Biografie dei consiglieri comunali di Roma/Giuseppe Cencelli
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CENCELLI AVV. CAV. GIUSEPPE
Presidente del Consiglio Provinciale di Roma
Nell’anniversario della redenzione di Roma, in quel giorno, in cui la storia d’Italia consegnò ai secoli l’avvenimento più glorioso, che stette nei lunghi sospiri d’un popolo, ricorre l’anniversario della nascita di Giuseppe Cencelli. Nel 20 Settembre 1823 in Fabrica, circondario di Viterbo, nasceva egli da nobile e distinta famiglia. — Suo padre Carlo Cencelli de’ Conti Perti fu trizio Viterbese, uomo di eletti sensi, di integro carattere, di ogni più chiara virtù ornato. — Giuseppe Cencelli crebbe unico figlio ai genitori diletto. — Giovanissimo degli anni dimostrò svegliata la mente, robusto l’ingegno, e dei buoni studi amantissimo. — Allo scienze legali quindi s’applicò, e volgendo l’anno 1843, nella Romana Università, in quelle laureavasi. — Sceso nella palestra del Foro, emerse per la forte intelligenza, per il profondo sapere, per il criterio giuridico, o raccolse onori, e andò lodato e applaudito dai più sapienti.
La sua giovano anima era presa di fervente amore per la patria, chè aveva appreso anche dalle storie quanto Italia fosse bella ed infelice. — L’aurora politica del 1848 parca impromettitrice di sospirata fortuna, perocchè era il papa Pio IX che bandiva guerra allo straniero, despota signore delle terre italiane, e benediceva alle giovani vite, che correvano a sacrificarsi per l’unità, e indipendenza del proprio paese. — E noi vedemmo di subito il Cencelli correre tra i volontari con il grado di sotto-tenente di Cavalleria civica, comandante il gruppo do’ Cavalieri civici destinati alla scorta dei due cannoni, regalati dalla patriottica Torino, ai quali erasi dato il nome di S. Pietro, e Pio IX, e spiegando tutto il valore di un petto italiano preso parto a tutti i fatti d’arme nella campagna del Veneto, e là gettavasi dove più ferveva la mischia, e con giovanile impeto e con baldanza di prode al pericolo della prò-, pria vita non badava. — Ed eccolo, nonostantechè Pio IX scagliasse un’enciclica rinnegatrice dei più santi principi, con la quale revocava ogni mandato di guerra per la liberazione della patria, eccolo — il Cencelli — traversare i confini al di là del Po, e con la virtù de’ forti, con il cuore strenuamente gagliardo, contro lo straniero cambattendo, cadere leggermente ferito a Treviso, e poscia di grave ferita in Vicenza mentre, siccome ajutante di campo del generale Massimo d’Azeglio, al di lui fianco procedeva in mezzo al fuoco nemico.
I fati d’Italia non erano anco maturi, e le vittime immolate sui campi di battaglia erano olocausto di più tarda vendetta. —
Pio IX, spergiurando, abbandonava Roma, e stretto al seno del Borbone refugiavasi a Gaeta. — Il popolo italiano fremeva, e l’opera della grande redenzione volea si compiesse nella eterna città dei grandi destini. — Il Cencelli tornava a Roma, e sotto il vessillo della Romana Repubblica proseguia la carriera dei valorosi. — Entrato nei corpi regolari di cavalleria è subitamente nominato Tenente nel secondo Reggimento Dragoni, e quindi 1.° Tenente nel primo Reggimento. A lui si affidano importanti commissioni, ed è spedito al confine napoletano. Il suo patriottismo, l’abilità anche nelle cose di guerra, la stima, che erasi meritata, inducono il Governo della Repubblica a promuoverlo capitano. Comandò due squadroni di cavalleria assumendo le veci di grosso Maggiore a Frosinone, e intervenendo in tutte le fazioni militari del 1849, sino a che tutte le forze italiane ebbero a concentrarsi in Roma, minacciata d’assedio dalle armi di Francia. — L’eroismo degl’italiani in quel supremo momento, la difesa opposta all’offesa nemica, le ultime disperate lotte contro una forza di gran lunga maggiore, tutto, ad immortalità del valore italiano, è scolpito nei volumi della storia. — Giuseppe Cencelli cinse le armi, e fu tra i più valorosi combattenti, fino a che la sventura della patria volle che su questa terra diletta ricadesse la notte del duro servaggio. Tostochè i soldati di Francia occuparono Roma, egli dimandò il congedo al Generale Audinot, il quale dapprima ricusatolo, di poi l’accordò, e si ritrasse nel suo luogo natio, ove si diè alle cure del suo patrimonio, esercitandosi per tal modo nelle economiche ed amministrative discipline, ed amando anche impossessarsi di agricole cognizioni non si ristette dalla coltura dei campi, provando così come l’uomo in tutte cose debba raccogliere il frutto del sapere, per essere utile cittadino.
