Avventure di Robinson Crusoe/7
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Traduzione dall'inglese di Gaetano Barbieri (1842)
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Fermata per far acqua.
— «Va bene, Xury, gli diss’io; non andrò adesso; ma potrebbe ben darsi che domani vedessimo uomini non meno terribili per noi di questi leoni.
— Allora far sentire a questi uomi1 nostri moschetti, rispose Xury sorridendo, e farli fuggire.»
Xury aveva imparato a parlare o piuttosto a storpiare la mia lingua dal molto conversare con gli schiavi di nostra nazione. Contentissimo di vedere sì buono spirito in questo ragazzo, gli diedi alcun poco del liquore contenuto ne’ fiaschetti portati via al nostro padrone, per infondergli sempre maggiore allegria. In fine dei conti il consiglio di Xury era buono, e lo seguitai. Ci ancorammo e rimanemmo cheti tutta la notte; dico cheti perchè non dormimmo punto. E chi mai sarebbe stato atto a farlo? Per due o tre ore continue vedemmo grandi creature (non sapemmo con che nome chiamarle) di molte sorte venir giù alla spiaggia, gettarsi nell’acqua, voltolarvisi e guazzarvi entro, fosse per diporto o per voglia di refrigerarsi; certo i loro ululati erano sì orridi, che non ne udimmo mai più dei simili.
Xury era spaventato non so dir quanto, e da vero non ne era poco nemmeno io; ma fummo ben più, quando ci accorgemmo di una di quelle formidabili creature che notava in verso della nostra scialuppa. Non potemmo vederla, ma potemmo capire dalla crescente vicinanza delle sue urla che era una mostruosa, enorme, ferocissima belva. Xury la diceva un lione, e poteva ben essere secondo le mie congetture. Questo povero fanciullo mi si raccomandava a più non posso di levar l’âncora e partirmi di lì.
— «No, Xury, gli diss’io; possiamo filare la nostra gomona col segnale galleggiante attaccato, e andarcene a nuoto sul mare portandoci a tanta distanza, che la belva non possa arrivar sino a noi.»
Ebbi appena detto ciò quando vidi quella creatura d’ignota razza accostarsi ad una lontananza non maggiore di due tratti di remo; sorpresa che mi fece rimanere imbarazzato alcun poco; pure corso immediatamente alla stanza della scialuppa e trattone il mio moschetto, lo sparai contro al mostro che, presa immantinente la fuga, tornò ad avviarsi notando alla spiaggia.
Ma egli è impossibile il descrivere quale orrido strepito, quali disperati gridi e ululati corrisposero al frastuono e all’eco del mio moschetto; grida e ululati inauditi, cred’io, fin allora, che rimbombarono, così sull’orlo della spiaggia come per tutto l’interno del paese. Ciò mi convinse che non era cosa sana per noi l’andare a terra su quella costa per tutta la notte; ma il come avventurarvici poi di giorno diveniva un altro punto di quistione scabroso; perchè il cadere nelle mani di qualche selvaggio sarebbe stata cosa altrettanto trista, quanto capitar tra gli artigli di leoni o di tigri; per lo meno il pericolo da temersi era eguale.
Ma comunque fosse andata la cosa, non potevamo dispensarci dallo sbarcare d’un modo o dell’altro, perchè non ci rimaneva un boccale d’acqua nella scialuppa: quando, e da che parte eseguire lo sbarco, qui stava la difficoltà.
— «Se voi lasciare andar me con orcio a spiaggia, io veder bene se esservi acqua dolce, e portarvene alcun poco.
— Ma perchè andarci tu, e non piuttosto io, e tu rimanere nella scialuppa?»
Quel fanciullo mi diede tale affettuosa risposta che la ricordai sempre in appresso con tenera gratitudine.
— «Se selvaggi uomi venire, mangiar me, tu scappar via.
— Bene, Xury, andremo insieme, e se vengono i selvaggi uomi gli ammazzeremo; non mangeranno nessuno di noi due.»
Ciò detto, diedi al povero Xury un pezzo di pane di rusk e del liquore tolto dalla cassetta de’ fiaschetti del mio padrone rammentata poc’anzi; poi tirata la scialuppa tanto vicino alla spiaggia, quanto credemmo opportuno, guadammo sino alla riva non portando altro con noi, che i nostri moschetti e due orci per empirli d’acqua.
