Berecche e la guerra/IV. La guerra in famiglia
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IV
LA GUERRA IN FAMIGLIA
Strilli, pianti, nella saletta da pranzo. Berecche accorre; vi trova il fidanzato della figliuola maggiore, il dottor Gino Viesi della Valle di Non nel Trentino, pallido, con gli occhi pieni di lagrime e una lettera in mano.
— Notizie?
— I fratelli! — grida Carlotta, fremente, guatandolo con occhi rossi di pianto, ma feroci.
Gino Viesi gli mostra senza guardarlo la lettera che gli trema in mano.
Due dei tre fratelli, Filippo di 35 anni, padre di quattro bambini, Erminio di 26, sposo da pochi giorni, richiamati dall’Austria sotto le armi e mandati in Galizia... Ebbene? — Nessuno risponde.
— Tutte e due? Morti? —
Il giovane, riassalito da un impeto di pianto, prima di nascondere il volto, fa cenno — uno — con un dito.
— Uno è certo, — dice a Berecche piano, con astio, anzi con rancore, la moglie, mentre Carlotta si alza per sorreggere il fidanzato e piangere con lui.
— Erminio? —
La moglie, dura, tozza, scapigliata, scuote il capo: no.
— L’altro? il padre di quattro figliuoli? —
Gino Viesi scoppia in piú forti singhiozzi su la spalla di Carlotta.
— Ed Erminio? —
La moglie soggiunge, urtata:
— Non si sa: scomparso! —
Margherita, la cechina, occhi per vedere come piangano gli altri, con quali aspetti (un aspetto, quello di Gino, fidanzato della sorella, che chiama anche lei Gino, non sa neppur come sia), occhi per vedere, no, ma per piangere, sí, li ha ancora; e piange in silenzio, lagrime che ella non vede, che nessuno vede, là nel suo cantuccio, appartata.
— E nemmeno uno grida per noi! — prorompe alla fine Gino Viesi, levando il capo dalla spalla di Carlotta e facendosi innanzi a Berecche. — Nemmeno uno grida per noi! Nessuno fa niente! Li hanno mandati tutti al macello, i trentini e i triestini! E qua tutti voialtri sapete che il sentimento nostro è il vostro stesso; e che là vi si aspetta, lo sapete! Ma nessuno ora prova in sé lo strazio di vedere strappati a questo stesso vostro sentimento i fratelli nostri, e mandati là al macello! Nessuno, nessuno... E quei pochi che siamo qua di Trento e di Trieste, siamo come spatriati in patria; e per miracolo lei, lealista, non mi grida che il mio posto sarebbe là, a combattere e a morire per l’Austria con gli altri miei fratelli!
— Io? — esclama Berecche, trasecolato.
— Lei, tutti! — incalza il giovine nella furia del dolore. — Ho veduto, ho sentito; non ve ne importa nulla; dite che non val la pena che l’Italia si muova per aver Trento, che forse l’Austria le darà un giorno pacificamente, per aver Trieste che non vuole essere italiana... Non dite cosí? Lo dite e lo sentite! E perciò ci avete fatto calpestare, sempre; e non siete stati mai buoni d’ottenerci nulla! —
Gino Viesi è giovine e addolorato; cosí, col bel volto in fiamme e il bel ciuffo biondo scomposto, non può intendere che nulla irrita tanto quanto il porre innanzi, in certi momenti, e il far gridare un sentimento che è il nostro stesso in segreto, ma che noi vogliamo tener nascosto dentro, soffocato ancora da certe ragioni che ci si sono già scoperte false; queste ragioni allora s’infiammano del sentimento che, pur essendo nostro, ci vediamo opposto come nemico, e ci vediamo tratti a difendere ciò che in fondo stimiamo falso e ingiusto.
Questo avviene ora a Berecche. Irritato, grida al giovine:
— Ma che vorresti? che l’Italia impedisse all’Austria in guerra di mandare contro la Russia e contro la Serbia i trentini e i triestini? Finché state sotto di lei, è nel suo diritto!
— Ah, sí! dice diritto, lei? — grida a sua volta Gino Viesi. — E dunque, se questo è il diritto dell’Austria legittimo, io, secondo lei, che faccio? manco ai miei doveri, io, standomene qua? Dobbiamo andar tutti a morire per l’Austria, è vero? Lo dica! lo dica! Diritto... ma sí, quello del padrone che manda a scudisciate gli schiavi dove gli pare e piace! Ma chi ha mai riconosciuto all’Austria il diritto di tenere sotto di sé Trento, Trieste, l’Istria, la Dalmazia? Se lei stessa, l’Austria, sa di non averlo questo diritto! Sí, tanto è vero che fa di tutto per sopprimerci, per cancellare ogni vestigio d’italianità da quelle terre nostre! L’Austria, sí, lo sa; e voi no, voi che la lasciate fare! E ora di fronte a una guerra che subito, dal primo principio s’è presentata come volta ai danni nostri, contro gl’interessi nostri, era la neutralità, è vero? il partito da prendere, e non le armi per la liberazione nostra e la difesa di quegli interessi, là appunto dove prima l’Austria ha cominciato a minacciarli?
