Asolani/Libro primo/XV

Libro primo - Capitolo XV

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Lodavano le donne e gli altri giovani la canzone da Perottino recitata, e esso interrompendogli, soverchio delle sue lode schifevole, volea seguitando alle prime proposte ritornare, se non che madonna Berenice, ripigliando il parlare: - Almeno - disse - sii di tanto contento, Perottino, poi che l’essere lodato contra l’uso di tutti gli altri uomini tu pure a noia ti rechi, che, dove acconciamente ti venga così ragionando alcun de’ tuoi versi ricordato, non ti sia grave lo sporloci; perciò che e noi tutte e tre, che del tuo onore vaghissime siamo, e i tuoi compagni medesimamente, i quali son certa che come fratello t’amino, quantunque essi altre volte possano le tue rime avere udite, sollazzerai con tua pochissima fatica grandemente -.
A queste parole rispostole Perottino che come potesse il farebbe, così rientrò nel suo parlare: - E che si potrà dir qui, se non che per certo tanto stremamente è misera la sorte de gli amanti, che essi, vivendo, perciò che vivono, non possono vivere e, morendo, perciò che muoiono, non possono morire? Io certamente non so che altro succhio mi sprema di così nuovo assenzo d’amore se non quest’uno, il quale quanto sia amaro siate contente, giovani donne, il cui bene sempre mi fie caro, di conoscere più tosto sentendone ragionare che gustandolo. Ma, o potenza di questo Idio, non so qual più noievole o maravigliosa, non si contenta di questa loda né per somma la vuole de’ suoi miracoli Amore; il quale, perciò che si può argomentare che, sì come la morte può ne gli amanti cagionar la noia del vivere, così può bastare a cagionarvi la vita la gioia che essi sentono del morire, vuole tal volta in alcuno non solamente che esso non possa morire senza cagione avere alcuna di vita, ma fa in modo che egli di due manifestissime morti, da esse fierissimamente assalito, sì come di due vite si vive. A me medesimo tuttavia, donne, pare oltre ogni maniera nuovo questo stesso che io dico; e pure è vero: certo così non fosse egli stato, che io sarei ora fuori d’infinite altre pene, dove io dentro vi sono. Perciò che avendo già per li tempi adietro Amore il mio misero e tormentato cuore in cocentissimo fuoco posto, nel quale stando egli conveniva che io mi morissi, con ciò sia cosa che non avrebbe la mia virtù potuto a cotanto incendio resistere, operò la crudeltà di quella donna, per lo cui amore io ardeva, che io caddi in uno abondevolissimo pianto, del quale l’ardente cuore bagnandosi opportuna medicina prendeva alle sue fiamme. E questo pianto averebbe per sé solo in maniera isnervati e infieboliti i legamenti della mia vita e così vi sarebbe il cuore allagato dentro, che io mi sarei morto, se stato non fosse che, rassodandosi per la cocitura del fuoco tutto quello che il pianto stemperava, cagione fu che io non mancai. In questa guisa l’uno e l’altro de’ miei mali pro facendomi, e da due mortalissimi accidenti per la loro contraoperazione vita venendomene, si rimase il cuore in istato, ma quale stato voi vedete, con ciò sia cosa che io non so quale più misera vita debba potere essere, che quella di colui è, il quale da due morti è vivo tenuto e, perciò che egli doppiamente muore, egli si vive. -