Ben Hur/Libro Sesto/Capitolo III

Capitolo III

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CAPITOLO III.


Mentre Gesio, il custode, si presentava al tribuno nella Torre di Antonia, un uomo saliva il declivio orientale del monte degli Ulivi. La strada era scabrosa e polverosa, e la vegetazione all’intorno era bruciata dal sole d’estate. Il viaggiatore poteva dirsi fortunato, non solo perchè era giovane e vigoroso, ma anche per gli abiti leggeri che indossava.

Procedeva lentamente, guardandosi intorno non con [p. 375 modifica]l’occhio cauto e ansioso di chi non è ben sicuro del suo cammino, ma piuttosto coll’espressione di colui, che, dopo una lunga assenza, rivede antiche conoscenze, espressione piacevole, che sembrava dire: — «Sono contento di trovarmi ancora con voi, lasciatemi vedere quanto siete cambiate.» —

Ogni tanto s’arrestava per la salita volgendo lo sguardo indietro sullo splendido panorama che gli si offriva e che era chiuso dalle montagne del Moab; però, mano mano che egli s’avvicinava alla vetta, affrettava sempre più il passo, dimentico della fatica.

Per arrivare alla sommità, piegò a sinistra della strada un giorno assai frequentata. Si fermò all’improvviso, come se una mano invisibile lo avesse arrestato. Dando una rapida occhiata allo splendido paesaggio che gli si presentava dinanzi, i suoi occhi si dilatarono, le guancie s’imporporarono, ed il respiro gli si fece più rapido.

Il viaggiatore era Ben Hur, il luogo Gerusalemme.

Non la Città Santa d’oggi, ma la Città Santa tale e quale fu lasciata da Erode, la Città Santa di Cristo. Se essa, veduta dal vecchio Monte degli Ulivi, è ancora bella al giorno d’oggi, che cosa doveva sembrare a lui?

Ben Hur si assise sopra una pietra, e, liberandosi dal fazzoletto bianco che gli copriva il capo, si mise ad osservare minutamente. Molti altri hanno guardato Gerusalemme da quella sommità in epoche diverse. Il figlio di Vespasiano, il Saraceno, il Crociato, tutti conquistatori, e molti pellegrini d’ogni parte del mondo, ma, probabilmente, nessuno di essi avrà mai osservato il panorama con sentimenti più tristi e più amari di quelli di Ben Hur. Eran ricordi dei tempi passati, della famiglia, dei discorsi tenuti nell’infanzia, delle proprie vicende, che gli affollavano la mente. La città coi suoi fabbricati, era un testimonio vivente ed eterno dei delitti, della devozione, delle debolezze, del genio e della religione del suo popolo. Sebbene conoscesse Roma, Ben Hur rimase incantato. Quella vista lo avrebbe inebriato di vanagloria, se non avesse pensato che quel principesco dominio non apparteneva più ai suoi compatrioti, che l’adorazione nel Tempio ora dipendeva dal beneplacito di stranieri, che la collina dove Davide s’era fermato era sede di un palazzo marmoreo, donde emanavano gli editti i crudeli dominatori, i quali con essi perseguitavano i servi della fede. Ma questi erano piaceri e dolori comuni a tutti gli Ebrei di quel tempo: Ben Hur vi aggiungeva [p. 376 modifica]poi riflessioni tutte personali, ricordi che non avrebbe mai potuto dimenticare e che la vista della patria richiamavan con più viva intensità.

Un paesaggio di colline subisce pochi cambiamenti; quando poi le colline sono rocciose non ne subisce affatto. Lo spettacolo che la natura offriva a Ben Hur era uguale a quello che la natura di quei luoghi offre oggi, tranne il panorama della città, che è, naturalmente, variato, per l’opera alacre dell’uomo sempre più incivilito.