Non mi piacea di perdere di vista la scialuppa, per paura che alcuni canotti di selvaggi scendessero lungo il fiume; ma il ragazzo scorgendo una valletta lontana circa un miglio dal luogo ove eravamo, si trasse fin là, nè andò guari che il vidi tornare a me correndo come il vento. Pensai fosse inseguìto da qualche uomo, o spaventato da qualche fiera, onde gli corsi incontro per aiutarlo; ma quando gli fui più vicino, vidi alcun che pendergli dalle spalle. Era un piccolo animate da lui ucciso col moschetto, somigliante ad un lepre, salvo il colore e le gambe ch’erano più lunghe. Fummo assai contenti di tale presa, perchè ne fornì di una squisita vivanda; ma la grande contentezza che facea correre il povero Xury, era perchè veniva ad annunziarmi, che avea trovato acqua dolce e non veduti selvaggi uomi.
Per dir vero scoprimmo in appresso, che non avremmo avuto bisogno di prenderci tanti fastidi per trovare acqua dolce, perchè un poco al di sopra del seno ove stavamo, ne scorgemmo una sorgente al calare della marea; così pertanto potemmo empire tutti i nostri orci e, acceso il fuoco, facemmo onore al lepre che avevamo predato; indi ci accingemmo a riprendere la nostra navigazione, senza aver veduto un sol vestigio di creatura umana in quella parte di paese.
Poichè aveva fatto un precedente viaggio a quella costa, compresi ottimamente che le isole Canarie e quella del Capo Verde non dovevano esserne molto lontane. Ma non avendo meco stromenti per misurare un’altezza o cercare sotto qual latitudine ci trovassimo, nè potendo esattamente sapere, o almeno ricordarmi la latitudine delle isole or nominate, io non sapeva nemmeno a qual parte volgermi, e dove recarmi al largo per raggiugnerle; altrimente non mi sarebbe stato difficile il ripararmi ad una di tali isole. Ma la mia speranza fu che, tenendomi a costeggiare in quelle acque, arriverei in qualche parte ove trafficassero i miei compatriotti, e scontrandomi in qualcuno de’ loro vascelli mercantili, vi troverei e buona accoglienza ed imbarco.
Dai più precisi computi da me istituiti mi risulta, che il luogo ove fui allora, debb’essere un paese giacente fra i domini dell’imperator di Marocco e le terre abitate dai Negri, paese deserto e popolato soltanto di fiere. I Negri lo avevano abbandonato, andando a stanziarsi più verso mezzogiorno per paura dei Mori; e i Mori nol credettero degno di essere abitato a cagione della sua sterilità; e veramente non se ne saranno nemmeno curati atteso il prodigioso numero di tigri, di leoni, di leopardi e d’altre formidabili fiere che vi hanno il lor covo; i Mori quindi se ne valgono solamente per venirvi a caccia, formando una specie d’esercito di due o tremila uomini in una volta. Egli è certo che per lo spazio di circa un centinaio di miglia non vedemmo su quella costa altro che un deserto disabitato durante il giorno, nè udimmo se non ululati e ruggiti di feroci belve in tempo di notte.
Una o due volte, facendo giorno, credei vedere il Picco di Teneriffa, ch’è il punto più alto delle montagne Teneriffe nelle Canarie, onde mi prese gran voglia di avventurarmi a quella parte nella speranza di ripararmi ivi; ma essendomici provato due volte, fui spinto in addietro da contrari venti, oltre all’essere divenuto troppo grosso il mare pel mio piccolo bastimento. Risolvei pertanto di attenermi al mio primo di segno, continuando a costeggiare.
Dopo aver lasciata questa spiaggia fui costretto bene spesso a prendere terra per far acqua; ed una mattina particolarmente, che era di bonissima ora, ancorammo sotto una punta di terra altissima, ove cominciando a salir la marea, restammo tranquillamente ad aspettare ch’ella ci portasse più in là. Xury, cui gli occhi servivano, a quanto sembra, assai meglio che a me, mi chiamò pian piano per dirmi che avremmo fatto molto bene allontanandoci da quella spiaggia.
— «Guardar là! egli soggiugnea, guardar là spaventoso mostro che a fianco di montagna dormir di grossa.»
