Bulgari, passar per le bacchette, nuotare dinanzi a Lisbona, essere crudelissimamente frustato per ordine della santissima Inquisizione, incontrare i medesimi pericoli fra los Padres, fra gli Orecchioni e fra i Francesi; quando doveste finalmente provare tutte le calamità possibili, e non intendere giammai Leibnitz meglio di quel che l’intendo io stesso, voi sosterrete sempre, che tutto è bene, che tutto è per lo meglio; che il pieno, la materia sottile, l’armonia prestabilita e le monadi sono le più belle cose del mondo, e che Leibnitz è un grand’uomo, fin per quelli che non lo comprendono.
A quel bel discorso, Candido, l’essere il più dolce della natura, benchè avesse ammazzato tre uomini, due de’ quali erano preti, non fece parola, ma annojato del dottore e della società, il giorno appresso con una canna in mano, se ne fuggì, senza saper dove, cercando in luogo ov’ei non s’annojasse, e dove gli uomini non fossero uomini, come nel buon paese d’Eldorado.
Candido meno sfortunato, inquantochè non amava più Cunegonda, campando della liberalità di differenti popoli che non son Cristiani, ma che fan l’elemosina, arrivò dopo un lunghissimo e penosissimo cammino a Tauride sulle frontiere della Persia, città celebre per le crudeltà che i Turchi e i Persiani vi hanno esercitato ognuno a sua volta.
Rifinito dagli stenti e non avendo altro indosso che quanto gli abbisognava per nascondere le sue membra, Candido non piegava troppo verso l’opinione di Pangloss, quando un persiano gli si fece innanzi con un’aria delle più civili, e lo pregò di nobilitare la sua casa con la di lui presenza. — Voi mi burlate, gli disse Candido: io sono un povero diavolo che abbandono una miserabile abitazione che avevo nella Propontide, perchè ho sposato Cunegonda, la quale è diventata molto brutta, e che m’annojavo; in coscienza non son punto fatto per nobilitare la casa di alcuno: non son nobile per me medesimo, grazie a Dio; e s’io avessi l’onore di esserlo, il barone di Thunder-ten-tronckh m’avrebbe pagate ben care le pedate, con le quali ei mi gratificò; ovvero ne sarei morto di vergogna, ciò che sarebbe stato più filosofico; d’altra parte, sono stato frustato ignominiosamente dai carnefici della santissima Inquisizione, e da duemila eroi da tre soldi e sei danari al giorno. Datemi ciò che vi piace, ma non insultate la mia miseria con degli scherni che vi toglierebbero tutto il pregio de’ vostri benefizj. — Signore, replicò il persiano, voi potete essere un accattone, e questo apparisce ben chiaro, ma la religione m’obbliga all’ospitalità; è bene che voi siate uomo e disgraziato, perchè la mia pupilla sia il sentiero de’ vostri passi, e vi dico: degnatevi di nobilitare la sua casa con la vostra presenza.
– Io farò quel che vorrete, rispose Candido. — Entrate dunque, disse il persiano.
Entrarono, e Candido non lasciava d’ammirare le rispettose attenzioni che il suo ospite aveva per lui. Le schiave prevenivano i di lui desiderj, e tutta la casa non parea occupata che a stabilire la sua soddisfazione. — Se questo dura, diceva Candido fra sé stesso, le cose non van tanto male in questo paese. — Eran passati tre giorni durante i quali le buone grazie del persiano non si eran punto smentite, e Candido già gridava: — Maestro Pangloss, io ho sempre dubitato che aveste ragione: voi siete un gran filosofo.