Il sole riscaldava il versante occidentale del Monte degli Ulivi più di quello orientale, e, naturalmente, gli uomini davano a quello la loro preferenza. I vigneti, di cui il monte era parzialmente rivestito, ed i pochi alberi sparsi, per la maggior parte fichi e vecchi ulivi selvatici, erano verdeggianti. In fondo, presso l’asciutto letto del Cedron, la verzura si faceva più bella e più piacevole alla vista; là terminava il Monte degli Ulivi e cominciava il Moriah, baldanzoso, bianco come la neve, fabbricato da Salomone e completato da Erode. Gli occhi salivano poi di mano in mano sulle poderose roccie, fino alla porta di Salomone; che formava il piedestallo del monumento di cui la collina era lo zoccolo; gli occhi risalivano alla Corte dei Gentili, a quella degli Israeliti, poi alla Corte delle Donne, insieme a quella dei Sacerdoti, ciascuna delle quali era una mole di bianche colonne di marmo, sovrapposte l’una all’altra come tante terrazze in cima delle quali, formando la corona di questa superba mole, infinitamente sacri, belli, maestosi, sfolgoranti d’oro, ecco il Padiglione, il Tabernacolo, ed il Santo dei Santi!

L’Arca non era là, ma Jeova viveva nella fede dei figli d’Israele. In nessun altro luogo si sarebbe trovato un tempio, un monumento che pareggiasse questo edificio straordinario. E di tutto ciò ora non rimane neppure una pietra. Chi lo rifarà? Quando ricomincierà la ricostruzione? Così si domanda ogni pellegrino che si ferma al posto occupato adesso da Ben Hur, ben sapendo che la risposta non può venire che da Dio, che custodisce gelosamente i suoi segreti.

Ed ancora gli occhi di Ben Hur osservavano i tetti del tempio, la collina di Sion piena di sacre memorie. Egli sapeva che la vallata, da Fermaggiai, si stendeva lassù profondamente incassata fra il Moriah e il Sion, e attraversata dallo Xisto; ricca di giardini e di palazzi, ma sopratutto egli fissava con sguardi avidi il paesaggio maestoso per [p. 377 modifica]edifici che incoronava la collina reale; la casa di Caifa; la Sinagoga centrale, il Pretorio romano, l’Hippico, e i tristi ma superbi cenotafi — Faselo e Marianna — sorgenti sullo sfondo del Gareb, rosseggiante in lontananza. E quando, fra tutti, riconobbe il palazzo d’Erode, potè forse pensare ad altro che al Re che doveva venire, sovrano cui egli stesso si professava devoto, il cui cammino voleva spianare? La sua fantasia corse veloce al giorno nel quale il nuovo Re sarebbe stato proclamato e avrebbe preso possesso del Moriah, del sacro Tempio, di Sion e delle sue torri e dei suoi palazzi, di Antonia minacciosa, alla destra del Tempio, della nuova città di Bezetha, ancor priva di mura, accolto da milioni di Israeliti acclamanti con palme e con bandiere, cantando inni festosi perchè il Signore aveva vinto e li aveva fatti signori del mondo.

Si dice che il sognare sia un fenomeno non del giorno ma della notte. Se si studiasse meglio si vedrebbe che quasi tutti i propositi si nutrirono in una specie di dormiveglia. Sognare è il premio di chi lavora, è il vino che sostiene le nostre forze, che ci rende cara la fatica perchè la stanchezza ch’ess’ingenera è propizia al sonno. Vivere è sognare. Solo dopo morti non si sogna. Nessuno rida dunque di Ben Hur per le sue fantasticherie, perchè chiunque si fosse trovato in quel luogo ed in quelle condizioni di animo, avrebbe fatto altrettanto.

Il sole stava per tramontare. Per un momento il fiammeggiante disco sembrava accovacciarsi sulle lontane vette delle montagne dell’ovest, tingendo il cielo, sopra alla città, di un color di rame e indorando le mura e le torri. Poi scomparve. Nella calma della sera, i pensieri di Ben Hur si indirizzavano verso la casa paterna. Egli fissava i suoi sguardi in un punto del cielo, un po’ a nord dell’incomparabile facciata del Santo dei Santi. Sotto di esso, proprio nella direzione del filo a piombo, sorgeva la casa di suo padre, se pure ancora esisteva.

La dolce influenza di quell’ora inteneriva i suoi sentimenti, e, mettendo da parte le sue ambizioni, egli pensò al dovere che lo conduceva a Gerusalemme.

Una sera mentre si trovava con Ilderim sul deserto esaminando il terreno con occhio di soldato, in cerca di luoghi atti alla battaglia, giunse un messaggero colla notizia che Grato era stato rimosso e Ponzio Pilato ne prendeva il posto.

