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l’occhio cauto e ansioso di chi non è ben sicuro del suo cammino, ma piuttosto coll’espressione di colui, che, dopo una lunga assenza, rivede antiche conoscenze, espressione piacevole, che sembrava dire: — «Sono contento di trovarmi ancora con voi, lasciatemi vedere quanto siete cambiate.» —

Ogni tanto s’arrestava per la salita volgendo lo sguardo indietro sullo splendido panorama che gli si offriva e che era chiuso dalle montagne del Moab; però, mano mano che egli s’avvicinava alla vetta, affrettava sempre più il passo, dimentico della fatica.

Per arrivare alla sommità, piegò a sinistra della strada un giorno assai frequentata. Si fermò all’improvviso, come se una mano invisibile lo avesse arrestato. Dando una rapida occhiata allo splendido paesaggio che gli si presentava dinanzi, i suoi occhi si dilatarono, le guancie s’imporporarono, ed il respiro gli si fece più rapido.

Il viaggiatore era Ben Hur, il luogo Gerusalemme.

Non la Città Santa d’oggi, ma la Città Santa tale e quale fu lasciata da Erode, la Città Santa di Cristo. Se essa, veduta dal vecchio Monte degli Ulivi, è ancora bella al giorno d’oggi, che cosa doveva sembrare a lui?

Ben Hur si assise sopra una pietra, e, liberandosi dal fazzoletto bianco che gli copriva il capo, si mise ad osservare minutamente. Molti altri hanno guardato Gerusalemme da quella sommità in epoche diverse. Il figlio di Vespasiano, il Saraceno, il Crociato, tutti conquistatori, e molti pellegrini d’ogni parte del mondo, ma, probabilmente, nessuno di essi avrà mai osservato il panorama con sentimenti più tristi e più amari di quelli di Ben Hur. Eran ricordi dei tempi passati, della famiglia, dei discorsi tenuti nell’infanzia, delle proprie vicende, che gli affollavano la mente. La città coi suoi fabbricati, era un testimonio vivente ed eterno dei delitti, della devozione, delle debolezze, del genio e della religione del suo popolo. Sebbene conoscesse Roma, Ben Hur rimase incantato. Quella vista lo avrebbe inebriato di vanagloria, se non avesse pensato che quel principesco dominio non apparteneva più ai suoi compatrioti, che l’adorazione nel Tempio ora dipendeva dal beneplacito di stranieri, che la collina dove Davide s’era fermato era sede di un palazzo marmoreo, donde emanavano gli editti i crudeli dominatori, i quali con essi perseguitavano i servi della fede. Ma questi erano piaceri e dolori comuni a tutti gli Ebrei di quel tempo: Ben Hur vi aggiungeva