Caccia e Rime (Boccaccio)/Rime/CXXIV

CXXIV. Già stanco m’ànno et quasi rintuzato

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CXXIV.

AL MEDESIMO.


Già stanco m’ànno et quasi rintuzato
     Le rime tua accese in mia vergogna;
     Et, quantunque a grattar della mia rogna1
     Io abbia assai2, nel mio misero stato,
     Pur ò tal volta, da quelle sforzato,5
     Risposto a quel che la tua penna agogna,

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     La qual non fu temperat’ a Bologna3,
     Se ben ripensi il tuo aspro dettato.
Detto ò assai che io cruccioso sono
     Di ciò che stoltamente è stato facto4,10
     Ma frastornarsi5 non si puote omai.
     Però ti posa et a me dà perdono,
     Ch’io ti prometto ben che ’n tal misfacto
     Più non mi spingerà alcun già mai.


Note

  1. Fu questa una delle varie manifestazioni della malattia, probabilmente diabete, da cui era stato colpito il Boccacci non prima dell’aprile 1373. Di essa così lo scrittore in una lettera del 28 agosto di quest’anno a Mainardo Cavalcanti: ‘Dall’ultima volta che io ti vidi, o da me sempre onorando, la mia vita ognora fu similissima alla morte...; imperocchè prima di tutto ebbi ed ò tale un continuo ed igneo prurito, ed una scabbia secca, a togliere le aride squamme della quale e la scoria appena basta l’unghia assidua il giorno e la notte: inoltre una pesante pigrizia del ventre, un perpetuo dolor di reni, gonfiezza di milza, incendio di bile, tosse soffocante, raucedine, il capo intronato, ed altri molti malanni’ (trad. di F. Corazzini).
  2. «Abbastanza.»
  3. Vuol dire che all’aspro dettato (v. 8) dell’anonimo censore mancavano quelle raffinatezze esteriori, quei pregi retorici che s’insegnavano nelle scuole di Bologna.
  4. Accettando l’incarico della Lettura dantesca e spiegando al volgo le arcane bellezze del poema.
  5. «Render vano, impedire.»