Messala, ridotto all’impotenza, credeva morto Ben Hur. [p. 378 modifica]Grato non aveva più alcun potere; perchè avrebbe dovuto Ben Hur differire più oltre la ricerca della madre e della sorella? Non v’era più nulla da temere, ora. S’egli non poteva cercare le due donne personalmente nelle prigioni della Giudea altri poteva farlo per lui. Se le due perdute si fossero trovate, Pilato non poteva aver ragioni per trattenerle, e se ne avesse avute, sarebbero state tali da cedere davanti al denaro. Una volta trovate, egli le avrebbe portate in luogo sicuro, poi, con la mente più calma, la coscienza tranquilla per aver compiuto questo primo dovere, si sarebbe dedicato intieramente al Re atteso. La sua risoluzione fu subito presa. Quella notte egli si consigliò con Ilderim ed ottenne il suo assenso. Tre Arabi lo accompagnarono a Gerico, dove egli li lasciò coi cavalli e procedette solo ed a piedi. Malluch doveva incontrarlo a Gerusalemme. I disegni di Ben Hur erano molto vaghi. Egli cercava di tenersi, in vista del futuro, nascosto alle autorità, specialmente Romane. Malluch era un uomo astuto e fidato, proprio quello che ci voleva per dirigere le ricerche.

Dove cominciare? Questo era il problema. Egli non ne aveva un’idea chiara. Avrebbe desiderato di cominciare dalla Torre di Antonia. La tradizione che non si poteva resistere a lungo negli oscuri labirinti delle tristi celle, metteva il terrore nella mente degli Ebrei, più che la forte guarnigione che custodiva il castello. Potevano benissimo essere sepolte laggiù. Inoltre l’istinto c’insegna di cominciare le ricerche nel posto dove le ultime vestigia si perdettero di vista, ed egli non poteva dimenticare che l’ultimo sguardo che aveva ricevuto dalle sue care perdute, era stato appunto mentre le guardie le spingevano in direzione della Torre. Se non vi erano più, ma vi erano state, rimarrebbe certamente qualche ricordo del fatto, qualche traccia da seguire.

Oltre all’istinto anche una speranza lo spingeva.

Aveva saputo da Simonide che Amrah, la nutrice Egigiziana, era ancora in vita. Il lettore si ricorderà senza dubbio che la fedele creatura, la mattina in cui la sventura piombò sugli Hur, sfuggì alle guardie, e ritornò al palazzo, dove rimase rinchiusa.

Simonide la mantenne durante gli anni seguenti, cosicchè essa si trovava ancora là, sola ad occupare la gran casa che Grato non era riuscito a vendere ad onta di tutte le sue esibizioni.

La storia dei suoi legittimi proprietari bastava ad [p. 379 modifica]allontanare sia i compratori che i semplici affittuari. Passando davanti alla casa la gente mormorava e diceva ch’essa era invasa dagli spiriti. Tale diceria derivava probabilmente dalle apparizioni della povera e vecchia Amrah talvolta sul tetto, tal’altra ad una finestra dietro le grate. Certamente nessun altro spirito vi avrebbe potuto abitare con maggior costanza e nessun’altra casa si prestava meglio di quella, alla secretezza, al mistero della sua vita ritirata.

Ben Hur si immaginava che potendo raggiungere la vecchia, questa gli sarebbe stata d’aiuto nelle indagini che stava per intraprendere.

In ogni modo il vederla in quel posto così pieno di cari ricordi sarebbe stato per lui un lieto pronostico per la ricerca della sua famiglia.

Così prima di tutto egli voleva dirigersi alla casa paterna in cerca di Amrah.

Presa questa decisione, si alzò poco dopo il tramonto del sole, e cominciò la discesa del monte per la strada che dalla vetta piega a nord est. In fondo, quasi al piede di esso, vicino al letto del Cedron, la strada s’incontrava con quella che conduceva al villaggio di Siloam ed allo stagno dello stesso nome. Là egli s’imbattè con un pastore il quale conduceva alcune pecore al mercato. Gli parlò, ed in sua compagnia, passando da Getsemani, entrò nella città per la Porta dei Pesci.