Berecche e la guerra/II. Di sera, per via
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II
DI SERA, PER VIA
In quella traversa appena appena tracciata e ancor senza fanali sorgono soltanto tre villini, a manca, costruiti di recente; a destra è una siepe campestre che cinge terreni ancora da vendere e da cui spira, nell’umidor della sera, un fresco odore di fieno falciato.
Meno male che uno dei tre villini è stato acquistato da un vecchio prelato molto ricco che vi abita con tre nipoti, zitelle appassite, le quali a turno sul far della sera montano su una scaletta a mano per accendere un lampadino innanzi alla Madonnina di porcellana azzurra e bianca, collocata da circa un mese a uno spigolo del villino.
Di notte, quel lampadino pietoso stenebra la traversa solitaria.
Ci si sta come in campagna; e come in campagna aperta si sente nel silenzio il fragorío lontano dei treni notturni. Dietro il cancello dei villini, a ogni rumor di passi, i cani s’avventano con furibondi latrati. Ma almeno Berecche può godersi un po’ d’aperto, davanti, e la quiete.
Dalle quattro finestre a pianterreno può vedere in un’ampia plaga di cielo le stelle, con le quali conversa a lungo le notti nei suoi ozii di tranquillo pensionato. Le stelle e la luna, quando c’è. E, sotto la luna, i pini e i cipressi di Villa Torlonia. Ha un pezzo di giardinetto anche lui, di sua esclusiva pertinenza, con una fontanella, il cui chioccolío nei notturni silenzii gli è caro.
Ma la moglie, ahimè, le due figliuole che gli son rimaste in casa, l’unico figlio maschio, già studente di lettere all’Università, la serva, e ora anche il fidanzato della maggiore delle figliuole, non sentono affatto la poesia della solitudine, del cielo stellato, della luna sopra i cipressi e i pini della villa patrizia, e sbuffano o sbadigliano lamentosamente come cani affamati, al monotono, perpetuo chioccolío di quella deliziosa fontanella. Sembra loro di star lí come relegati, in esilio. Ma Berecche — metodo, metodo, metodo — tien duro, e ha rinnovato l’affitto per tre anni.
Ora l’incubo della distruzione generale, che spegnerà ogni lume di scienza e di civiltà nella vecchia Europa, gli si fa su l’anima piú grave e opprimente quanto piú egli s’affonda nel bujo della via remota e deserta, sotto la quadruplice fila dei grandi alberi immoti.
Come sarà, quale sarà la nuova vita, quando lo spaventoso scompiglio sarà freddato nelle rovine? Con quale anima nuova ne uscirà lui, a cinquantatre anni?
Altri bisogni, altre speranze, altri pensieri, altri sentimenti. Tutto muterà per forza. Ma non questi grandi alberi, intanto, che non hanno per loro fortuna né pensieri né sentimenti! Mutata l’umanità attorno a loro, essi resteranno gli stessi alberi, tali e quali.
Ahi ahi, ha una gran paura Federico Berecche che ormai non gli verrà fatto di mutare, neanche a lui piú, nel fondo del cuore, qualunque cosa sia per accadere nel tempo che ancora gli avanza. S’è abituato a conversar con le stelle, ogni notte; e, al freddo lume di esse, i sentimenti terreni gli si sono come rarefatti, dentro. Non si direbbe, perché la volontà di vivere, esteriormente, in quel certo suo modo metodico, tedesco, s’appalesa ancora in lui tenace. Ma in fondo è stanco e triste, di una tristezza che gli eventi del mondo difficilmente potranno alterare.
Vincano i Francesi, i Russi e gl’Inglesi, ο vincano i Tedeschi e gli Austriaci; sia o no l’Italia trascinata anch’essa alla guerra, venga la miseria e lo squallore della sconfitta o tripudii frenetica la vittoria per tutte le città della penisola; si trasformi la carta geografica dell’Europa; non cangerà mai — questo è certo — il malanimo, il chiuso rancore di sua moglie contro di lui, il rammarico della sua vita tramontata senz’alcun ricordo di vera gioja. E nessuna potenza umana o divina potrà ridar la luce degli occhi alla sua piú piccola figliuola, da sei anni cieca.
