Ben Hur/Libro Quinto/Capitolo VII

Capitolo VII

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CAPITOLO VII.


Malluch si fermò alla porta; Ben Hur entrò da solo.

La stanza era quella medesima in cui aveva per la prima volta veduto Simonide, e nulla era mutato della sua apparenza, tranne che, presso alla poltrona del vecchio, era stato posto un grande candelabro di bronzo con molte braccia da cui pendevano numerose lampade d’argento, tutte accese. La luce era chiara e illuminava i tavolati delle pareti, la cornice dorata, e la volta di mica viola.

Fatti due passi Ben Hur si arrestò.

Tre persone erano presenti e lo guardavano. — Simonide, Ilderim ed Ester. Egli girò gli occhi dall’uno all’altro come per trovar risposta alla domanda mezzo formulata dal suo cervello: — «Che cosa vogliono da me questi tre?» — A questa tenne subito dietro un’altra:

— «Sono amici o nemici?» —

Finalmente i suoi sguardi si fermarono su Ester. I due uomini gli avevano risposto con espressione bonaria, ma ciò ch’egli lesse nel volto della fanciulla era qualche cosa di più spirituale, che, quantunque sfuggisse ad ogni definizione, penetrò profondamente nell’animo suo. Ebbe per un istante la visione di un altro viso, quella dell’Egiziana, ma si dileguò subito.

— «Figlio di Hur.» —

Egli si voltò verso Simonide.

— «Figlio di Hur» — ripetè il negoziante, sillabando [p. 297 modifica]con enfasi solenne le parole, come per imprimergli bene in mente tutto il significato dell’apostrofe — «La pace del Signore Iddio, dei nostri padri sia con te. Prendila da parte mia e dei miei.» —

Il vecchio sedeva nella sua poltrona. Era la stessa testa regale, il volto pallido, l’aria imperiosa, sotto l’influenza della quale i visitatori dimenticavano le sue membra deformi. I bianchi occhi neri brillavano sopra le bianche sopracciglia. Un momento rimase così, poi incrociò le braccia sul petto.

L’atto, messo in rapporto col saluto, non poteva essere frainteso, e non lo fu.

— «Simonide» — rispose Ben Hur, commosso — «la pace che tu offri, io I’accetto. Come figlio a padre te la ritorno: soltanto intendiamoci chiaramente fra di noi.» —

Così, delicatamente, egli cercò di eludere la sottomissione del negoziante, ed invece della relazione fra padrone e schiavo, volle sostituire un vincolo più elevato e più santo.

Simonide lasciò cadere le mani, e volgendosi ad Ester disse:

— «Una sedia per il padrone, o figlia.» —

Essa si affrettò a portargli una sedia, e rimase in piedi, con le gote coperte di rossore, guardando ora all’uno, ora all’altro, da Ben Hur a Simonide, da Simonide a Ben Hur. Dopo una breve pausa Ben Hur prese la sedia dalle sue mani e l’avvicinò alla poltrona del negoziante.

— «Io siederò qui,» — egli disse.

I suoi occhi incontrarono quelli di lei, per un istante solo, ma egli ed Ester si sentirono migliori per quello sguardo.

Simonide si inchinò e disse con un sospiro di sollievo:

— «Ester, mia figlia, portami le carte.» —

Essa andò ad un tavolato nella parete, lo aperse e ne estrasse un rotolo di papiri che porse al padre.

— «Tu dicesti bene, figlio di Hur» — cominciò Simonide, spiegando i fogli — «intendiamoci chiaramente. In anticipazione della richiesta — che io avrei offerto spontaneamente se tu l’avessi rifiutata io ho preparato alcune note che lumeggiano la situazione. Due sono i punti che hanno bisogno di essere spiegati — la proprietà dapprima, e poi i nostri rapporti. L’esposizione è chiara riguardo ad entrambi. Vuoi leggerla?» —

Ben Hur prese le carte, ma diede uno sguardo ad Ilderim.

— «No» — disse Simonide — «la presenza dello sceicco non ti impedisca di leggere; il conto che troverai [p. 298 modifica]ha bisogno di un testimonio. In calce di esso tu troverai il nome di Ilderim. Egli è al corrente di tutto ed è tuo amico. Tutto quanto egli è stato per me, sarà anche per te.» —

Simonide guardò l’arabo con un sorriso che questi gli rese con un grave cenno del capo, dicendo: — «Tu l’hai detto.» —

Ben Hur rispose: «Io ho avuto già altre prove della sua amicizia e toccherebbe a me di mostrarmene degno.» — poi soggiunse: — «Più tardi, o Simonide, leggerò con attenzione le carte; per ora, riprendile, e, se ciò non ti stanca, esponi brevemente il loro contenuto.» —

Simonide riprese il rotolo.