Girai l’occhio laddove egli m’indicava, e vidi uno spaventoso mostro da vero, perchè era un grosso terribile leone, che giacea di fianco alla spiaggia al rezzo di un enorme dirupo, che gli pendea sopra la testa.
— «Xury, gli diss’io, andate su la spiaggia ed ammazzatelo.
— Me ammazzar lui? lui mangiar me in una bocca»; e col dire in una bocca s’intendeva in un boccone.
Non dissi altro al ragazzo, ma gl’intimai silenzio, e tratto a mano il nostro più grande moschetto che portava in circa la carica d’un moschettone, lo caricai con una quantità di polvere e con due verghe di piombo; indi ne caricai un altro a due palle, ed un terzo (dissi già che avevamo tre moschetti con noi) a pallini. Portate fuori della stanza queste tre armi, presi la mira meglio che potei con la prima per colpire il feroce animale nella testa; ma esso giaceva in tal modo con una gamba sollevata un poco al di sopra del suo naso, che le verghe di piombo lo colpirono al di sopra di un ginocchio, rompendone l’osso. La belva trasalì, muggendo alla prima, ma accortasi della sua gamba rotta, ricadde, indi alzatasi su le sue tre gambe metteva i più orridi ruggiti che mai potessero udirsi. Mi fece qualche sorpresa il non averla colpita su la testa; pure fui presto a dar di mano al secondo moschetto, e benchè il leone cominciasse a moversi con le sue tre gambe, fui fortunato abbastanza, perchè la mia seconda scarica lo colpisse ove aveva divisato prima, ond’ebbi il piacere di vederlo stramazzato senza dimenarsi più di quanto fa una creatura che combatte con la morte. Allora Xury, preso coraggio, desiderò gli permettessi di venir su la spiaggia.
— «Ebbene, gli dissi, venite.»
E tosto il ragazzo, lanciatosi in acqua e tenendo in una mano il terzo moschetto, nuotò con l’altra mano alla spiaggia, ove fattosi ben vicino al moribondo leone e portatagli la bocca del moschetto all’orecchio, tornò a scaricarglielo nella testa, con che la fiera rimase spedita del tutto.
Questo fu veramente per noi un diporto che non ne dava di che nudrirci; ed era assai contristato d’aver perdute queste tre cariche di polvere, per ammazzare una bestia che non era di verun uso per me. Ciò non ostante Xury avrebbe voluto aver qualche cosa di essa, onde tornò a bordo chiedendomi che gli dessi l’accetta.
— «Da farne che, Xury?
— Me voler tagliare sua testa.»
Nondimeno il povero ragazzo non riuscì in questa impresa; giunse per altro a tagliargli una zampa ch’egli si portò seco a bordo, ed era una zampa di mostruosa grandezza. Pensai fra me nondimeno che la pelle di quel leone, o d’un modo o dell’altro, avrebbe potuto essere di qualche valore per noi; per lo che mi determinai a portargliela via se mi riusciva. Ci mettemmo dunque Xury ed io a questo lavoro; ma Xury si mostrò assai più abile di me, perchè io da vero non sapeva come mettermici. Sicuramente questa opera ne portò via l’intera giornata; ma la pelle del leone finalmente l’avemmo, e stesala sul letto della stanza della scialuppa, il sole la seccò in non più di due giorni, sicchè me ne servii in appresso per giacervi sopra.
Dopo questa fermata costeggiammo di continuo verso ostro per dieci o dodici giorni, vivendo con grande risparmio delle nostre vettovaglie che cominciavano a scemarsi in notabilissima guisa, nè ci portammo alla spiaggia più spesso di quanto ne fu necessario per cercare acqua dolce. In questa fu mio disegno d’avviarmi verso il fiume Gambia o il Senegal, vale a dire, sempre nelle vicinanze del Capo Verde, ove mi rimanea la speranza d’incontrarmi in qualche vascello europeo, espettazione che, se fosse andata delusa, io non aveva altra speranza dinanzi a me, se non quella di raggiugnere le isole: altramenti, morire fra i Negri.
Note
- ↑ Benchè Xury parli l’inglese, lo parla come può fare un Barbaro. Di fatto l’autore per fargli dire men (uomini) gli fa dire mans. Per imitare in qualche modo questo strafalcione nella nostra lingua, ne ho adottato uno udito più volte da qualche persona incolta, che si metteva in mente di parlare il pretto italiano.