Asolani/Libro primo/XXVI

Libro primo - Capitolo XXVI

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Fingono i poeti, i quali sogliono alcuna volta favoleggiando dir del vero, che ne gli oscuri abissi tra le schiere sconsolate de’ dannati è uno fra gli altri, cui pende sopra ’l capo un sasso grossissimo, ritenuto da sottilissimo filo. Questi, al sasso risguardando e della caduta sgomentandosi, sta continuamente in questa pena. Tale de gl’infelici amanti è lo stato, i quali sempre de’ loro possibili danni stando in pensiero, quasi con la grave ruina delle loro sciagure sopra ’l capo, i miseri vivono in eterna paura, e non so che per lo continuo il tristo cuore dicendo loro, tacitamente gli sollecita e tormenta, seco stesso ad ogni ora qualche male indovinando. Perciò che quale è quello amante che de gli sdegni della sua donna in ogni tempo non tema? o che ella forse ad alcuno altro il suo amore non doni? o che per alcun mondo, che mille sempre ne sono, non gli sia tolta a’ suoi amorosi piaceri la via? Egli certamente non mi si lascia credere che uomo alcuno viva, il quale amando, comunque il suo stato si stia, mille volte il giorno non sia sollecito, mille volte non senta paura. E che poi, di queste sollecitudini, hassene egli altro danno che il temere? Certo sì, e non uno, ma infiniti, ché questa stessa tema e pavento sono di molti altri mali seme e radice. Perciò che per riparare alle ruine che, lasciate in pendente, crediamo che possano cadendo stritolare la nostra felicità, molti torti pontelli con gli altrui danni o forse con le altrui morti cerchiamo di sottoporre a’ lor casi. Uccise il suo fratel cugino, che dalla lunga guerra si ritornava, il fiero Egisto, temendo non per la sua venuta rovinassero i suoi piaceri. Uccise simigliantemente l’impazzato Oreste il suo, e dinanzi a gli altari de gli idii, nel mezzo de’ sacrificanti sacerdoti il fe’ cadere, perché in piè rimanesse l’amore che egli alla sorella portava. A me medesimo incresce, o donne, l’andarmi cotanto tra tante miserie ravolgendo. Pure se io v’ho a dimostrare quale sia questo Amore, che è da Gismondo lodato come buono, è huopo che io con la tela delle sue opere il vi dimostri; delle quali per aventura tante ne lascio adietro ragionando, quante lascia da poppa alcuna nave gocciole d’acqua marina, quando più ella da buon vento sospinta corre a tutte vele il suo camino.