Berecche e la guerra/III. La guerra sulla carta

III. La guerra sulla carta

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III

LA GUERRA SULLA CARTA

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B
ERECCHE ricorda. Quarantaquattr’anni fa. Bandierine francesi e bandierine prussiane — quelle sole, allora — infisse come ora con gli spilli su la carta geografica distesa su un tavolino della saletta da pranzo. Teatro della guerra. Che bel giuoco per lui, ragazzo allora di nove anni!

La rivede come in sogno quella saletta gialla da pranzo della casa paterna, coi lumi a petrolio, d’ottone, e i paralumi di mantino verde; tante casse in giro coperte da pancali di drappo a fiorami; un canterano panciuto di qua, una mensola di là, e due cantoniere agli angoli, con cestelli di frutta di marmo colorate e fiori di cera sui palchetti; su quella a sinistra, un orologetto di porcellana che figurava un mulino a vento, suo amore, con una delle ali rotte.

Attorno a quel tavolino che ora, unico decrepito superstite, nascosto da un tappetino nuovo, è in camera del suo figliuolo, rivede suo padre e alcuni amici discutere sulla guerra franco-prussiana. Farsetti sgarbati, abbot[p. 38 modifica]tonati fino al collo e calzoni larghi, a tubo. Baffi insegati e moschetta alla Napoleone III o barba a collana alla Cavour. Curvi su quella carta geografica, segnavano col dito la via degli eserciti, secondo le indicazioni e le previsioni degli scarsi e tardivi giornali d’allora, e parlavano accesi, e nessuno lasciava quieto su questa o quella traccia il dito dell’altro. Un altro dito, e poi un altro, e un altro: ciascuno voleva metterci il suo. E ognuno di quei diti — ricorda — ai suoi occhi infantili assumeva subito una strana personalità: quello, tozzo e duro, si piantava ostinato su un punto; l’altro, nervoso e spavaldo, gli fremeva davanti per passare da quello stesso punto; ed ecco il terzo, un ditino mignolo storto, sopravveniva di straforo, in ajuto di questo o di quello, e s’insinuava tra quei due che si scostavano per dargli passo. E che grida, e che sbuffi, che esclamazioni o stridule risate su tutte quelle dita, tra una nuvola di fumo! Di tanto in tanto, un nome che tonava come una cannonata:

— Mac Mahon! — [p. 39 modifica]

Berecche sorride al lontano ricordo, poi aggrotta le ciglia e resta assorto, con le mani a pugno chiuso sui ginocchi discosti. Considera la carta geografica che gli sta davanti, ora, con tante bandierine di tanti colori. Con tutte queste bandierine variopinte, se potesse venir fuori dal ricordo, lí nello scrittojo, innanzi a lui vecchio, il ragazzetto di nove anni che giocava allora alla guerra, chi sa come si divertirebbe al nuovo giuoco piú grande, piú vario e complicato! Belgio, Francia, Inghilterra, di qua, contro la Germania; contro la Russia di là, nella Prussia orientale, in Polonia; di giú, contro l’Austria, la Serbia e il Montenegro; e contro l’Austria, ancora, la Russia, piú su, in Galizia.

Che matta voglia avrebbe il ragazzetto di nove anni di far passare di corsa, sorvolare sul Belgio quelle bandierine tedesche tra gli inchini ossequiosi delle bandierine belghe; in quattro salti farle arrivare a Parigi; piantarne lí un pajo, vittoriose, e in altri quattro salti farle tornare indietro e avventarle contro la Russia insieme con quelle austriache!

Cosí, cosí — è incredibile — come nel giuoco [p. 40 modifica]avrebbe fatto lui ragazzetto di nove anni, hanno pensato sul serio di poter fare i Tedeschi, ora, dopo quarantaquattro anni di preparazione militare! Sul serio hanno pensato che il Belgio neutrale potesse lasciarsi invadere quietamente e lasciarli passare senza opporre la minima resistenza, a Liegi, a Namur, per dar tempo alla Francia impreparata di raccogliere gli eserciti e all’Inghilterra di sbarcare le sue prime milizie ausiliarie: cosí!

Gli amici della birreria strillano ogni sera come aquile contro l’iniqua invasione e gli atti di selvaggia ferocia; lui Berecche non insorge, sta zitto, pur sentendosi divorare dentro dalla rabbia, perché non può gridar loro in faccia, come vorrebbe:

— Imbecilli! che strillate! È la guerra! —

Non insorge, e ingozza, perché è sbalordito. Sbalordito non di quella invasione, non di quegli atti di ferocia, ma della colossale bestialità tedesca. Sbalordito.

