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158 | Giovanni Boccacci |
La qual non fu temperat’ a Bologna1,
Se ben ripensi il tuo aspro dettato.
Detto ò assai che io cruccioso sono
Di ciò che stoltamente è stato facto2,10
Ma frastornarsi3 non si puote omai.
Però ti posa et a me dà perdono,
Ch’io ti prometto ben che ’n tal misfacto
Più non mi spingerà alcun già mai.
CXXV.
Io ò messo in galea senza biscotto4
L’ingrato vulgo, et senza alcun piloto
Lasciato l’ò in mar a lui non noto5,
Benché sen creda esser maestro et dotto:
Onde el di su spero veder di sotto5
Del debol legno et di sanità voto6;
- ↑ Vuol dire che all’aspro dettato (v. 8) dell’anonimo censore mancavano quelle raffinatezze esteriori, quei pregi retorici che s’insegnavano nelle scuole di Bologna.
- ↑ Accettando l’incarico della Lettura dantesca e spiegando al volgo le arcane bellezze del poema.
- ↑ «Render vano, impedire.»
- ↑ Mettere in galea senza biscotto è un motto proverbiale che significa ‘impegnare uno ad un’impresa senza i debiti provvedimenti e i modi da condurla a fine’ (Fanfani). Dice Bruno a Calandrino: ‘Tu ci menasti una volta giù per lo Mugnone ricogliendo pietre nere, e quando tu ci avesti messo in galea senza biscotto, e tu te ne venisti’ (Decam., VIII, 6).
- ↑ ‘Sembra ricordare l’ammonimento di Dante in Par., II, 1 sgg., a coloro che lo seguivano in piccioletta barca. E mantiene questa immagine della nave per un pezzo’ (Zingarelli).
- ↑ «Spero di veder capovolto e privo di salvezza il debol legno.»