Giovanni Prati

Olindo Malagodi 1878 Indice:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. II, 1916 – BEIC 1901920.djvu sonetti Bacio di Giove Intestazione 23 luglio 2020 25% Da definire

Abbandono Riccio (monologo)
Questo testo fa parte della raccolta XIV. Da 'Iside'
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XI

BACIO DI GIOVE

. . . sunt larea Tonantis
oscula.



FRAMMENTO ANTICO

Corcossi Giove sulla madre Terra,
che, di bellezza giovanii vestita,
dormia sommersa neH’ambrosia luce.
Sotto l’insania del divino amplesso,
5ella fu pregna e partorí la schiatta
dei futuri giganti. Eran dapprima
pargoli in grembo di petrose cune,
nutriti ai fochi dell’Olimpo e ai venti
della rigida selva. Orma di riso
10però non apparia su quelle fronti.
non luceva in quegli occhi orma di pianto;
e, il di che uscir col giovinetto piede
tentando i passi, trepidar d’intorno
a quelli strani e nomadi fanciulli
15la montagna e la valle. E quando il giro
di piú lune fu vólto, essi in altezza

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superaron le querce, e il minaccioso
tauro in possanza, e nelle tetre fami
la lupa e il tigre ne’ fulminei sdegni.
20Quindi tesero gli archi; e il primo sangue
stillante fuor dalla portata preda
scaldò del fiero cacciator le spalle.
Fumar nelle caverne e sulle rupi,
coronate di falchi e di bufere.
25le mense enormi; e sui villosi petti
de’ coloni le figlie e de’ pastori
iinparáro il connubio. Indi risolta
tra i frassini del Pelio e dell’Olimpo
fu la perfidia, e cominciò la pugna
30dei fulminati. E Prometèo sull’Ida
la grifagna tormenta, e nel macigno
urla Encelado sempre, e Fiegra tutta
de’ combusti cadaveri nereggia.
Questo fruttò dalle incestate nozze
35e dai baci di Giove. E non per tanto
ridon nell’aria le gioconde stelle,
ornano a’ fior le giovinette il crine,
e ai vivi e ai morti le materne braccia,
mentre cantan le Parche, apre la Terra.
40Figli siam noi di questi padri! e pace
a noi l’avara caritá de’ numi
consente appena in quello stesso grembo
che produsse il misfatto. O bella emersa
dalle spume del mar, bella Afrodite,
45fior di Cipro e di Milo, i di son brevi:
tu ce li allegra. Della vita il nappo
sente d’amaro; e tu ce lo incorona
di molle ambrosia. A noi l’ultima luce
spunta imprevisa: non lasciar che il nembo
50del suo tristo color ce la dipinga
sul cristal della stanza ove domani
piú non saremo. Benedetti i pochi

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che s’alzaron nell’armi, e al ferreo squillo
delle trombe guerriere han dato in campo
55l’anima e il sangue! Nel felice Eliso
giá raccolti son essi; e, se non mente
la parola de’ tempi, al capo in giro
recan la fronda che i piú degni eterna.