— «Qui, Ester, vicino a me, e prendi le pagine man mano che te le porgo.» —

Essa si pose presso alla sua poltrona, appoggiando la mano destra leggermente sulla spalla del vecchio. Formavano così un gruppo solo, e, quando egli parlava, sembrava che il rendiconto procedesse da entrambi.

— «Questo» — disse Simonide, spiegando la prima pagina — «contiene l’esposizione delle somme che io ebbi da tuo padre, e che salvai dalla confisca Romana. Non v’erano beni, soltanto danaro, e anche questo i predoni avrebbero preso, se non fosse stato che, secondo consuetudini Ebraiche, esso si trovava sotto la forma di cambiali tratte sui mercati di Roma, Alessandria, Damasco, Cartagine e Valenza ed altre città minori. La somma così salvata ammontava a centoventi talenti Ebraici.» —

Egli diede il foglio ad Ester e prese il secondo.

— «Di questo importo io m’incaricai. Ora ascolta i miei crediti. Vedrai che in questa parola io intendo significar i guadagni ricavati da quella somma.» —

Da vari fogli lesse le seguenti cifre, che rendiamo, omettendo le frazioni:

Crediti:


Navi                                        60 talenti

Merci nei magazzeni               110 »

Carichi di transito               35 »

Cammelli, cavalli, ecc.               20 »

Magazzini                              10 »

Cambiali                              54 »

Contanti                              254 »


                    Totale               553 talenti

[p. 299 modifica]— «Aggiungi a questi, e ai cinquecento cinquantatre talenti guadagnati, il capitale originale ricevuto da tuo padre, tu hai SEICENTO SETTANTATRE TALENTI! — tutti tuoi, che ti fanno, o figlio di Hur, il suddito più ricco della terra.» —

Egli prese i papiri dalle mani di Ester, tranne uno, e li porse a Ben Hur.

L’orgoglio che traspariva da quel gesto, non offendeva; poteva derivare dal sentimento del proprio dovere ben compiuto, o riguardare unicamente Ben Hur.

— «Ed ora non v’è nulla» — egli aggiunse, abbassando la voce, ma non gli occhi — «ora non v’è nulla che tu non possa fare.» —

Il momento era solenne. Simonide tornò ad incrociare le braccia sul petto. Ester era ansiosa. Ilderim si lisciava la barba nervosamente. Una fortuna che giunga improvvisa è la prova di fuoco del carattere umano.

Prendendo il rotolo, Ben Hur si alzò, lottando con la sua emozione.

— «Tutto ciò è come una luce del cielo, mandata a dissipare le tenebre di una notte che io credeva dovesse durare eterna, tanto era lunga e priva d’ogni speranza» — egli disse con voce rauca. — «Io ringrazio il Signore, che non mi ha abbandonato, e poi te o Simonide; la tua fedeltà compensa la crudeltà di altri, e rivendica la natura umana. — «Non v’è nulla ch’io non possa fare:» — Sia così. Tu mi sei testimonio, sceicco Ilderim. Ascolta bene le mie parole, e ricordale; e tu pure, Ester, ottimo angelo di questo buon uomo, ascoltami.» —

Egli tese la mano col rotolo a Simonide.

— «Tutto ciò che queste carte contengono, navi, case, mercanzie, cammelli, cavalli, denaro, tutto io ti restituisco, o Simonide, confermandolo a te ed ai tuoi per sempre.» —

Ester sorrise fra le sue lagrime; Ilderim afferrò con ambe le mani la sua barba, mentre gli occhi gli luccicavano come carboni. Simonide soltanto rimase calmo.

— «Confermandole a te ed ai tuoi per sempre» — continuò Ben Hur — «con una eccezione e ad un patto.» —

I suoi ascoltatori trattennero il respiro per ascoltarlo meglio.

— «Tu dovrai restituirmi i centoventi talenti che appartenevano a mio padre.» —

II volto di Ilderim si rasserenò.