— Ma la neutralità... — si prova a opporre Berecche.
Gino Viesi non gli lascia il tempo di proseguire:
— Sí, benissimo, per voi! — soggiunge. — Perché nessuno poteva venire qua a costringervi a marciare e a combattere contro il sentimento vostro e i vostri interessi! Ma avete pensato a noi di là, che dovremmo essere appunto questo sentimento vostro, che siamo appunto ciò che chiamate «i vostri interessi»? Noi di là ci avete lasciati prendere, con la vostra neutralità, e trascinare al macello; e dite ancora ch’era il diritto dell’Austria, questo; e nessuno grida per il sangue dei miei fratelli uccisi! Gridano tutti, invece: Viva il Belgio! qua, Viva la Francia! Or ora, venendo, le ho incontrate le colonne dei dimostranti per le vie di Roma. Un delirio!
— E Faustino? — domanda a un tratto Berecche rivolto alla moglie.
— Là, pure lui, coi dimostranti! — risponde subito Gino Viesi. — Viva il Belgio, viva la Francia! —
Berecche, furibondo, appunta minacciosamente l’indice contro la moglie:
— E tu me lo lasci scappare di casa? E non me ne dici niente? Ma che sono diventato io qua? Si rispettano cosí, adesso, le mie idee, i miei sentimenti? Lo dico a te e lo dico a tutti! Ah sí? Viva il Belgio, viva la Francia... Ma la vorrò vedere io, domani, la Francia, quando con l’ajuto degli altri avrà vinto! Domani, addosso a noi di nuovo, il galletto, quando avrà rialzato la cresta vittoriosa, con l’ajuto degli altri... Imbecilli! imbecilli! imbecilli! —
E Berecche, dopo questa sfuriata, scappa a rinchiudersi nel suo studio, tutto sconvolto e tremante della violenza che ha dovuto fare a se stesso.
Ah, che cosa... che cosa... ah Dio, che cosa...
Crollato tutto, dentro. Ma può forse permettere che gli altri se n’accorgano? La Germania, fino a jeri, è stata il suo prestigio, la sua autorità in casa; è stata tutto per lui, la Germania, fino a jeri. E ora... ecco qua: ora, ogni mattina, la moglie — anche questo! — appena la serva ritorna dalla spesa giornaliera, lo investe, domanda conto e ragione a lui di tutti i viveri rincarati — di tanto il pane, di tanto la carne, di tanto le uova — come se la avesse voluta lui, mossa lui, la guerra! Col cuore esulcerato, con la rovina dentro, gli tocca anche d’affogare in tutte queste volgarità della moglie, che per miracolo non lo vuole anche responsabile del pericolo a cui Faustino è esposto, d’esser chiamato prima del tempo sotto le armi e mandato a combattere, se l’Italia sarà anch’essa trascinata in guerra! Non rappresenta forse la Germania, lui, in casa; la Germania che ha voluto la guerra?
E sissignori, per il suo prestigio in famiglia, deve seguitare ancora a rappresentarla, se no... Se no, che cosa? Ecco il bel risultato: il figliuolo che gli scappa di casa e va a gridare con gli altri imbecilli per le vie di Roma Viva la Francia; e quell’altro povero giovine di là, a cui hanno ucciso due fratelli, che lo accusa della neutralità dell’Italia e del macello dei trentini e dei triestini sotto Leopoli!
Ah, Germania infame, infame, infame! Non ha previsto neanche questo male, questa tragedia nel cuore di tanti e tanti, che in Italia e anche in altri paesi, con cosí duro sforzo e amari sacrifizii, soffocando tanti sbadigli, ingozzando tanta roba indigesta, erudizione, musica, filosofia, s’erano educati ad amarla e a far professione di questo amore! Germania infame, ecco, cosí adesso ripaga le sue vittime, dell’amore e dell’ammirazione professati a lei per tanti anni!
Berecche, non potendo far altro, la tempesterebbe di colpi di spillo, là, di nascosto, su la carta geografica, con tutte le bandierine francesi, inglesi, belghe, russe, serbe e montenegrine!