Dall’altezza del suo amore e della sua ammirazione per la Germania, cresciuti smisuratamente con gli anni, questa colossale bestialità è precipitata come una valanga a fracassargli tutto: l’anima, il mondo quale [p. 41 modifica]se l’era a mano a mano, dai nove anni in su, tedescamente costruito, con metodo, con disciplina, in tutto: negli studii, nella vita, nelle abitudini della mente e del corpo.

Ah, che rovina! Il ragazzetto di nove anni era cresciuto, cresciuto; era il suo amore, era la sua ammirazione; diventato un gigante florido e prosperoso, che sapeva tutto meglio degli altri, che faceva tutto meglio degli altri, ecco, dopo quarantaquattro anni di preparazione, si rivelava un bestione: forzuto, sí, dalle mani e dalle zampe bene addestrate e poderose; ma che pensava sul serio di poter giocare alla guerra ancora come un ragazzaccio feroce di nove anni, o come se al mondo ci fosse lui solo e gli altri non contassero per nulla: in quattro salti passare a traverso il Belgio e andare a piantar le bandierine, un pajo, su Parigi, e poi via, di corsa, in altri quattro salti, su Pietroburgo e su Mosca. E l’Inghilterra?

— Incredibile! incredibile! —

Nello sbalordimento Berecche non finisce piú d’esclamare cosí, non trova piú da dir altro:

— Incredibile! — [p. 42 modifica]

E con le mani si gratta la testa e sbuffa, e le bandierine, qualcuna vola, altre si piegano, altre s’abbattono su la carta geografica.


Lí tappato nel suo studio, che nessuno lo vede, Berecche si sente voltare il cuore in petto al ricordo di ciò ch’egli intendeva per metodo tedesco, al tempo dei suoi studii, al ricordo delle sodisfazioni ineffabili ch’esso gli dava quando con gli occhi stanchi della faticosa paziente interpretazione dei testi e dei documenti, ma con la coscienza tranquilla e sicura d’aver tenuto conto di tutto, di non essersi lasciato sfuggire nulla, di non aver trascurato nessuna ricerca utile e necessaria, palpeggiava, la sera, rincasando dalle biblioteche, là sul tavolino da studio, il tesoro dei suoi schedarii voluminosi. E tanto piú si sente sanguinare il cuore, in quanto ora avverte con sordo livore, che per le sodisfazioni che gli dava quel metodo egli, sotto sotto, commetteva la vigliaccheria di non dare ascolto a una certa voce segreta della sua ragione insorgente contro alcune affermazioni tedesche, che offendevano in lui non soltanto la logica ma anche, in fondo in fondo, [p. 43 modifica]il suo sentimento latino: l’affermazione, per esempio, che ai Romani mancasse il dono della poesia; e, accanto a questa affermazione, la dimostrazione che poi fosse leggendaria tutta la prima storia di Roma. Ora, o l’una cosa o l’altra. Se leggendaria, cioè finta, quella storia, come negare il dono della poesia? O poesia o storia. Impossibile negare l’una e l’altra cosa. O storia vera, e grande; o poesia non meno grande e vera. E con questo, gli tornano ora alla mente le parole del vecchio Goethe dopo aver letto i due primi volumi della Storia romana del Niebuhr, fino alla prima guerra punica:

— Finora credevamo alla grandezza di una Lucrezia, d’un Muzio Scevola; perché annientare con piccoli ragionamenti la grandezza di simili figure? Se i Romani furono cosí grandi da credersi capaci di tali cose, non dovremmo noi essere almeno cosí grandi da prestar loro fede? —

Goethe, Schiller, e prima Lessing, e poi Kant, Hegel... Ah, quand’era piccola, quando ancora non era, la Germania, questi giganti! E ora, gigante, ecco qua, s’è buttata, pancia a terra, con le mani afferrate sotto il [p. 44 modifica]petto e un gomito qua, sul Belgio e in Francia, l’altro là su la Russia in Polonia:

— Smovetemi, se siete capaci! —

Quanto resisterà il bestione cosí piantato?

— Oh bestione, sono tanti! sono tanti! E tu contavi di sbrigarti in due zampate! Hai sbagliato! Non hai visto niente; non hai vinto subito; ti sei buttato cosí a terra puntando le gomita di qua e di là; potrai resistere a lungo? oggi o domani ti smoveranno, ti slogheranno, ti faranno a pezzi! —

Berecche balza in piedi congestionato, ansante, come se avesse fatto lo sforzo di smuovere da terra il bestione.