Asolani/Libro terzo/XIII

Libro terzo - Capitolo XIII

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- Grande fascio avete tu e i tuoi compagni abbracciato, Lavinello, a me oggimai non meno di figliuol caro, a dir d’Amore e della sua qualità prendendo: sì perché infinita è la moltitudine delle cose che dire vi si posson sopra, e sì ancora maggiormente perciò che tutto il giorno tutte le genti ne quistionano, quelle parti ad esso dando, che meno gli si converrebbe dare, e quelle che sono sue certissime, propriissime, necessariissime tacendo e da parte lasciando per non sue; la qual cosa ci fa poi più malagevole il ritrovarne la verità contro le openioni de gli altri uomini, quasi allo ’ndietro caminando. Non pertanto non dee alcuno di cercarne spaventarsi e, perché faticoso sia il poter giugnere a questo segno, ritrarsi da farne pruova. Perciò che di poche altre cose può avenire, o forse di non niuna, che lo intendere ciò che elle sono più ci debba esser caro, che il sapere che cosa è Amore. Il che quanto a voi sia ora nelle dispute de’ tuoi compagni e in quello che tu stimi di poterne dire avenuto, e chi più oltre si sia fatto di questo intendimento e chi meno, ne rimetto io a madonna la Reina il giudicio. Ma dello avere avuto ardire di cercarne, bella loda dare vi se ne conviene. Tuttavolta se a te giova che io ancora alcuna cosa ne rechi sopra e più avanti se ne cerchi, facciasi a tuo sodisfaccimento, pure che non istimi che la verità sotto queste ginestre più che altrove si stia nascosa. E affine che tu in errore non istii di ciò che detto hai, che Amore e disidero sono quello stesso, io ti dico che egli nel vero non è così. Ma veggasi prima che cosa in noi o pure che parte di noi è Amore; dapoi, che egli non sia disidero, ti farò chiaro. È adunque da sapere che, sì come nella nostra intellettiva parte dell’animo sono pure tre parti o qualità o spezie, ciascuna di loro differente dall’altre e separata (perciò che v’è primieramente l’intelletto, che è la parte di lei acconcia e presta allo ’ntendere e può nondimeno ingannarsi; v’è per secondo lo intendere, che io dico, il quale non sempre ha luogo, ché non sempre s’intendono le intelligibili cose, anzi non ha egli se non tanto, quanto esso intelletto si muove e volge con profitto d’intorno a quello che a lui è proposto per intendersi e per sapersi; èvvi dopo queste ultimamente e di loro nasce quella cosa o luce o imagine o verità, che dire la vogliamo, che a noi bene intesa si dimostra, frutto e parto delle due primiere, la qual tuttavia, se è male intesa, né verità né imagine né luce dire si può, ma caligine e abbagliamento e menzogna), così, né più né meno, sono nella nostra vogliosa parte del medesimo animo pure tre spezie, per gli loro ufficii propria e dall’altre due partita ciascuna. Con ciò sia cosa che v’è di prima la volontà, la qual può e volere parimente e disvolere, fonte e capo delle due seguenti; e che v’è dopo questa il volere, di cui parlo, e ciò è il disporsi a mettere in opera essa volontà o molto o poco, o ancora contrariamente, che è disvolendo; e che v’è per ultimo quello, che di queste due si genera: il che, se piace, amore è detto, se dispiace, odio per lo suo contrario necessariamente si convien dire. Nasce adunque amore, Lavinello, e creasi nella guisa che tu hai veduto, e è in noi o di noi quella parte, che tu intendi. Ora che egli non sia disiderio in questo modo potrai vedere. Perciò che bene è vero che disiderar cosa per noi non si può, che non s’ami, ma non perciò ne viene che non s’ami cosa, che non si disideri altresì; perciò che se n’amano molte e non si disiderano, e ciò sono tutte quelle che si posseggono; ché, tosto che noi alcuna cosa possediamo, a noi manca di lei il disiderio in quella parte che noi la possediamo, e in luogo di lui sorge e sottentra il piacere. Ché altri non disidera quello che egli ha, ma egli se ne diletta godendone; e tuttavia egli l’ama e hallo caro vie più che prima: sì come fai tu, il quale, mentre ancor bene l’arte del verseggiare e del rimare non sapevi, sì l’amavi tu assai, sì come cosa bella e leggiadra che ella è, e insieme la disideravi; ma ora che l’hai e usar la sai, tu più non la disideri, ma solamente a te giova e ètti caro di saperla e amila molto ancor più, che tu prima che la sapessi e possedessila non facevi. La qual cosa meglio ti verrà parendo vera, se tu a quello che odio e timor siano parimente risguarderai. Perciò che quantunque temere di niuna cosa non si possa, che non s’abbia in odio, pure egli non è che alle volte non s’odii alcuna cosa senza temerla. Ché tu puoi avere in odio i violatori delle mogli altrui, e di loro tuttavia non temi, perciò che tu moglie non hai, che essere ti possa violata. E io in odio ho i rubatori dell’altrui ricchezze, né perciò di lor temo, ché io non ho ricchezza da temerne, come tu vedi. Per la qual cosa ne segue che, sì come odio può in noi essere senza timore, così vi può amore essere senza disio. Non è adunque disio Amore, ma è altro.