Belle ninfe de' prati, e belle ninfe
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XVII
PER IL SIG. GIULIO ROMANO.
Belle ninfe de’ prati, e belle ninfe
De’ chiari fiumi, omai torbidi gli occhi,
E della chioma scapigliate l’oro,
Battete il petto; e tu non meno, amore,
Paventa, che tua face omai si spenga,
E che si spezzi l’arco. Or tu, che leggi
Queste note intagliate in questa pietra
Non inarcar le ciglia, o vïandante.
Giulio, dalla cui bocca alta armonia
Usciva a rallegrar la mente altrui
Ha qui chiuse le labbra eternamente.
Non è dunque ragion, che de i bei prati
Le belle ninfe, e che le belle ninfe
De’ lucidi ruscelli aggiano il seno
Pien de’ pensier dolenti? E chi giammai
Farà loro sentir le care istorie,
Che dettano le Muse in Elicona?
Chi l’aure loro serenar? Chi l’acque
Più rischiarare infra le rive erbose
Possanza avrà con ammirabil cetra?
Ma tu, lieve figliuol di Citerea,
Con qual voce adornar le tue vittorie
Speri oggimai? Chi le bramate piaghe
Delle dolci ed acerbe tue ferite
Celebrerà? Chi l’invisibil rete,
Onde l’umana libertade è serva,
Farà cantando desïare a i cori?
O dalle Parche disarmato amore
Scendi su questo sasso, e qui dogliose
Dà segno co’ sospir, come t’incresce
Mirar posto in silenzio il nobil canto
Di questo incomparabil tuo Ministro.