— «E tu dovrai aiutarmi con tutte le tue forze e con [p. 300 modifica]tutti i tuoi beni nella ricerca di mia madre e di mia sorella.» —

Simonide era commosso. Porgendogli la mano, egli disse:

— «Riconosco l’animo tuo, o figlio di Hur, e sono riconoscente al Signore d’avermi mandato un uomo come te. Come io ho servito tuo padre, così continuerò a servirti; ma non posso accettar le tue proposte generose.» —

Spiegando l’ultimo foglio continuò:

— «Tu non hai veduto tutto. Prendi questo e leggi — leggi ad alta voce.» —

Ben Hur prese il foglio e lesse.

Nota degli schiavi di Hur, tenuta da Simonide suo amministratore.

1. Amrah, Egiziana, custode del palazzo in Gerusalemme.

2. Simonide, Agente in Antiochia.

3. Ester figlia di Simonide.

Ora, in tutte le sue riflessioni intorno a Simonide, Ben Hur non aveva mai lontanamente pensato che, per legge, i figli seguono la condizione dei genitori. In tutte le sue visioni la soave persona di Ester figurava come una rivale dell’Egiziana, oggetto del suo affetto e forse del suo amore. Egli rabbrividì alla rivelazione così bruscamente presentatagli, e vedendo la fanciulla arrossire e chinare gli occhi mentre egli avvoltolava di nuovo il papiro nelle sue mani, egli disse:

— «Un uomo con seicento talenti è ricco in verità, e può fare ciò che gli piace; ma più preziosi del denaro, più preziosi dei beni, sono l’intelligenza che ha saputo ammassare quella ricchezza, e il cuore che, in mezzo a quella ricchezza, non s’è lasciato corrompere.

O Simonide, e tu Ester, non temete. Lo sceicco Ilderim attesterà che da questo momento io vi dichiaro liberi e affrancati, e questo confermerò con una scrittura. Vi basta?» —

— «Figlio di Hur» — disse Simonide — «tu rendi dolce anche la servitù. Ma sappi cho io ebbi torto: vi sono cose che tu non puoi fare, nemmeno con le tue ricchezze. Tu non puoi liberarci. Io sono tuo schiavo, perchè spontaneamente mi lasciai forare l’orecchio con la lesina per mano di tuo padre, e i segni rimangono ancora.» —

— «E mio padre fece questo?» —

— «Non biasimarlo,» — si affrettò adire Simonide. — «Egli mi accettò quale schiavo di questa categoria, perchè io lo supplicai di farlo. Non mi sono mai pentito. Fu questo [p. 301 modifica]il prezzo che pagai per Rachele, la madre di mia figlia; perchè Rachele non volle diventare mia moglie, se io non fossi diventato ciò che essa era.» —

— «Essa era schiava in perpetuo?» —

— «Sì.» —

Ben Hur misurò la stanza con passi concitati.

— «Io era già ricco» — disse, arrestandosi di un colpo — «ricco pei doni del generoso duumviro; ora mi capita questa fortuna colossale e la mente che l’ha saputa ammassare. Non v’è il dito di Dio in tutto ciò? Consigliami, o Simonide! Aiutami a scoprire il vero. Fa che io diventi degno del mio nome, e se tu sei schiavo nella legge, io sarò tuo servo di fatto. Tu comanda.» —

Il viso di Simonide era raggiante.

— «O figlio del mio morto padrone! Io farò più che aiutarti; io metterò al tuo servizio tutta la forza della mia mente e del mio cuore. Il mio corpo però non giova alla tua causa, ma col cuore e con la mente ti servirò. Lo giuro, per l’altare del nostro Dio! Soltanto creami con nomina formale ciò che fin’ora ho finto di essere.» —

— «Che cosa?» — chiese Ben Hur con sollecitudine.

— «Amministratore dei tuoi beni.» —

— «Lo sei da questo istante, o vuoi lo faccia in iscritto?» —

— «La tua parola basta. Così fece tuo padre. Ed ora siamo intesi.» — Simonide tacque.

— «Lo siamo» — disse Ben Hur.

— «E tu, figlia di Rachele, parla!» — continuò Simonide, sollevando il braccio di lei dalla sua spalla.

Ester, lasciata così sola, rimase confusa un istante; poi andò da Ben Hur, e con tutta la grazia della sua femminilità, disse:

— «Io non sono diversa da mia madre; e poichè essa è.morta, lascia, padrone, che io prenda cura di mio padre.» —

Ben Hur prese la sua mano e la condusse presso la poltrona. — «Sei una buona figliuola» — disse. — «Sia fatta la tua volontà.» —

Essa cinse di nuovo il collo di suo padre e per qualche tempo regnò il silenzio nella stanza.