Ben Hur/Libro Settimo/Capitolo III
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Traduzione dall'inglese di Herbert Alexander St John Mildmay, Gastone Cavalieri (1900)
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CAPITOLO III.
La tenda era comodamente spiegata sotto un albero, in vicinanza al ruscello; sopra di essa, le larghe foglie pendevano immobili dai loro rami; più in là sorgevano i delicati steli delle canne ritti come freccie. Di tanto in tanto, attraverso al vapore perlaceo, un’ape ritornando col suo profumato bottino, passava ronzando e spariva, ed una pernice, sbucando dalle siepi beveva, chiamava la sua compagna e volava via. La quiete della valle, la freschezza dell’aria, la bellezza del luogo, il silenzio quasi domenicale, sembrava avessero intenerito l’animo dell’Egiziano; la sua voce, i suoi gesti, ed i suoi modi, erano più dell’usato, gentili, e spesso, mentre guardava Ben Hur conversando con Iras, ebbe negli occhi un’espressione di infinita pietà.
— «Quando ti raggiungemmo, o figlio di Hur,» — egli disse alla fine del pasto, — «sembrava che tu pure fossi diretto a Gerusalemme. Posso domandarti, senza offenderti, se ti rechi fin là?» —
— «Io vado alla Città Santa.» —
— «Per il grande bisogno che ho di risparmiare una fatica, ti domanderò ancora, se v’è una via più breve di quella di Rabbath-Ammon?» —
— «Una via scabrosa, ma più corta, conduce da Cerasa a Rabbath Cileat. E’ quella che ho deciso di prender io.» —
— «Sono impaziente,» — disse Balthasar. — «Recentemente il mio sonno fu disturbato da sogni — o piuttosto dallo stesso sogno che si ripeteva. Una voce veniva a dirmi: — «Presto, alzati! Colui che tu hai tanto aspettato, è arrivato.» —
— «Intendete colui che dev’essere Re degli Ebrei?» — domandò Ben Hur, fissando l’Egiziano con meraviglia.
— «Sì.» —
— «Allora non avete sentito parlare di lui?» —
— «Nulla, tranne le parole della voce del sogno.» —
— «Io ho notizie che vi rallegreranno, come rallegrarono me.» —
Dalla sua sopravveste, Ben Hur estrasse la lettera ricevuta da Malluch. La mano che l’Egiziano stese tremò. Egli lesse ad alta voce, con crescente emozione; le vene del collo gli si gonfiarono e pulsarono con violenza. Alla fine egli alzò gli occhi in atto di ringraziamento e di preghiera. Non fece alcuna domanda, perchè non aveva dubbi.
— «Tu sei stato molto buono verso di me, o Dio,» — egli disse. — «Sì, sì, ti prego, che io possa rivedere il Salvatore, ed adorarlo, ed il tuo servo sarà pronto ad andarsene in pace.» —
Le parole, il modo, la stranezza della semplice preghiera, fecero su Ben Hur un’impressione nuova e duratura. Iddio non gli era mai apparso così vero e così vicino; sembrava fosse lì curvato, su loro, o seduto al loro fianco — un amico, da pregarsi alla buona, — un Padre che amava tutti ugualmente i suoi figli — Padre degli Ebrei come dei Pagani — Padre universale, che non aveva bisogno di intermediari, nè di Rabbini nè di sacerdoti, nè di dottori. L’idea che tale Dio potesse mandare all’umanità un Salvatore invece di un Re apparve a Ben Hur con una luce non soltanto nuova, ma così vivida, ch’egli potè quasi afferrare la maggior importanza di questo dono, e insieme la più grande coerenza di esso con la natura della Divinità. Non potè a meno di domandare:
— «Adesso che egli è venuto, o Balthasar, credi ancora ch’egli debba essere un Salvatore e non un Re?» —
Balthasar gli lanciò uno sguardo pensoso e tenero.
— «Come dovrò rispondere?» — egli disse. — «Lo Spirito che in forma di stella fu da tanto tempo la mia guida, non mi apparve più dacchè t’incontrai nella tenda del buon sceicco; credo però che la voce che mi parlò in sogno sia la medesima; ma eccettuata quella non ho altre rivelazioni.» —
«— Io ti richiamerò i termini della nostra disputa» — disse Ben Hur con rispetto, — «tu eri dell’opinione ch’egli sarebbe un Re, ma non come lo è Cesare; e che la sua sovranità sarebbe spirituale, non del mondo.» —
— «Oh, sì,» — rispose l’Egiziano, e sono ancora della stessa opinione. Vedo la divergenza nella nostra fede. Tu credevi incontrare un Re degli uomini, io un Salvatore di anime.» —
Egli si fermò con l’espressione di chi tenta di raccogliere un pensiero troppo alto e troppo profondo per essere formulato a parole.