Era l’anno 1859 quando l’ora suonò della nuova e suprema riscossa, e Italia surse a battaglia, e la via dei trionfi le si dischiuse dinanzi. — Giuseppe Cencelli trasse affannoso il sospiro, perocchè, costretto da malattia, non gli era possibile questa volta andare a combattere le battaglie della patria. — Pure si confortò alle fauste notizie delle liberate città italiane. — Intanto, ristabilitosi nella salute, volle la cittadinanza che dell’amministrazione del suo Comune si occupasse, epperò fu subito eletto capo della medesima, e nell’istesso tempo nominato Consigliere Provinciale. ’— Ed egli a tali uffici attese con ispeciale interessamento, con instancabile operosità, con tutte le forze della sua intelligenza, del suo ingegno, e s’acquistò semprepiù bella reputazione e benevolenza.
Arrivò il 20 settembre 1S70, e Roma splendeva sul fronte d’Italia come capitale della nazione. Il Cencelli dalla cittadinanza viterbese era tosto incaricato, insieme ad altri cittadini, di straordinaria missione presso il Governo italiano, a fine di trattare cosa d’interesse locale. — Poscia ad attestazione di altissima stima, e del grandissimo pregio in che è riguardato, era, nelle generali elezioni politiche dell’istesso anno, dal Collegio di Viterbo eletto Deputato al Parlamento nazionale, e riconfermato Consigliere nella nuova Provincia Romana. E agli ardui uffici soddisfece con rara abilità, con il carattere di cittadino saggio, onesto, liberale, e la sua parola tuonò nel Parlamento sempre per la difesa della giustizia, per sostenere i diritti della sua provincia, per stimatizzare le gravi imposizioni, per appoggiare la causa del popolo, e curare la felicità e il benessere della patria. — E in tutte le successive legislature fu mantenuto dal Collegio di Viterbo al seggio dei rappresentanti della Nazione in Parlamento, e noi vorremmo che tutti adempiessero come il Cencelli al mandato affidato loro dagli elettori, e nelle prossime generali elezioni vedremo certo l’altissimo ufficio al Cencelli confermato, chè il buon senso, e il patriottico amore, che la cittadinanza viterbese tanto distingue, ne affida. — E per fermo, d’uomini, quali il Cencelli, abbisognano, perchè la Nazione respiri dal grave affanno che la opprime, in veggendo l’amministrazione governativa precipitare giù per una china fatale, e il popolo gemere nelle gravi distrette. Noi portiamo fede che l’aurora di un più prospero avvenire alla patria sia per sorridere. Quando la maggioranza dei rappresentanti la Naziono sarà composta di uomini come il Cencelli, non potrà essere manchevole quell’assetto,- che richiede il patrimonio dello stato, quell’amministrazione, da cui derivar deve la pubblica e privata fortuna, quello sviluppo generale d’industria e di commerci, che varrà a fare sempre più ricca, più forte, ’più grande, più felice la nazione.
Volgeva l’anno 1873 quando per le belle doti, che tanto adornano la mente e l’animo del Cencelli, era eletto Presidente del Consiglio Provinciale di Roma, alla quale carica veniva nell’agosto del corrente anno 1874 riconfermato, perocchè sopra ogni altro ne fu creduto degno. — E di vero con tutta premura, con tutto interessamento, con tutta lena concorre a quella amministrazione provinciale, che procede con ordine, e con prosperità, e rivela la sapienza, l’onestà, e l’attitudine di quegli uomini, che compongono il Provinciale Consiglio. — Meritò decorazioni distinte.
Aggiungeremo come dal Comune di Fabrica sia sempre nel grado di Assessore Municipale confermato, chè gli è caro e grandemente utile un uomo per tutte virtù distinto e avuto in onoranza. —
Potremmo anche dire come egli abbia bello e gentile il cuore, e di una rara cortesia e delle maniere veramente da gentiluomo risplenda, ma la delineata sua figura è bastevole già a rivelarlo cittadino degno di pubblica e privata benemerenza, cittadino dotto, onesto, liberale, meritevole di sedere nel seggio del Deputato al Parlamento nazionale, essendo abilissimo nel trattare e nel sostenere gl’interessi dello stato, e della provincia, nel curare il bene del popolo, la fortuna del proprio paese. — Noi quindi conchiudendo questo biografico ricordo stimiamo nostro debito consegnarlo alla perpetuità del nome, e all’onore di un cittadino, che seppe e saprà ognora più benemeritare della propria città, della provincia, della patria. —
Roma. — Ottobre 1874.