Ora, rientrando in casa, la ritroverà seduta in un angolo della saletta da pranzo, con le mani ceree su le gambe, la testina bionda appoggiata al muro, e poiché dal visino spento non si conoscerà se dorma o sia sveglia, le chiederà come ogni sera:
— Dormi, Ghetina? —
E Margheritina senza rimuovere il capo dal muro, gli risponderà:
— No, papà, non dormo... —
Non parla mai, non si lamenta mai, pare che dorma sempre; forse non dorme mai.
Berecche, proseguendo la via, sotto i grandi alberi, si raschia la gola, perché, da uomo forte, educato alla tedesca, non vuol lasciarsela serrare dall’angoscia. Ma tutti vivono nella luce; lui stesso vive nella luce e può darsi pace, mentre c’è questa cosa orribile nella vita: che la sua figliuola vive nel bujo, sempre, e sta lí, in silenzio, con la testina appoggiata al muro, in attesa di morire: un’attesa che durerà chi sa quanto.
Un’altra vita: altri pensieri, altri sentimenti. Già, sí! Carlotta, la figliuola maggiore, ha lasciato da un anno i corsi universitarii perché s’è fidanzata con un bravo ragazzo della Valle di Non nel Trentino, laureato appena da un anno in lettere e filosofia alla Università di Roma; bravo ragazzo, di animo acceso, di nobili sentimenti e pieno di buona volontà; ma ancora senza stato; e ora piú che mai incerto dell’avvenire. Tre dei suoi fratelli, a San Zeno, sono stati richiamati sotto le armi. Il padre è capocomune di San Zeno. Quei tre poveri fratelli non han potuto perciò sottrarsi all’obbligo odioso di combattere per l’Austria e chi sa, se le cose per noi si mettono male, fors’anche contro l’Italia, domani. Che orrore! Lui, intanto, non s’è presentato all’appello, e addio dunque Valle di Non, addio San Zeno, addio vecchi genitori: disertore di guerra, domani, se preso, sarebbe impiccato o fucilato alla schiena. Ma spera che l’Italia... chi sa! Correrebbe volontario, anche a costo di trovarsi a combattere contro quei suoi disgraziati fratelli. Insieme con Faustino correrebbe.
Berecche torna a raschiarsi piú forte la gola fino a stracciarsela, al pensiero che Faustino, il suo unico maschio, il suo prediletto, che per fortuna quest’anno non è ancora di leva, andrebbe ad arruolarsi volontario insieme col futuro cognato. Egli non potrebbe piú dirgli di no; ma perdio — maledetta la gola! maledetto l’umido della notte! — con tutti i suoi cinquantatre anni sonati, con tutta quella carnaccia che gli s’è appesantita addosso, andrebbe ad arruolarsi anche lui, allora, per non lasciare andar solo Faustino, per non morir di terrore una volta al giorno, a ogni annunzio di battaglia, sapendo Faustino in mezzo al fuoco: sissignori, anche lui Berecche andrebbe, volontario col pancione, anche... anche contro i Tedeschi, sissignori!
Eccola... eh, eccola subito già, l’altra vita! La guerra, col figliuolo giovinetto da un lato e, dall’altro lato, l’altro figliuolo nuovo, alla conquista delle terre irredente. Chi sa? Forse domani.
Berecche è arrivato; volta a destra; imbocca la traversa solitaria. Ecco nel bujo fitto il lumino rosso innanzi alla Madonnina. Miracoli dell’altra vita. Si ferma Berecche innanzi a quel lumino; si scopre, non visto da nessuno, per dire qualcosa a quella Madonnina.
E abbàino, abbàino pure, furibondi, dietro i cancelli, i cani.