— «Lascia ch’io cerchi, o figlio di Hur,» — egli disse quindi, — «di aiutarti a comprendere chiaramente ciò che credo; e se mi riescirà di dimostrare la superiorità del regno spirituale sopra qualunque manifestazione dello splendore Cesareo, tu comprenderai meglio la ragione per cui m’interesso della persona misteriosa di cui andiamo in traccia.
Non posso dirvi quando l’idea dell’anima ebbe origine. E’ probabile che i nostri primi padri l’abbiano portata con loro dal paradiso dove dimorarono. Sappiamo però che questa idea non si è mai perduta interamente. Se in alcune epoche essa si offuscò e svanì, se in altre fu circondata di dubbi. Iddio continuò a mandarci, ad intervalli degli intelletti superiori che ci richiamavano alla fede e confermavano le nostre speranze.
Perchè dovrebbe esservi un’anima in ogni uomo? O figlio di Hur, considera per un momento come è necessaria e indispensabile tale credenza: Coricarsi, morire, e non essere più! A una tale fine l’uomo si è sempre ribellato; e non vi fu mai uomo che nell’intimo del suo cuore non abbia aspirato a qualcosa di più alto e di migliore. I grandi monumenti dell’Egitto e dell’Asia sono le grida di impotenza dei popoli contro l’oblìo della morte, e lo stesso si dica delle iscrizioni e delle statue; e così pure della storia. Il più grande dei nostri Re Egiziani fece scolpire la sua effige in una collina di solida roccia. Ogni giorno egli si recava con un esercito di cocchi per esaminare il progresso del lavoro; finalmente fu terminato; mai vi fu effigie più bella, più fedele, più duratura. Non possiamo noi immaginarlo in quel momento dire, pieno d’orgoglio! «Venga ora la Morte; io non morrò interamente?» Il suo desiderio è stato appagato. La statua dura tuttora.
Ma è in questo modo che ci assicuriamo la vita futura? Vivere nella memoria degli uomini — una memoria vana come il chiaro di luna, che illumina la fronte della statua, — una storia in pietra. — nulla di più! Nel frattempo che n’è divenuto del Re? Lassù nelle tombe reali giace un corpo imbalsamato che una volta era il suo, un’effigie non così bella come quella fuori nel deserto. Ma dov’è, o figlio di Hur, dov’è il Re medesimo? E’ forse caduto nel nulla? Duemila anni sono trascorsi dal giorno in cui egli era un uomo vivente come tu ed io. L’ultimo suo respiro segnò la sua fine? L’affermarlo sarebbe bestemmiare Iddio. Accettiamo piuttosto la dottrina che ci promette la vera vita dopo morti — non un ricordo marmoreo, ma la vita con movimenti, sensazioni, intelligenza, vita eterna nella durata, sebbene possa essere varia nelle sue forme e nelle sue esplicazioni. Tu domandi qual’è questa dottrina? Iddio ci dona un’anima alla nascita con questa semplice legge: — l’Immortalità si consegue solo pel tramite dell’anima.
Puoi tu pienamente comprendere il piacere che uno prova pensando ch’egli possiede un’anima? Quest’idea spoglia la morte dai suoi terrori, riducendola a un cambiamento in meglio. — Il corpo seppellito è come il seme del quale sorgerà una nuova vita. Guarda in quale stato mi trovo io — debole, esausto, vecchio, avvizzito e accasciato; guarda il mio volto raggrinzito, pensa alla deficienza dei miei sensi, ascolta la mia voce stridula.
Ah, quale gioia è per me la promessa che mi accerta che quando la tomba si aprirà per raccogliere questa mia povera spoglia logora e consumata, le porte, ora invisibili, dell’universo, che altro non è che il palazzo di Dio, si spalancheranno per ricevere me, anima immortale e libera?
Io vorrei poter descrivere l’estasi di quella vita futura, ma la parola non basterebbe a dartene una adeguata idea.
Ed ora, figlio di Hur, sapendo tutto ciò, dovrò io affannarmi intorno a vani dettagli? Quale sarà la sede? quale la forma dell’anima mia; se mangerà e berrà? Se ha le ali? No. Fidiamoci piuttosto in Dio, e pensiamo che Egli, l’architetto di questo bellissimo mondo materiale, il maestro della forma e del colore, non potrà dimostrarsi dammeno in ciò che riguarda il nostro soggiorno spirituale.
Il suo affetto me ne sta garante.
Il buon uomo tacque, e la mano che condusse la coppa alle labbra tremò. Tanto Iras che Ben Hur si sentivano commossi, e quest’ultimo sembrava vedere come una luce nuova e viva che rischiarasse le tenebre della sua mente; scorgeva la possibilità di un regno immateriale, maggiore e più importante di un impero terreno; e pensò che dopo tutto il Salvatore che regalasse agli uomini un tal regno era più divino che non qualunque Re.
— «E’ una cosa dolorosa» — riprese Balthasar — «se tu ben consideri che l’idea della vita spirituale è una luce quasi spenta nel mondo. Qua e là, in vero, troverai qualche filosofo che ti parlerà di un’anima, intessendovi sopra le sue dottrine; ma siccome i filosofi non si basano sulla fede, e non credono che l’anima sia un fatto, lo scopo di essa è per loro avvolto nell’oscurità.
Ogni creatura animata ha una mente, la quale si può misurare dai suoi bisogni. E non vedi tu un profondo significato nel fatto che solo all’uomo fu data la facoltà di speculare sopra il suo futuro? A questo segno io riconosco che Dio intese di farci comprendere che noi siamo creati per un’altra vita migliore, essendo questo il più grande bisogno della nostra natura. Ma ahimè! come è stato mal compreso questo supremo bisogno del nostro Io! Gli uomini non vedono che la vita terrena, e principi e sacerdoti nulla fanno per illuminarli o dirigerli ad una meta più alta.
Pensa ora a quanto ci attende: per conto mio, parlando con tutta la sincerità della fede, io non darei un’ora della mia vita spirituale per mille anni di vita come uomo.» —
L’Egiziano sembrò dimenticarsi dei compagni, e continuò come parlando a se stesso.
— «Questa vita ha i suoi problemi, e vi sono uomini che passano tutti i loro giorni nello studiarli; ma che cosa dire dei problemi della vita futura? Un solo sguardo a Dio, e tutti i misteri che tanto ci affannano in terra splenderebbero chiari innanzi ai nostri occhi. Tutto l'universo sarebbe spalancato davanti a me. Io sarei colmo della sapienza divina, vedrei tutte le glorie, assaggerei ogni diletto. Al cospetto di tutto questo, le maggiori ambizioni di questa vita, tutte le sue gioie e le sue passioni, non sarebbero che il tinnire di vuoti sonagli.» —
Balthasar si arrestò, come per riaversi dallo stato di estasi in cui era caduto, e volgendosi al giovine, con un grave inchino: — «Io ti chiedo scusa» — egli disse — «o figlio di Hur, se la visione delle gioie future mi ha fatto deviare troppo dall’argomento. Ma, se tu pensi alla perfezione della vita che ci attende dopo morte, e come le passioni e l’ignoranza umana hanno offuscato la nostra intima percezione di essa, comprenderai quanto sia necessaria la presenza di un Salvatore, infinitamente più necessaria che non l’avvento di un Re; e quando andrai incontro all’Uomo che attendi, dovrai sperare che tale Egli si riveli veramente, piuttosto che un guerriero armato di spada o scettrato monarca.
Una domanda pratica ci si presenta: — A quali indizi lo riconosceremo? — Se tu continui nella tua credenza — che egli dovrà essere un Re come Erode — dovrai naturalmente cercare un uomo vestito di porpora e d’oro. D’altra parte Colui che io attendo sarà povero, umile, non diverso in apparenza dagli altri uomini; e il segno da cui lo riconoscerò sarà molto semplice: Egli dovrà mostrare a me ed a tutta l’umanità la via alla vita eterna; la pura, bellissima vita dell’anima.» —
Il silenzio che seguì queste parole fu rotto di nuovo da Balthasar:
— «Alziamoci ora» — egli disse — «alziamoci e riprendiamo il cammino. Ciò che dissi ha acuito l’impazienza di vedere Colui ch’è sempre nella mia mente; sia questa la scusa della mia fretta presso di te, figlio di Hur, e presso di te, figlia mia.» —
Al suo segnale lo schiavo portò del vino in un’otre, ed essi versarono e bevvero, e dopo aver scosso i tovagliuoli, si alzarono.
Mentre lo schiavo ripose tutto nella cassa sotto al baldacchino, e l’arabo portò i cavalli, i tre padroni si lavarono le mani nello stagno.
In poco tempo essi ripassarono il canale, con l’intenzione di raggiunger la carovana che li aveva preceduti.